|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 L’Italia dal 1914 al 1918: pagine sulla guerra
 | 120 | Nondimeno, quelle polemiche non riuscivano persuasive e non chiusero la questione. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 121 | Perché: |  | 
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 | 122 | Perché si attenevano materialmente alle parole degli ingiuriatori e beffeggiatori, e intendevano quella taccia come una taccia di naturale incapacità, data al popolo italiano; |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 123 | e la taccia, cosi intesa, era evidentemente stolta. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 124 | Stolta e facile a confutare, col rispondere, come rispose un vecchio ufficiale napoletano, scrittore di cose storiche, Luigi Blanch, che nessun uomo, e molto meno un popolo, è incapace di rischiare la vita per un motivo qualsiasi, che gli parli all’animo. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 125 | E tanto poco ne erano incapaci gli Italiani che nessun popolo apparve mai cosí pronto com’essi, fuori delle lotte propriamente militari, a gettare la vita quotidianamente; |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 126 | e, per esempio, le cronache italiane del seicento, ossia del tempo in cui la virtù militare era nel più basso stato, recano in ogni pagina notizie di risse feroci e di duelli e combattimenti d’individui e di fazioni, e danno l’immagine di un’Italia della quale, ogni giorno, il sangue rigava le città e le campagne. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 127 | I duelli dei signori si facevano allora per «compagnie», ossia ciascuno soleva condurre con sé i suoi amici, per motivi frivolissimi, ad ammazzarsi allegramente. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 128 | Più feroci ancora, le plebi e i contadini. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 129 | Altro che attaccamento alla vita: |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 130 | Sembra, anzi, che allora la vita valesse ben poco, e si potrebbe stabilire su quei documenti la legge empirica (confermata da altre osservazioni) che alla minore virtù militare di una società corrisponde un maggior abito sanguinario, e all’inverso. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 131 | Perciò Marat, in una delle sue allocuzioni, esprimeva il desiderio di avere intorno a sé non piú che «trecento Napoletani, con le braccia nude, armati di pugnali», per rassodare definitivamente la Rivoluzione in Francia: |  | 
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 | 132 | II |  | 
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 | 133 | Ma la taccia era vera ed era inconfutabile, intesa nel suo senso riposto e profondo: |  | 
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 | 134 | cioè in quanto ridiceva, in altra forma, che agli Italiani era mancata la coesione in un forte Stato, del quale la virtù militare è l’esponente. |  | 
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 | 135 | Gli stessi esempî, che si recavano in contrario, avevano il carattere di eccezioni, confermanti la regola: |  | 
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 | 136 | ossia dimostravano che, sempre che si era avuto in Italia uno Stato forte (per es., quello della Corona sabauda), o un sentimento di orgoglio nazionale, o almeno di spirito di corpo, si era benissimo combattuto. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 137 | Nel 1798 - 99 l’esercito napoletano andò in rotta al primo urto col francese; |  | 
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 | 138 | ma, di lì a qualche settimana, si formarono dappertutto bande armate, che si misero alla caccia dei francesi e dei giacobini, e riuscirono, dopo alcuni mesi di lotta incessante, a trionfarne. |  | 
|  1917, Croce, pp. 207-226Croce, Benedetto
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 | 139 | Come mai, diceva stupito uno di quei generali francesi, il Thiébault (scrivo in luogo dove non ho libri e sono costretto a fidare sulla mia memoria), «cotesti napoletani scappano, quando hanno addosso l’uniforme, e combattono, quando lo hanno gettato via:». |  |