Voci della Grande Guerra

Tutta la guerra: antologia del popolo italiano sul fronte e nel paese Frase: #14

Torna alla pagina di ricerca

AutorePrezzolini, Giuseppe
Professione AutoreScrittore, giornalista
EditoreR. Bemporad
LuogoFirenze
Data1918
Genere TestualeMemorie
BibliotecaBiblioteca Comunale di Trento
N Pagine TotXV, 398
N Pagine Pref15
N Pagine Txt398
Parti Gold2-405
Digitalizzato OrigNo
Rilevanza2/3
Copyright

Contenuto

Se nessun altro bene la guerra presente avesse a recarci, questo certamente, di natura morale si, ma di inestimabile pregio, essa ci ha di già assicurato, che noi possiamo oramai guardare diritto e fermo in cotesti giudizi stranieri, senza che uno struggimento di vergogna ci faccia torcere il viso, senza che una vampata di sdegno ci oscuri la vista.

E possiamo scorgervi quella parte di vero, che purtroppo in essi ci fu.

Poichè, se noi pensiamo ai caduti francesi di Magenta e Solferino, tanto più nunierosi che non gli italiani;

se pensiamo che la Sicilia ci costò cento e sessanta uomini; se pensiamo alle poche centinaia di caduti a Custoza, di naufragati a Lissa, che ci fruttarono, pur nella sconfitta, Venezia;

se consideriamo che Roma l’abbiamo avuta con un sacrificio di vite minore di quanto non importi l’avanzata di pochi metri su quel dannatissimo Carso; se pensiamo, insomma, alle cinque o sei migliaia di uomini al massimo, che dal 1815 al 1870, tra cospirazioni e battaglie, battaglie di truppe regolari o di irregolari, caddero per la indipendenza e l’unità della patria (nella sola giornata di Gravelotte un buon terzo più di Tedeschi lasciò la vita), noi dobbiamo pure convenire che l’indipendenza e l’unità della patria le abbiamo avute troppo più per favore di fortuna (lo stellone d’Italia:) che non per solo, che non per vero merito nostro.

Certo, cotesto criterio crudamente quantitativo e materiale non è il solo che conti; ben lo sappiamo:

Ed è invece da considerare ancora l’immane somma di indomabile energia, di illimitato sacrificio, di indicibile sofferenza spirituale e morale, a cui — per merito di una eletta d’uomini, forse superiori a quanti furono da noi nei secoli addietro e forse non più uguagliabili — noi dovemmo la nostra liberazione e il nostro risorgimento.