Voci della Grande Guerra

Discorsi di Guerra Frase: #561

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AutoreBoselli, Paolo
Professione AutorePolitico
EditoreTip. delle Mantellate
LuogoRoma
Data1917
Genere TestualeDiscorsi
BibliotecaBiblioteca Comunale di Trento
N Pagine TotXII, 248
N Pagine Pref12
N Pagine Txt248
Parti Gold19-85
Digitalizzato OrigNo
Rilevanza2/3
CopyrightNo

Contenuto

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CAPITOLO II

Formazione e prime manifestazioni parlamentari del Gabinetto Boselli Onorevoli deputati:

(Segni d’attenzione).

Non è tempo di programmi, ma è tempo di opere, onorevoli signori.

I propositi del Ministero, nel cui nome ho l’onore di parlarvi, mirano sopratutto, in quest’ora fatidica, alla magnanima impresa dalla quale attendono e avranno vittoria i diritti delle Nazioni e i diritti della civiltà.

(Approvazioni).

A questo intento noi proseguiremo l’opera intima e diuturna di solidarietà cogli alleati fino al definitivo trionfo.

(Vive approvazioni).

Continueremo così a battere risolutamente la via di quella politica estera che ha già più volte riscosso il larghissimo suffragio del Parlamento e dei Paese, attendendo strenuamente all’intensificazione e al sempre più stretto coordinamento delle operazioni militari sui vari fronti di combattimento in Europa e alla perfetta intesa tra gli alleati nell’azione loro di difesa economica verso i nemici.

(Benissimo:) Manterremo la nostra finanza negli accorti e validi andamenti, ond’ebbe fin qui vigilanza e presidio.

Daremo il massimo vigore a tuttociò che valga a rafforzare la guerra delle rivendicazioni nostre e dei nostri alleati, a tutto ciò che maggiormente assecondi il sentimento ardente e gagliardo del Paese e corrisponda all’esempio, alla fede, al valore dei nostri meravigliosi soldati, dei nostri prodi marinai.

(Vivissimi generali applausi).

Per simili scopi d’intensificazione bellica e di cooperazione popolare ci unimmo insieme uomini di diverse opinioni politiche, ma di un solo animo e di un volere solo rispetto a quei voti generosi e a quei supremi interessi della Nazione che dominano l’ora presente.

(Vive approvazioni).

Il fervore delle competizioni politiche tace di fronte alla voce della Patria immortale.

Tutti oggi dobbiamo stringerci insieme in una concordia sincera ed operosa; inspirata dalle tradizioni del nostro Risorgimento, illuminata dalla visione di quell’avvenire che all’Italia, restituita alle ragioni eterne dell’essere suo e della sua favella, darà nuova virtù di vita civile e nuova potenza di lavoro.

(Applausi).

Raggiunta la meta ciascuno tornerà al suo posto nella arena politica.

(Approvazioni).

La concordia nazionale piena e fidente nel Paese, nelle aule parlamentari e nel Governo, deve andar affermata e suggellata da ogni atto della pubblica amministrazione.

(Applausi).

Noi non conosciamo alcuna pregiudiziale di fronte agli italiani di tutti i partiti, che del pari pugnano e muoiono per la Patria.

(Vivissimi generali applausi).

Tutti coloro che nel grande cimento dànno il cuore, il pensiero e l’opera per la vittoria nazionale entrano del pari nella concordia della Nazione.

(Applausi).

Solamente verso coloro che si provassero a deprimere in qualsiasi guisa la sicura fiducia del popolo italiano, immemori della santità della Patria, dovrà essere vigile ed infiessibile la pubblica autorità.

(Vivissimi applausi).

A rappresentare la larga concordia nazionale giova, durante la guerra, l accresciuto numero degli uomini chiamati a far parte del Governo.

Esso reca ad effetto, nel solo modo conforme alle nostre istituzioni costituzionali e salvo il principio essenziale della responsabilità governativa, la più estesa e continua partecipazione di tutti i partiti e di tutte le tendenze all’opera del Governo.

La quale, anche mercè la collaborazione delle energie di cui pure è dovizia nel Parlamento e nel Paese, dovrà, durante la guerra, spingere alla massima efficacia ogni nostra attività e mirare a tutto ciò che animerà i tempi nuovi della Patria vittoriosa.

Gli ordinamenti amministrativi potranno divenire più sciolti dopo che la guerra ha più saldamente unificato la coscienza della Nazione, e con genio liberale, con nuovo lume di dottrina e all’infuori di ogni particolare opinione o interesse di partito, andrà riformata ogni parte della legislazione.

Occorre promuovere senza indugio tutto ciò che si attiene alla gloria e al potere scientifico della Nazione; rinnovare l’insegnamento professionale con pratiche discipline affinchè siano pronti per la nostra riscossa industriale operai e direttori capaci (Benissimo:);

ed elevare ancora e sempre meglio ancora confortare la scuola popolare, che già porge di sè così patriottica testimonianza mercé la virtù italiana delle generazioni ch’essa educò.

(Vive approvazioni).

A questa riedificazione di molta parte degli ordinamenti dello Stato e del diritto italiano concorreranno del pari il pensiero e il lavoro delle due Camere.

Con un medesimo entusiasmo esse deliberarono la guerra italiana e spetta ad esse medesimamente di compiere l’opera riformatrice per tutta la Nazione redenta.

La creazione dei due nuovi Ministeri dei trasporti e dell’agricoltura fu introdotta per la durata della guerra.

Il volere del Parlamento, illuminato dalla esperienza, deciderà per l’avvenire.

Intanto i due nuovi Ministeri sorgono organicamente costituiti;

nessuna delle presenti amministrazioni viene scomposta o variata nella sua autonomia o nel suo assetto; nessuna mutazione si porta nei servizi; non si genera alcun nuovo ruolo di impieghi e d’impiegati.

(Benissimo:)

Il Ministero dei trasporti, da assai tempo proposto e divisato, potrà essere successivamente stabilito secondo gli studi che con singolare competenza tracciò testè la Commissione per l’ordinamento delle strade ferrate dello Stato.

Intanto il Governo considererà solertemente le provvidenze additate dalla Commissione per il personale ferroviario, che va segnalato nelle operazioni della nostra guerra per l’indefessa e l’intelligente alacrità e per la patriottica e salda disciplina.

(Applausi generali).

È ovvio che debbano congiungersi al Ministero dei trasporti, oggi più che mai, i servizi della marina mercantile, destinati a completarsi mercè le naturali e utili unificazioni da tanto tempo preconizzate e ad assumere nuove attività per la sollecita restaurazione della nostra flotta mercantile.

(Vivi applausi).

11 Ministro di agricoltura, durante la guerra, solleciterà gli approvvigionamenti ben proporzionati al bisogno, stimolerà la produzione, favorirà i consumi alimentari, specie por le classi più disagiate.

E anche dopo la guerra, tra il rigoglioso prosperare delle industrie e dei commerci, la produzione della terra conserverà il suo primato, e nelle giuste riforme sociali, insieme coi lavoratori delle fabbriche, dovranno trovare efficaci argomenti di rinnovamento economico e morale i contadini nostri (Applausi unanimi) che in si grande numero e tanto intrepidamente danno la loro vita, a null’altro pensando che al dovere verso la Patria e verso il Re.

(La Camera sorge in piedi plaudendo — vivissimi unanimi e prolungati applausi).

Vero è che ogni ordine di cittadini gareggia nelle prodezze e nei sacrifici:

mentre i nostri combattenti veggono in mezzo a loro, sprezzatore di ogni pericolo, il Re che rinnovella le virtù della sua Casa impavidamente, (Vivissimi, calorosissimi applausi — Il Presidente, i ministri e i deputati sorgono in piedi al grido di viva il Re:) col cuore all’Italia, propagando il saluto fatidico di Roma a tutte le genti italiane.

(Benissimo:)

Spetta al Ministero presieduto dal mio illustre predecessore ed amico (Vivi, prolungati applausi) il vanto di aver bandito la guerra che l’anima della Patria, risuscitata e idealizzata nei ricordi dei secoli migliori, acclamò con entusiasmo vibrante ed ardito, e, nel sostenerla, tutto il popolo italiano è forte, è sereno, è invitto.

(Applausi).

Il popolo italiano colle multiformi virtù, coll’agilità del suo spirito veramente latino, vince i più rudi disagî, sopporta i più penosi sacrifici (Applausi) e serbasi consapevole che la più rigida disciplina è condizione essenziale per la salvezza della Nazione e per la libertà stessa dei cittadini, disciplina che la suprema necessità autorizza e giustifica entro i limiti proprii del diritto della patria.

(Benissimo:).

Mirabile paese il nostro: diciamolo, onorevoli signori, con commozione e con orgoglio.

(Approvazioni).

Alle nefande imprese nemiche risponde con classico disdegno Venezia che al Risorgimento italiano è usa dare tutta sè stessa (Vivi applausi);

rispondono fieramente tutte le città nostre barbaricamente insidiate dai cieli violati; rispondono gli abitatori di quelle contrade consacrate oggi dal valore italiano, che tutto abbandonarono tranne l’idealità della Patria (Applausi), la quale saprà essere grata rammentando i giorni più dolorosi delle sue città e delle sue terre più travagliate dall’ira nemica.

(Vive approvazioni).

Dalla concordia nostra e della Nazione sorga il saluto dell’ammirazione e della gloria ai nostri combattenti, che per le terre e sui mari scrivono eroiche pagine di storia e risuscitano i canti delle epiche gesta.

L’urto violento e poderoso del nemico non solo subito s’infranse sulle ali delle nostre truppe, ma fu presto intieramente fermato ed energicamente respinto (Benissimo:);

ed ora si compie, vincendo la resistenza del nemico, il riacquisto delle nostre terre e delle ardue vette dominatrici (Applausi).

Avanzano, incalzanti, e oltre, oltre ancora avanzeranno i soldati della redenzione nazionale e la bandiera italiana rifulgerà dovunque è Italia.

Ora e sempre:

(Vivissime approvazioni — I deputati sorgono in piedi — Generali, entusiastici, prolungati applausi — L’onorevole deputato Salandra scende nell’emiciclo e va a congratularsi con l’onorevole Presidente del Consiglio — Vivissimi applausi).

BOSELLI, presidente del Consiglio.

(Segni di vivo.

attenzione).

Dopo il patriottico ed infiammato discorso dell’onorevole Marchesano, che tanto commosse la Camera, il discorso migliore dovrebbe limitarsi a dire che il Ministero palpita dei medesimi sentimenti che hanno ispirato l’Onorevole Marchesano, che noi vogliamo ciò che l’Onorevole Marchesano ha invocato:

la gloria e la vittoria della Patria con la concordia di tutti i cittadini.

(Vive approvazioni).

Ma io ho il dovere di dare alcune risposte agli oratori.

Sarò brevissimo.

Ho ascoltato tutti gli oratori con attenzione viva ed assidua, e tutti li ringrazio.

Ringrazio coloro che dichiararono la loro fiducia nel Ministero, ringrazio i deputati che parlarono come oppositori, perchè, valorosi maneggiatori degli strali parlamentari, li hanno adoperati molto umanisticamente.

(Viva ilarità).

Io non posso rispondere a parte a parte a tutti gli oratori, ma dico a tutti che nessuna delle idee che palesarono nei loro discorsi sarà dimenticata, nè da me nè dai miei colleghi.

Quanto alle questioni di finanza, ha risposto pienamente ieri il collega del tesoro, enunciando così il risultato felice degli sforzi fatti, come le previsioni fidenti, ed ha aggiunto ammonizioni di patriottica virtù, che, sgorgate dal suo patriottismo, trovarono eco spontanea o sincera in questa Camera.

Quanto ai gravi problemi dell’agricoltura, io non mi intratterrò intorno ad essi:

tutti gli oratori manifestarono tanta meritata fiducia nel ministro di agricoltori, che non è mestieri ch’io li rassicuri circa l’opera sua.

Io non seguirò discorrendo degli ordinamenti della sanità militare, perchè, se riforme occorrono, a queste riforme attenderà il ministro della guerra.

Ed è nel nostro Gabinetto Leonardo Bianchi tale uomo di autorevole competenza, che presterà all’uopo validi consigli.

Nè mi intratterrò a dire della opportunità che negli acquisti militari si proceda con quel concerto fra l’amministrazione della guerra e l’amministrazione dell’agricoltura del quale parlò ieri l’onorevole Dugoni.

Delle colonie parleremo a suo tempo.

(Iarità).

Quan to alle pensioni di guerra, sarà questo un argomento cui il Governo rivolgerà sollecita e larga e particolare e giusta attenzione, confortato anche dagli studi dotti e preziosi che intorno a simili provvidenze andò e va svolgendo da qualche tempo l’onorevole Luigi Rava, vigile, sollecito, efficace promotore delle giuste ed urgenti riforme.

Per i richiamati già disse ieri il collega del tesoro che giornalmente si spende la somma di due milioni, e se sarà mestieri meglio assicurare che le forme delle concessioni dei sussidi sieno corrispondenti sempre alla giustizia e al bisogno, al di sopra degli inconvenienti che possono nascere per le parzialità locali, il Governo penserà anche a questo, e penserà a tutto ciò che si possa fare per i provvedimenti benefici a quei profughi dei quali più oratori hanno parlato con calde e commosse raccomandazioni.

L’onorevole Turati ancora una seconda volta o una terza...

non lo so bene, tornò sull’argomento della censura, argomento molto difficile; e neppure intorno ad esso è questo il momento che io possa fare lungo discorso.

La censura non è un’istituzione permanente:

è un’istituzione che va giudicata come di equilibrio instabile, direi così, secondo gli atteggiamenti che le circostanze prendono successivamente, secondo i tempi.

È una questione nella quale la ragione politica si incontra con la ragione giuridica, il diritto della Patria col diritto della libertà.

Occorre trovare dei limiti, ed io posso assicurare la Camera che la censura, istituzione necessaria in tempo di guerra, sarà mantenuta in quei limiti che il senso giuridico e patriottico dell’onorevole Orlando saprà tracciare a stabilire;

(Commenti).

Se c’è qualche equivoco, lo spiego...

(No: no:) Rispetto agli internati l’onorevole Turati fece due specie di questioni: una generale e una di immediata esecuzione.

Quanto alla questione generale nulla c’è da ripetere oltre quanto la Camera ha già consentito in un voto precedente.

Egli, intanto, immediatamente, domanda che siano tratte al vero, sincero, pieno effetto le promesse fatte dall’onorevole Salandra.

Ora io posso assicurare, a nome di tutto il Governo e del ministro Orlando in particolare, che quelle promesse date dal ministro Salandra saranno, se già non lo furono, pienamente eseguite.

Di politica estera parlarono parecchi colleghi.

Non nomino alcun deputato in modo particolare, perchè non vorrei dimenticarne qualcuno.

Si disse che il mio collega degli esteri è un ministro muto.

(Si ride).

Ne io vorrei essere al suo fianco un ministro loquace.

(Si ride).

Ma la Camera sa che il mio collega se ha muta la favella, ha eloquentissimo l’animo quando si tratta di sentire, di far sentire la grandezza della patria e di difenderla altamente.

(Applausi).

La Camera sa che il ministro degli esteri se tace lungamente, quando esce dal suo silenzio, diffonde per l’Italia e per il mondo quel Libro Verde, che fu il più grande documento della nostra guerra.

(Applausi).

Posso rispondere all’onorevole Treves che gli impegni già presi rispetto agli accordi economici per i tempi dopo la guerra, saranno mantenuti.

All’onorevole Agnelli, rispetto all’esportazione, argomento di moltissime difficoltà, andato fin ad ora meno male di quello che talora si dice, non ostante inconvenienti che di certo ci furono, soggiungo che anche per questa materia si farà tutto il possibile perchè le cose corrispondano al desiderio da lui espresso.

Riesaminerò tutto ciò che di più efficace si possa fare per la propaganda; benchè io creda che la propaganda migliore sia quella che ciascuno di noi può fare direttamente, che la propaganda dei Governi valga assai meno della propaganda della pubblica opinione.

Ed io vorrei che tutti imitassero l’esempio di quei nostri colleghi che, come il collega Agnelli, si recarono a fare conferenze in vari paesi.

Noi abbiamo dentro la Camera e fuori uomini valorosi con la penna e con le orazioni:

facciano essi questa propaganda, e sarà la migliore delle propagande perchè ciò che più giova è ciò che esce spontaneo dall’animo, è ciò che gli ascoltatori sanno che non è cosa d’incarico, ma è cosa di proprio impulso, d’ispirazione propria.

(Approvazioni).

L’onorevole Gasparotto suscitò la questione dei prigionieri, questione la quale tocca il cuore di tutti noi e che certamente darà luogo a tutte le vigilanze e a tutte le provvidenze che possono occorrere.

Abbiamo delle società benefiche, che si occupano di questa giusta e affettuosa sollecitudine verso i nostri prigionieri.

Testè abbiamo affermato come da parte dell’Italia si diano tali esempi che basterebbe fossero, anche in parte, imitati.

E quanto al raccogliere i documenti che dimostrano la civiltà della nostra guerra di fronte alle barbarie della guerra altrui, il suo pensiero è tale che o nell’uno o nell’altro modo deve essere accolto.

Già il Comitato nazionale per la storia del risorgimento raccoglie tutti i documenti della nostra guerra e già radunò molti documenti che si riferiscono a ciò cui alludeva il collega Gasparotto.

Vorrà dire che nell’uno o nell’altro modo si dovrà mettere più efficacemente in luce la parte delle barbarie altrui, che tanto contrasta con la civiltà nostra.

(Approvazioni).

Io non seguo l’onorevole Morgari.

Egli ha detto che parlava in Comitato segreto; e poichè vedo dinanzi a me la solenne pubblicità della Camera nostra, io non posso immaginare di essere in un Comitato segreto e perciò non posso seguirlo nelle sue dissertazioni.

(Ilarità — Approvazioni).

L’Italia, e perciò il suo Governo, hanno indubbiamente il dovere di tenere in particolare conto quelle città, quelle terre, quelle popolazioni che subirono e subiscono i danni maggiori.

Già il mio predecessore a Venezia fece consimili dichiarazioni.

Parecchi colleghi ci hanno parlato delle città del Veneto, dei paesi che sono al confine dove si combatte e che tanto soffrono.

Il deputato Pacetti ed il deputato Facchinetti ci parlarono della costa adriatica;

ed il deputato Pacetti ha svolto un provvido programma che riguarda non solamente i provvedimenti immediati, ma anche quelli avvenire per ciò che riflette i lavori necessari sia nello sviluppo delle ferrovie, sia per i porti della costa adriatica;

Il discorso dell’onorevole Pacetti deve essere e sarà tenuto in particolare considerazione.

Il collega Lembo ci ha parlato di Bari, città che merita tanto poichè ha dato prove di patriottismo all’Italia in ogni tempo e tanto recentemente ha sofferto.

Il collega Cotugno parlò non solamente della sua Trani, ma parlò delle condizioni di tutte le Puglie.

Le Puglie infatti, si affrettarono a seguire la via del progresso, così nell’agricoltura, troppo presto trasformandosi, così nello sviluppo dato con tanto slancio di incivilimento alle proprie città, quelle Puglie che specialmente da tre anni soffrono per l’invasione di animali più che perversi all’agricoltura, che soffrono in questo momento per la mancanza delle sementi, che soffrono per quei fatti che l’onorevole Cotugno ci ha qui ricordati, rispetto cosi alle condizioni dei proprietari come alle condizioni dei contadini anche in ordine ai contratti agrari colà vigenti, di quelle Puglie le quali con la serenità delle loro pianure senza angoli ricordano così bene l’armoniosa idealità italiana come con il loro mare additano le vocazioni dell’Italia per l’avvenire.

(Vive approvasioni).

Ma che cosa è il Ministero nazionale:

Permettetemi un ricordo:

quando, un giorno, l’onorevole Canepa, in un suo discorso, ha effigiato il Ministero nazionale la Camera lo ha fragorosamente applaudito.

Che cosa significava quell’applauso:

A parer mio un sentimento di concordia, perchè il Ministero nazionale non è un Ministero da scriversi e da insegnarsi nei libri di diritto costituzionale, è un Ministero che corrisponde ad un momento storico del nostro paese.

(Approvazioni) È un Ministero che, io vorrei dire, personifica quell’eloquenza patriottica che più volte l’onorevole Cappa ha fatto risuonare in quest’aula.

Ed ecco come concepisco il Ministero nazionale.

(Commenti).

E perciò chi non sente la nostra guerra, chi non sente tutta la santità della nostra guerra, — tutti sentono la guerra nel desiderio che il paese vinca, — chi non sente la guerra ardentemente, non può sentire che cosa sia il Ministero nazionale, perchè esso è il Ministero della concordia per la guerra e per la vittoria.

(Vive approvazioni — Applausi).

Ed allora così essendo, l’onorevole Treves mi concederà di dirgli che egli ha spostato la questione.

Io sono uso a seguire studiosamente i suoi discorsi perchè, quando lo intendo, mi pare di leggere, come in anni passati, le polemiche di Marx ove dalla realtà dei fatti, sorge l’ideologia e dall’antitesi scaturisce la critica.

E da Marx mi pare singolarmente temprato il nobile e forte ingegno dell’onorevole Treves, che ben so per altro consapevole e partecipe degli svolgimenti e delle variazioni onde la dottrina del maestro prosegue.

Egli ha descritto che cosa sia il Governo costituzionale parlamentare in sè, secondo la concezione sua, e poi ha detto che la concordia è la negazione di questo Governo.

Così egli ragionava elevando il suo assunto alla dignità essenziale di un principio necessario indeclinabilmente e con magistrale ed eloquente ideologia oltrepassava il fatto presente.

E quando mi condannò come eretico del diritto costituzionale io sentii entro me stesso quasi uno sgomento, ma subito pensai all’Inghilterra e all’esempio che di là venne, e di quel paese non si è mai sentito dire che sia eretico nel diritto costituzionale.

(Approvazioni).

Ma questo Ministero ha un’altro compito:

quello di chiamare ad una più larga e viva partecipazione al Governo tutti i partiti e tutte le tendenze.

Si è detto e ripetuto che le Commissioni, così dette di sorveglianza, di controllo, o come si vogliano appellare, siano state abbandonate, perchè qualcuno degli uomini che mi hanno fatto l’onore di entrare nel gabinetto — parlo dell’onorevole Sonnino — ha voluto ciò come condizione assoluta.

Ora affermo alla Camera che nessuno dei miei colleghi ebbe a porre la condizione di abbandonare le Commissioni di controllo, perchè io fin dal primo momento che mi provai a sciogliere la crisi, sono partito dal principio che non dovessero ammettersi le Commissioni di controllo (Commenti), così come non le aveva ammesse il Ministero precedente.

E perchè:

Perchè, onorovole Treves, esse contraddicono a quelle istituzioni costituzionali, ch’ella prese a fondamento della sua critica arguta, potente, cortese.

Le nostre istituzioni non ammettono le Commissioni di controllo; e poi, immaginate pure che si potessero conciliare, il che non credo, teoricamente, con le nostre istituzioni, come eserciterebbero l’azione loro:

Saranno Commissioni per informazioni:

e allora le persone che ne fanno parte saranno vincolate dal segreto, e in questo caso le cose di Governo invece di essere a conoscenza di un numero più limitato di persone verranno a sapersi da un numero maggiore e non si comprende l’utilità che ne deriverebbe.

Simili Commissioni hanno un voto consultivo semplicemente e non contano nulla, o hanno voto deliberativo e eliminano o sconvolgono o attenuano la responsabilità ministeriale:

Sarebbero dei ministri che non governano, avrebbero una azione nella pubblica cosa senza alcuna responsabilità.

(Commenti).

E non è una oligarchia, onorevole Treves, quella che si è stabilita col Ministero nazionale, poichè maggiore oligarchia sarebbe quella di Commissioni le quali non avrebbero alcuna responsabilità, non si sa bene che cosa dovrebbero deliberare, e intanto non lascierebbero più intera l’opera del Governo.

Ecco il perchè le Commissioni, non so come dire, se di controllo o di vigilanza, non si sono accolte.

Io spero che la Camera consenta in questo concetto, che è molto meglio vi sia un maggior numero di uomini al Governo rappresentanti di tutti i partiti, ma con opera continua, con responsabilità propria, anzichè esservi intorno al Governo degli enti con azione interrotta e senza responsabilità.

(Approvazioni).

Oltre alla più larga partecipazione dei diversi partiti al Governo, questo si varrà della cooperazione di tutti coloro che nel Parlamento o nel paese hanno speciali competenze.

Il collega Agnelli ci parlava del volontariato civile.

Noi l’invochiamo e molto ci gioverà.

Non bastano le competenze, che non chiamerò burocratiche perchè è una parola pregiudicata, non bastano le competenze dei funzionari permanenti, occorre che l’opera del Governo si illumini e si ravvivi continuamente mercè la competenza speciale di coloro che operosi nella vita del paese sanno e veggono e praticano molte cose.

E ieri quando l’onorevole Dugoni proponeva che si sentissero per determinare i prezzi e gli acquisti militari persone competenti intorno al ministro di agricoltura e al ministro della guerra, pensavo che l’amico e collega Raineri riterrà molto utile di seguire questo consiglio non nuovo per lui, che già cominciò a richiedere simili cooperazioni di uomini di speciale competenza.

(Approvazioni — Commenti).

E qui, prossimo alla fine, dirò all’onorevole Giacomo Ferri che io, modesto cultore di studi storici, so quanto sia difficile scrivere la storia, anche cercandola nei documenti degli archivi.

Peggio scrivere la storia della crisi.

E posso assicurarlo che quando si indugiò a parlare della storia delle crisi, ha seguìto delle informazioni fantastiche, non corrispondenti alla realtà dei fatti che si sono svolti da parte mia e a me d’intorno.

Egli si dilettò a fare con molta vivacità ed anche con molta arguzia dei profili.

Ora nel mio profilo, del quale gli sono gratissimo, c’è una parola che, pel posto in cui ho l’onore di essere, non mi è sembrata tale da poterla accogliere come caratteristica per l’azione mia.

Egli disse che io sono, un uomo lodato per la mia mitezza.

(Ilarità — Commenti).

Sentendo quel suo aggettivo, io mi sono ricordato dell’incontro che fece Dante nel Purgatorio, con quel signore d’Atene, che era «benigno e mite» il quale, con volto temperato, gli disse ciò che intendeva per mitezza.

Che farem noi a chi mal ne desira, Se quei che ci ama è per noi condannato:

Ciò significa che la mitezza si deve adoperare verso coloro che amano, cioè, in questo caso, verso coloro che amano la patria e che seguono da buoni italiani le aspirazioni di questo amore;

ma che si devono combattere tutti coloro che male desiderano rispetto ai diritti, alle libertà, alla gloria, alla vittoria della patria nostra, dentro e fuori d’Italia.

Ed io assicuro la Camera che, nonostante la mia indole mite e la mia mite età (Ilarità), se venissero giorni nei quali questa mitezza si dovesse cambiare in tutte le forme del vigore troverei nel mio sentimento e nelle mie idealità tale vigore da scordarmi di essere stato un uomo mite.

(Bravo:

— Applausi).

Io ho fiducia, onorevole Zibordi, che non vedrò mai sorgere quelle barricate delle quali ella ci ha parlato.

Le barricate contro i nemici, e speriamo non ne occorrano mai più, si; e Milano insegnò, nel 1848, e quelle barricate furono gloriose.

Ma le barricate tra cittadini e cittadini, mai più.

(Approvazioni).

Perchè può essere certo l’onorevole Zibordi che non solo questo Governo, ma qualunque Governo sarà a questi banchi non dimenticherà i doveri verso le classi lavoratrici delle città e delle campagne.

(Approvazioni — Applausi).

E noi questo dovere adempiremo nel modo più pronto, più equo, più valido che ci sia concesso di fare.

Poichè scopo nostro supremo è la pacificazione, la concordia sociale in tutte le sue forme (Vive approvazioni), la pacificazione e la concordia sociale che è la prima vittoria entro i confini della patria, per assicurare la vittoria su le orde nemiche.

(Vive approvazioni — Applausi).

Se la Camera consente nei pensieri da me esposti, che rappresentano i propositi del Ministero, ci suffraghi e ci conforti col suo voto pieno, aperto, sincero, sicuro voto di fiducia.

Giova sempre ai Governi essere forti di un largo appoggio del Parlamento: nell’istante in cui siamo è necessario.

La Camera, il Parlamento, non è, onorevole Turati, quella moglie incomoda, che si cerca di tenere nascosta e di rimandare il più presto che sia possibile al celato focolare domestico.

Non lo è.

Io vivo qui con essa da quarantacinque anni e so e vedo che si ringiovanisce sempre.

E mentre noi domandiamo che la Camera ci conceda uno spazio di esercizio finanziario corrispondente a ciò che le consuetudini nostre e l’andamento dell’Amministrazione raccomandano, mentre domandiamo ciò, può essere certo l’onorevolo Turati che tutte le volte che ci potrà occorrere, per i supremi interessi della Patria, la parola viva — e direi il bacio, per mantenermi nel paragone (Viva ilarità), se fossimo unanimi — la parola desiderata di questa consorte non importuna, che è la Camera dei deputati, noi la chiameremo, noi ci rivolgeremo ad essa.

(Vivissime approvazioni).

Ora prego i proponenti degli ordini del giorno di accogliere (quelli che possono farlo) le mie preghiere.

L’onorevole Pacetti di certo consente di ritirare l’ordine del giorno presentato, volendo rammentare quanto ho detto.

Non oso dire all’onorevole Turati di ritirare il suo.

(Si ride).

Al collega Facchinetti fo eguale preghiera.

Fo eguala preghiera al collega Grosso Campana, il quale troverà modo, intendendosi col ministro di agricoltura, di sciogliere insieme con l’onorevole Dugoni il dissenso che esiste tra loro rispetto al prezzo del frumento.

(Si ride).

Prego l’onorevole Cotugno di ritirare il suo ordine del giorno.

Eguale preghiera fo al collega Lembo, eguale preghiera al collega Roi.

Eguale preghiera al collega Federzoni, anche per la ragione che gli dissi, che non voglio fare il ministro loquace.

Uguale preghiera rivolgo al collega Schiavon ed al collega Gasparotto, poichè ci siamo trovati d’accordo.

Credo che il deputato Morgari abbia mirato più a fare una dichiarazione di principî che a provocare un voto della Camera sul suo ordine del giorno e perciò spero che lo ritirerà.

Il collega Zibordi spero che vorrà fare altrettanto.

Al deputato Tovini rivolgo uguale preghiera.

All’onorevole deputato Marchesano ricordo che abbiamo fatto tanta eco ai sentimenti manifestati colla sua calda eloquenza, e credo vorrà ritirare il suo ordine del giorno.

Pregherei l’onorevole Camera, che ringrazio non solo delle parole, che mi ha rivolto, ma anche del ricordo della «Dante Alighieri», poichè egli può essere certo che non cesso dall’esserne anche spiritualmente il Presidente; pregherei l’onorevole Dari coi suoi amici, l’onorevole Cao-Pinna e l’onorevole Teso di formare dei loro ordini del giorno un ordine del giorno solo, sul quale il Ministero porrà la fiducia che invoca dalla Camera e che confida di ottenere.

(Vivissimi e prolungati applausi).

BOSELLI, presidente del Consiglio.

(Segni di vivissima attenzione).

Onorevoli Senatori:

Quando ieri Guglielmo Marconi pronunciava il suo discorso così ricco di idee, espresse con forma squisitamente incisiva, io venivo immaginando che intorno a lui si raccogliessero gli spiriti di quegli uomini insigni nella scienza che ebbero memorabile consuetudine in quest’Aula, da Giovanni Plana a Giovanni Schiapparelli, da Luigi Cremona a Francesco Brioschi, da Stanislao Cannizzaro a Galileo Ferraris, e andavo meco stesso pensando che quost’Assemblea non è solamente l’altissima Assemblea politica del nostro Paese, ma è un Consesso che nobilmente rappresentò sempre e sempre rappresenta la dignità scientifica, il dotto pensiero dell’Italia nostra.

(Approvazioni vivissime; applausi).

E mentre ieri si parlò con eloquenza filosofando di quei maestri antichi della classica politica, io pensavo che per verità essi sarebbero paghi perchè credevano che gli ottimi reggitori della cosa pubblica, quelli dovessero essere nei quali insieme col patriottismo risplendesse la più alta intellettualità e la più sicura sapienza.

(Vivissime approvazioni).

E mentre io queste cose andavo immaginando e pensando, studiosamente seguivo le idee del Senatore Marconi, il quale, come usano gli uomini pari suoi, non s’indugiò nella sterilità della critica, ma dai fatti presenti trasse gli insegnamenti per l’avvenire.

E dei suoi insegnamenti rispetto ai noli e al carbone terrà grande conto il Governo, e delle risorse non abbastanza conosciute d’Italia si farà il Governo rivelatore e propagatore, come egli mostrò di desiderare quando accennò che come si è rivelata un’Italia mirabilmente spirituale, così mestieri è che si riveli meglio l’Italia delle proprie risorse naturali ed economiche.

Come si rivelò l’Italia spirituale ben mostra di conoscere il Senatore Marconi.

L’anima del nostro Paese fu sempre tale:

tacita, quando i grandi avvenimenti non si verificano, ma mai illanguidita, mai spenta, poichè o scoppi la grande rivoluluziono francese, o dopo lunga posa giunga il 48, o dopo lunghi anni in cui pareva vinta la nostra gioventù da un senso materialistico anziché dai nobili entusiasmi, sopraggiungano avvenimenti di magnanima ispirazione come quelli cui assistiamo, e l’anima italiana che non si spegne mai nè illanguidisce, risorge dalla terra, come a dire dalla sacra madre italica e compie i miracoli che ci fanno gloriosi e cui applaude tutto il mondo civile.

(Applausi vivissimi).

Il Senatore Marconi desidera che in Inghilterra meglio si conosca ciò che noi facciamo per reciproca solidarietà e che in Italia meglio delle opere della solidarietà inglese si abbia conoscenza.

Anche a ciò si può provvedere, ma io penso che una parola sola del senanatore Marconi, detta in Inghilterra, varrà meglio di molte pubblicazioni che possa fare il Governo.

A due cose egli accennò rispetto all’avvenire: alla ricostituzione della nostra marina e specialmente della nostra marina mercantile, argomento del quale parlò oggi eziandio il mio amico senatore Maggiorino Ferraris, congiungendo insieme alla restaurazione marittima anche la restaurazione dell’agricoltura, alla quale da lunghi anni egli consacra tanti studi cospicui ed importanti.

Alla restaurazione della marina mercantile è evidente che il Governo debba in qualche guisa efficacemente provvedere.

Noi non possiamo attendere che venga il giorno in cui il commercio ritorni alle sue condizioni normali, senza che noi abbiamo i mezzi marittimi per servire il commercio proprio del nostro paese e per riprendere quelle vie delle navigazioni lontane che ci sono proprie e naturali.

Il nostro paese, ben lo accennò il senatore Marconi, perchè Dio così ha voluto, perchè il mare c’invita continuamente alle sue operosità, perchè una gran parte dell’Italia nostra ha sopratutto la fibra marinara, il nostro paese, sarà una grande nazione marittima, o non potrà essere una grande nazione.

(Vivi applausi).

FRANCHETTI.

Abolite le sovvenzioni:

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Io credo in tutto alla libertà fino al punto in cui la libertà è necessario sia integrata dallo Stato:

non fui mai amico di quella forma di aiuto che sono le sovvenzioni, ma giudicare oggi del metodo col quale il Governo possa efficacemente far risorgere la marina mercantile parmi ancora prematuro;

tuttavia l’interruzione del senatore Franchetti non sarà dimenticata.

Altro sguardo all’avvenire diede il senatore Marconi quando, raccogliendo, e glie ne sono grato, le mie parole, disse dell’avvenire della scienza e raccomandò sopratutto la libertà.

Io sono dell’opinione sua.

Noi avevamo in Italia un insigne statuto di libertà nell’alta cultura, la legge Casati:

abbiamo creduto di riformarla; la libertà non ci ha di certo guadagnato, e ignoro se ci ha guadagnato la scienza.

(Benissimo).

Avendo avuto occasione, mi consenta il Senato questo ricordo personale, in tempo non lontano, di dar opera per la costituzione di un grande istituto italiano, il Politecnico di Torino, io ho ottenuto che fosse costituito nelle massime forme dell’autonomia, ed alla Camera dei deputati discorrendo di quel disegno di legge, aggiunsi il voto che simile ordinamento di libertà si rechi ad effetto, costituendo le autonomie di tutti gli istituti superiori d’istruzione e delle nostre Università.

(Approvazioni).

Io vorrei possedere l’eloquenza gemmata o se volete meglio: armoniosa, limpida dell’onorevole Maggiorino Ferraris...

FERRARIS MAGGIORINO.

Non sono che suo allievo.

BOSELLI, presidente del Consiglio....

Ella mi ha testè commosso con le parole a me rivolte ed ora vuol vincermi in cortesia.

Rinuncio perciò a ringraziarla.

L’onorevole Ferraris ci ha trasportati a ciò che avverrà dopo la guerra, premettendo però ciò che durante la guerra conviene fare perchè il Paese nostro non si trovi nell’isolamento.

Il Governo terrà nel ricordo che meritano le idee e gli incitamenti di un uomo di tanto valore e di tanto studio.

Non posso seguirlo in tutte le sue proposte, concernenti i tempi che seguiranno alla guerra, però a lui e ai senatori Mazziotti, De Novellis, e anche al senatore Fracassi, che parlarono della recente Conferenza economica tenuta a Parigi, debbo rispondere che tutto ciò che sostanzialmente essa approvò fu reso di pubblica ragione nel nostro e negli altri paesi alleati.

Non si trattava di una Conferenza che stringesse accordi definitivi, ma di una Conferenza che addivenne a deliberazioni prese dai delegati ad referendum.

L’Italia fu in quella conferenza rappresentata con molto valore dal già Ministro Edoardo Daneo.

Questo è certo che il nostro Governo non prenderà.

impegni (e già lo si dichiarò ripetutamente alla Camera dei deputati) pei tempi successivi alla guerra senza il consenso del Parlamento.

(Benissimo).

Quando quel tema verrà dinanzi al Parlamento acquisteranno anche maggior valore quelle avvertenze d’indole commerciale che con tanta diligenza ha raccolto il senatore De Novellis, e quei cenni sulle importanti nostre esportazioni nei varî paesi che ieri ha qui recato il senatore Mazziotti.

Il senatore Ferrero di Cambiano parlò dell’assicurazione obbligatoria per le classi operaie.

Io non posso dire ora il pensiero del Governo;

ma quale sia il mio pensiero egli lo conosce.

Non è questo un problema che si sciolga con una semplice affermazione, questo solo posso dirgli: che l’argomento rientra in quelle provvidenze che il Governo intende di preparare, per il giorno in cui la guerra sarà cessata, a giusto riguardo delle classi sociali che danno alla patria il loro lavoro così nell’officine come nei campi.

Quanto alla costituzione del Ministero, io ringrazio gli oratori che hanno parlato per i concordi giudizi palesati, come li ringrazio per la benevole e larga accoglienza che fecero a me e ai miei colleghi.

Pareva dapprima che l’amico Muratori mettesse alla sua fiducia qualche riserva;

ma egli si è limitato a volgere un saluto al mio predecessore, saluto al quale si è unito anche il senatore Morra, saluto che io ho anticipato nelle comunicazioni del Governo e che risponde pienamente al mio pensiero e all’animo mio.

(Approvagioni vivissime).

Il senatore Muratori con la sua fervida eloquenza rammentò la benevolenza ch’ebbero per me Francesco Ferrara, il maestro incomparabile, e Francesco Crispi, nel quale s’impersonò tanto entusiasmo patriottico e s’impersonò tanta storia del risorgimento italiano.

Io caldamente ringrazio l’on. Muratori per i ricordi che vivono e vibrano prediletti nell’animo mio.

Non discutiamo oggi, on. Muratori, una tesi costituzionale.

Che cosa significa un Ministero nazionale:

Significa in questo momento un patto di concordia per la santità della Patria, significa un Ministero nel quale uomini di tutti i partiti e di tutte le tendenze operano concordi per la guerra e per la vittoria.

(Applausi).

Non è un capitolo di diritto costituzionale, è un fatto politico sorto con intento salutare per la patria;

do perciò al senatore Muratori la risposta stessa che diedi al deputato Treves che aveva il medesimo scrupolo di ortodossia costituzionale che manifesta oggi l’on.

Muratori.

(Ilarità, denegazioni del senatore Muratori).

Ringrazio il senatore Pellerano per il discorso suo di patriottica ispirazione e di piena fiducia nel Ministero.

Al senatore Fracassi la composizione del Ministero diede un istante di sgomento.

(Si ride).

FRACASSI.

Nessuno sgomento.

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Egli vi vide un mostro, così ha detto, e io dei mostri di ogni specie mi spaventai sempre anche nella mia gioventù (Si ride).

Il senatore Fracassi si era sgomentato un istante, ma poi ha visto nascere la bella concordia dai nostri banchi e cortesemente ci ha accordato la sua fiducia.

Anzi a lui parve che i Ministeri istituiti avrebbero dovuto esserlo con carattere permanente, ciò che non abbiamo fatto per non anticipare i voti del Parlamento preceduti da ampia ed opportuna discussione, e perchè urgeva provvedere alla costituzione di questi ministeri, che anche essi hanno in questo momento missione di guerra.

(Bene).

Qualche altro oratore accennò anche che altri Ministeri si sarebbero potuti creare (Commenti), e sembrami che il senatore Mazziotti avrebbo voluto un Ministero delle munizioni.

Io posso assicurarlo che vi sia o no il Ministero, l’opera per procurare le munizioni necessarie ai nostri combattenti procede validamente ed energicamente.

Eguale assicurazione mi è grato dare al senatore Morra, che testè parlò del medesimo argomento.

Ed assicuro il senatore Mazziotti che l’esservi un Ministero o l’esservi un sottosegretariato di Stato, quando il compito importantissimo ed urgente è affidato ad un uomo del valore e della energia del generale Dallolio (Approvazioni), la questione ha poca importanza; e può essere certo il Senato che l’opera di questo valente generale che ha tutte le competenze tecniche e insieme l’ardore dell’apostolato e che creò mirabilmente la mobilitazione industriale, non trovò e non troverà mai alcuno ostacolo in alcun’altra parte dell’Amministrazione della guerra.

Il senatore Fracassi non ha ravvisato nella sua vera fisonomia la funzione costituzionale dei Ministri senza portafoglio.

I ministri senza portafoglio sono ministri in tutta la dignità, in tutta l’efficacia dell’azione governativa, ed assumono alla pari degli altri ministri, tutta la responsabilità del Governo.

Oggi possono essere senza portafoglio e con determinate funzioni, domani possono passare a reggere un dicastero;

insomma il ministro senza portafoglio è un uomo politico che unisce l’opera sua come uomo politico e parlamentare all’opera del Gabinetto, ed in questo caso rappresenta in modo singolare quella più larga, attiva e continua partecipazione del Parlamento agli uffici del Governo, che a parer mio è l’unica consentita dalle nostre istituzioni.

E insieme a questa partecipazione di uomini politici, il Governo più e più sempre cercherà la partecipazione del Paese, degli uomini più competenti che nel Paese vi siano rispetto alle varie questioni, poichè il Governo sente ciò che ha detto ieri nel suo discorso eloquente l’amico senatore Mazziotti, sente la necessità del contatto con la pubblica opinione, sente che questa è una guerra di popoli, e che per condurla valorosamente e vittoriosa mente conviene che il Governo sempre viva, si agiti e senta ed operi stretto col popolo nostro, unanime con esso.

(Bene).

Il senatore Barzellotti cui il grande valore oratori o presta qualche volta dei colori assali accesi, come avviene ai grandi pittori ed ai grandi oratori, ieri ha ben commentate le mie parole, ed io le confermo.

Ma poi spaziò in una serie di fatti, nei quali io non saprei e non potrei seguirlo.

Intendo la concordia e la pacificazione sociale quale l’ho definita nelle parole che egli ha rammentate.

Egli ed i suoi colleghi Mazziotti e Ferraris chiesero al Governo che cosa avverrà della censura;

oggi il senatore Muratori prese vigorosamente la difesa di questo istituto passeggero, che è intanto da giustificarsi in quanto è connesso col diritto della patria, entro i limiti di questo diritto.

Che cosa è il diritto della patria:

Forse il mio amico Orlando, maestro sicuro e geniale di ogni parte del diritto, ve lo potrebbe definire;

io dico con pensiero politico che il diritto della patria richiede tutto ciò che occorre continuamente e secondo le circostanze per difendere i supremi interessi della nazione, per impedire che si deprima l’animo dei combattenti e dei non combattenti, perchè l’impresa italiana iniziata vigorosamente si conduca a termine con eguale vigore e col consenso generale, non turbato da passioni e da perfidie di parte.

(Applausi).

Del resto, è scritto nel decreto del 23 maggio che la censura proibisce tutto ciò che possa pregiudicare l’interesse nazionale della guerra:

al di là verrebbe l’arbitrio ed io non penso che alcuno voglia giungervi.

Entro questi termini è la difesa della Patria, ed è far meno di ciò che altri Stati hanno fatto.

Il senatore Mazziotti ci parlò delle riforme dell’Amministrazione:

egli sa per antica consuetudine amichevole che io consento pienamente con lui, come consento col senatore Ferraris intorno ai nuovi atteggiamenti che debbono prendere i pubblici servizi.

Il senatore Muratori ha commentato ciò che io dissi nelle dichiarazioni del Governo intorno alle riforme che conviene sian fatte in ogni parte della nostra legislazione.

Il Governo, anche nelle urgenti e gravi cure di questi tempi, darà opera agli studi che debbono preparare simili riforme, e saranno desse preparate al di fuori di ogni interesse di partito, di ogni pregiudizio di scuola, da uomini che non solo appartengono al Gabinetto cho ho l’onore di presiedere, ma appartengano per il loro sapere al lustro e all’altezza della scienza italiana ed i quali sapranno ben congiungere insieme ciò che è conforme all’indole del nostro Paese e ciò che è conforme all’eterna ragione del diritto.

(Vive approvazioni).

Di Venezia io parlai alla Camera dei deputati, parlai qui per guisa che il senatore Muratori può esser certo che io concordo pienamente con lui nel salutare con ammirazione questa più che eroica città (Benissimo) e nell’assicurare il Senato che il Governo non la dimenticherà mai (Bene:

Bravo), non solo nel sentimenti dell’amniirazione ma anche in quei provvedimenti che sarà giusto rechino conforto e compenso là dove oggi sono maggiori i sacrifizi e piu gravi i dolori.

(Approvazioni vivissime).

Il Senato mi assolva so io non entro a discorrere di una questione che testè ha agitato per un’istante quest’aula.

lo confermo ciò che è scritto nelle dichiarazioni del Governo:

le due Camere, e di certo la prima fra esse, le due Camere concorreranno del pari ai lavori legislativi.

È una assicurazione che già più d’una volta credo sia stata data al Senato, ma quando ieri io dissi che nelle mie parole v’e lo spirito interiore, volevo dire che è proposito mio e di tutti i miei colleghi di mantenere questa promessa in tutta la sua giusta, precisa ed intera espressione.

(Vive approvazioni).

Così mi è grato rispondere alle alte considerazioni del senatore Mazziotti.

Io non discuto l’art. 10 dello Statuto, che anche in Piemonte fu molto discusso e variamente interpetrato.

A che aprire lo Statuto, per dimostrare quanta dignità abbia il Senato italiano; con quanta competenza egli possa esercitare il suo alto ufficio legislativo e parlamentare in tutte le parti della nostra legislazione:

Non è solo per l’art. 10 dello Statuto, è per la sapienza vostra, per il rispetto che meritate, per l’opera che avete sempre dato per la patria che il Governo userà verso il Senato tutti quei riguardi che non sono solamente nel desiderio vostro, ma corrispondono a un vostro diritto e al dovere del Governo.

Nè io do altre assicurazioni al Senato.

Mi parrebbe di venir meno al rispetto che al Senato io devo e professo.

Il Senato assicura a se stesso la propria dignità e il proprio avvenire con l’opera sua.

Tutta la sua storia è fulgida di dignità, di onore e di patriottismo italiano, dai primi anni del risorgimento, quando il Senato subalpino proclamò l’unione al regno sardo, delle terre lombarde ed esaltò i diritti nazionali delle Venezie, quando primo proclamò cittadini di quel regno tutti gli altri italiani.

Quel Senato che proclamò il regno d’Italia, presente Alessandro Manzoni, quel Senato che in un giorno di trepidazione intese Giacomo Durando a dire «se l’Italia sarà disfatta noi la rifaremo:», quel Senato che Federico Sclopis disse che dovunque trasportato sarebbe sempre il tempio di Giove Statore, quel Senato diede, dà e darà sempre a se stesso la propria altissima dignità e la propria gloria così nella vita pubblica, come nella storia della patria italiana.

(Applausi vivissimi e prolungati).

In quanto agli ordini del giorno, io potrei dire che il Governo li accetta tutti, e prego gli onorevoli senatori Pellerano, Mazziotti e Morra di voler riunire in un solo i loro ordini del giorno e precisamente in quello dell’onorevole Pellerano.

Il Governo accetta pure gli ordini del giorno del senatore Enrico di San Martino e del senatore Conti riuniti in un solo riguardanti gli invalidi, gli orfani dei caduti in guerra, confermando quanto ha già espresso nell’altra Camera a questo riguardo, giacchè nel tempo in cui si stanno elaborando le due leggi presentate alla Camera dei deputati, occorre dare dei provvedimenti ai quali il Governo non verrà meno a quanto è mestieri per la pietà verso gli orfani, per riparare alla sorte dei mutilati, e perchè anche l’assistenza patriottica ha bisogno di essere coordinata e controllata.

(Benissimo).

A questi effetti il Governo provvederà ed accetta volentieri i due ordini del giorno riuniti in uno solo.

(Approvazioni vivissime).

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Dopo i discorsi dei colleghi miei che hanno risposto ai vari oratori, e dopo il discorso che la Camera intese testé dal mio collega del Tesoro, altro compito a me non rimane se non quello di dichiarare quale ordine del giorno accetta il Governo.

Comincio però dal rivolgere preghiere ai vari proponenti degli ordini del giorno perchè vogliano consentire a volgere in raccomandazioni quelle proposte che essi avrebbero desiderato fossero deliberate dalla Camera.

Anzitutto mi rivolgo all’onorevole Montemartini, il quale ha avuto spiegazioni chiare e precise, e sostanzialmente favorevoli, dai due ministri che hanno parlato.

Egualmente all’onorevole Beltrami rivolgo la stessa preghiera, poichè ha inteso che i voti da lui espressi furono già in gran parte adempiuti.

L’onorevole Goglio, dopo la discussione avvenuta e le osservazioni così del collega Soleri come del ministro delle finanze, confido non insisterà nel suo ordine del giorno, il quale anzichè presentare una proposta positiva intendeva di accennare alla Camera un determinato indirizzo di riforme finanziarie.

In massima il collega dell’interno ed io, e gli altri ministri che hanno competenza intorno alla materia accennata nell’ordine del giorno del deputato Salomone, accettiamo tale suo ordine del giorno, ma come raccomandazione.

Ai colleghi Maffi, Brunelli, Bianchi ed altri ha risposto il ministro della guerra, ed io penso che in parte siano sodisfatti delle risposte avute, e che per quelle parti intorno alle quali non avessero avuto piena sodisfazione, vorranno che queste rimangano come raccomandazioni, anzichè insistero per provocare un voto della Camera.

All’onorevole Teso e colleghi ha risposto il ministro della guerra e ad essi ripeto la preghiera di non insistere nel loro ordine del giorno.

Il ministro delle finanze disse agli onorevoli Soleri e Brezzi come il Governo non ha sostanzialmente alcuna difficoltà a consentire nei propositi, da loro espressi nell’ordine del giorno;

ma io prego questi amici miei di seguire l’esempio, che raccomando a tutti gli altri deputati, e cioè di concedere che l’ordine del giorno sia considerato ed accettato dal Governo come una raccomandazione, perchè in ogni sua parte corrisponde agli intenti e all’opera finanziaria del Governo stesso.

All’onorevole Romanin -Jacur ha risposto così esaurientemente il ministro del tesoro, che non mi occorre nemmeno di rivolgergli la solita preghiera.

Questa preghiera rivolgo invece all’onorevole Giretti.

Il collega Rava ha trattato anche oggi, con quella competenza e con quella eloquenza, che gli sono proprie, la questione delle pensioni di guerra.

Il ministro del tesoro dichiarò a lui quanto già si fece e quanto si farà ancora, muovendo dalle idee e dai sentimenti stessi che hanno inspirato i suoi studi e commosso la sua parola.

in quest’Aula e fuori.

Un ordine del giorno, inspirato da alti sentimenti, e svolto con alta parola, come è costume suo, ci venne recato innanzi dall’onorevole deputato Luzzatti in nome della Commissione, che esamina i disegni di legge per provvedere agli invalidi ed agli orfani dei morti in guerra.

Egli assicurò il Governo che questa Commissione competentissima procederà nei propri lavori.

Il Governo confida che essa farà quelle proposte che meglio si convengono all’uopo e da parte sua sarà sollecito di cooperare con la Commissione medesima.

Intanto accenna la Commissione e sente il Governo che vi sono dei provvedimenti urgenti, i quali debbono essere adottati, anche prima che la Commissione assolva tutto il compito suo, che è molto arduo, specialmente in quelle parti che riguardano le riforme giuridiche e quell’ordinamento della famiglia, cui accennò con parola così eloquente l’onorevole Luzzatti.

Questi provvedimenti urgono per gli orfani in quanto che oggi, intorno a questo grande compito, che non dirò di assistenza sociale, perché è compito di dovere nazionale (Bene:) si procede con varî sistemi, senza quella unità di concetti e di opere che è sommamente necessaria perchè questo dovere nazionale si compia in modo che riesca più efficace e più benefico.

Ugualmente per la questione degli invalidi è urgentissimo di provvedere, perchè le nobili, le generose iniziative che a questo riguardo sono sorte e si svolgono nel paese non procedano anch’esse con concetti disformi di ordinamento e di opera chirurgica, con concetti disformi rispetto agli strumenti ortopedici che occorrono per i mutilati, per guisa che io so (e dico questo alla Camera perchè mi pare questione interessante) che molte di queste iniziative si rivolgono largamente a paesi esteri, con eccessivo dispendio, per far venire degli strumenti che si possono fare e si fanno benissimo anche in Italia.

(Approvazioni).

E se non cominciamo in questa occasione, anche per questo intento, a far sorgere noi queste industrie e ad agevolarle, a perfezionarle sempre più, anche per i bisogni avvenire, è inutile che parliamo del dopo guerra quando durante la guerra non riusciamo a provvedere come si conviene.

(Approvazioni).

E vi sono città d’Italia dove si può fare benissimo, per esempio Bologna, Milano, pagando assai meno e avendo ugualmente dei buoni strumenti.

(Segni di assenso).

Per addivenire ai provvedimenti che occorrono con sollecitudine, anche prima che la Commissione abbia compiuto il suo lavoro, il Governo procederà promuovendo i consigli della Commissione stessa:

e sarà un altra forma opportuna ed utile di cooperazione parlamentare.

Il deputato Luzzatti propose che la Camera, convenendo unanime nel proposito di provvedere sollecitamente agli orfani dei caduti in guerra e alla sorte dei mutilati, mandi da qui un saluto ai combattenti nostri per assicurarli che non solo il plauso della Camera va alla loro gloria, che non solo il cuore della Camera batte con il loro cuore, ma che è voto e volere assoluto della Camera che lo Stato italiano provveda alla loro sorte se invalidi sono, provveda ai loro figli se essi muoiono combattenti in guerra.

(Benissimo:)

Io mi associo a questo pensiero nobilissimo del deputato Luzzatti.

Diremo a un tempo a questi combattenti che il Governo e la Camera s’interessano anche alle loro pensioni di guerra, e questo saluto che partirà da qui oggi lo vorranno recare specialmente ai nostri combattenti di terra e di mare quelli fra i nostri colleghi che partiranno presto da quest’aula per recarsi un’altra volta a combattere valorosamente in mezzo ai nostri soldati e ai nostri marinai.

(Vivi applausi).

Lo direte tutti voi, onorevoli deputati, tornando nelle vostre città, tornando nelle vostre terre, poiché se giova dirlo a coloro che combattono, giova dirlo anche alle loro consorti, alle loro famiglie:

(Vivissime approvazioni).

Giova che non solo sul fronte dove si pugna, si muore e si vince, ma che in ogni focolare domestico si sappia che la Patria impone dei sacrifici, ma che la Patria non è solo grata con la parola, ma è e sarà con le opere provvida con tutti coloro che oggi soffrono per essa e un giorno avranno la gloria di aver partecipato a questa sua completa e vittoriosa resurrezione:

(Vivissimi applausi).

Accetto dunque l’ordine del giorno dell’onorevole Luzzatti.

Non mi attardo a pregare l’onorevole Modigliani e gli altri deputati perché ritirino i loro emendamenti.

Il ministro del tesoro ha spiegato le ragioni per cui non possono essere accettati.

Il termine a tutto il 31 dicembre egli ha dimostrato come sia una necessità;

negare questa necessità è implicitamente negare la fiducia.

Perciò il Governo pone la questione di fiducia sulla non accettazione degli emendamenti dell’onorevole Modigliani.

In altri termini il Governo non accetta questi emendamenti, e prega la Camera di respingerli, ponendo sopra questa votazione la questione di fiducia.

Manifestazioni estraparlamentari del Presidente del Consiglio durante l’autunno del 1916 [ [ Il 14 agosto 1916 il Consiglio Provineiale di Torino tenne, come gli altri Consigli Provinciali del Regno, la prima seduta della sessione autunnale.

In tale seduta l’On. Boselli fu rieletto Presidente del Consesso e tale riconferma avvenuta mentre l’illustre uomo era anche a capo del Governo, diede luogo ad una solenne manifestazione in suo onore.

L’On.

Boselli rispose con un breve discorso che riportiamo dal resoconto ufficiale dei verbali del Consiglio Provinciale. ] ]

S. E.

l’On. BOSELLI, rispondendo, con una brillante improvvisazione, ai precedenti oratori, ringrazia i Colleghi, il Prefetto e, in modo particolare, il sen. Palberti.

la cui eloquenza ha tutta la potenza che tocca il cuore;

lo ringrazia dei ricordi carissimi, e tutti ringrazia per la manifestazione ricevuta, che gli è di grande conforto, come di significazione di consenso all’opera sua, e per le continue prove di benevolenza e di fiducia che egli da tanto tempo riceve dal Consesso provinciale (Applausi).

Concorda con ciò che l’on. Palberti disse e soggiunge:

Guai a chi, in questo momento, accetta per sè inni e plausi, perchè inni e plausi devon rivolgersi solo ai prodi soldati che combattono, vincono, soffrono, muoiono per la redenzione nazionale (Applausi vivissimi; tutti i Consiglieri si levano in piedi ed applaudono.

Grida di:

Viva l’Esercito:

Viva Boselli:).

Continuando, egli invia un saluto alle famiglie dei nostri soldati caduti:

«Ad essi, egli dice, tutto il nostro plauso, un plauso che è vibrante di gloria, ma che nell’intime fibre dell’animo nostro ha un senso di dolore per le famiglie che rimpiangono gli estinti;

per le famiglie alle quali noi mandiamo il saluto, non dico del rimpianto, perchè non può essere pianto chi muore per la patria, ma il saluto dell’affetto, della riconoscenza, della fraternità nostra e di tutta la nazione italiana.»

(Applausi).

Afferma che lo Stato deve sentire e sente i doveri che ha verso queste famiglie e assicura che li adempirà.

(Bene).

Egli fu chiamato a far opera di concordia nazionale per la guerra italiana e per la guerra della civiltà;

concordia che deve essere guida continua del Governo, perchè in così gravi cimenti non vi può essere divisione se non fra coloro che amano la patria e quelli che non l’amano, fra quelli che hanno ferma fiducia nella sua fortuna e quei pochi — se pur esistono — che per la patria rimangono indifferenti.

Di questa concordia dà fulgidissimo esempio tutta la storia del Piemonte, onde nelle prove del 1706 e del 1859 la santità della patria potè stringere in un solo magnifico fascio di forze Principi e popoli, cittadini e combattenti:

nel 1706 per difendere la città da un formidabile assedio, nel 1859 per redimere dallo straniero la grande patria italiana.

(Applausi).

Un solo dev’essere in questo momento il pensiero di tutti:

la vittoria per la rivendicazione dei nostri diritti, la vittoria della civiltà, quella vittoria cioè che ci rende partecipi in intima, cordiale, indissolubile alleanza cogli altri popoli che, con noi, per la civiltà combattono.

E per la civiltà splendidamente, durevolmente, felicemente con essi dobbiamo vincere e vinceremo.

(Applausi vivissimi).

Questa fervida unione di animi non solo deve mirare alla vittoria per il compimento dei voti nazionali, ma deve preparare l’ascensione della patria nella prosperità del lavoro, nella elevazione della scienza, nella propagazione delle idee e delle scuole dalle quali l’industria nazionale deve trarre il più efficace incremento.

Conchiude rivolgendo un saluto al Re, che, colla sua presenza fra le schiere combattenti, è esempio del valore sereno ed è possente ispiratore delle nostre vittorie: al Re il nostro primo saluto, il nostro unanime applauso.

(Tutti i Consiglieri si alzano in piedi e applaudono lungamente, gridando:

Viva il Re).

Un pensiero riconoscente invia al Duca di Aosta, capitano esperto e valoroso, al quale, primo con le schiere sue, toccò aprire il.

varco alle nuove vittorie italiane; al Duca d’Aosta il nostro saluto;

il nostro saluto al generale Cadorna che così valorosamente guida le nostre schiere; a tutti i nostri soldati, a tutti i marinai nostri e, sopratutto, alla nostra bandiera la quale oggi sventola a Gorizia, e indubbiamente sventolerà ovunque la chiamano la favella italiana, i destini della storia, i diritti della nostra nazionalità.

(Applausi calorosi, insistenti; grida prolungate di:

Viva il Re:

Viva Trieste:).

[ [ Nell’agosto del 1916 il Ministro inglese di Commercio, Runciman, venne a passare alcuni giorni a Pallanza ed in quella occasione ebbe varie conferenze con i Ministri Arlotta (Trasporti) e De Nava (Industria e Commercio) per regolare la questione del prezzo dei noli, specialmente per il trasporto del carbone dall’Inghilterra in Italia.

Al Ministro inglese, nel viaggio di ritorno, in cui toccò Torino, fu offerto, in quella città, il 15 agosto, un banchetto, al quale intervenne l’On. Boselli, che, come si è accennato, era allora colà e che pronunciò il brindisi seguente: ] ]

lo mi alzo per esprimere l’omaggio nostro a S. M. Giorgio V, Re e Imperatore, alla sua Augusta Consorte e a tutta la Reale Famiglia, unendoci all’ammirazione che sente per essa il Popolo Inglese.

Mi alzo per onorare il Ministro Runciman e per onorare in lui il Governo della Grande Brettagna, che con opera così alta e vigorosa procede nel difendere i diritti della civiltà.

Io vi ringrazio, Onorevole Ministro, per la Vostra venuta in Italia, per questa Vostra visita cortese.

Mentre le nostre Nazioni sono congiunte nelle imprese della guerra, Voi veniste a stabilire quegli accordi che riguardano le necessità della vita economica e le urgenti e valide preparazioni della guerra medesima, accordi mercè i quali si aggiunge alla nostra alleanza una novella prova di piena e di cordiale solidarietà.

Noi siamo usi ad ammirare l’Inghilterra come la Nazione primogenita nelle istituzioni della libertà, siamo usi a rammentare, con animo riconoscente, come il Vostro Paese abbia dato ai nostri esuli asilo inviolabile e sincero favore alle idee a alle ardite imprese del nostro Risorgimento.

Qui, in faccia a noi, è il Palazzo dove il Conte Cavour firmò coll’Inghilterra il trattato che fu principio di nuovi tempi per l’Italia e, qui presso, è quell’aula parlamentare dove il Conte di Cavour, il fondatore dell’unità italiana, dichiarò di aver formate alla scuola dell’Inghilterra le sue ispirazioni e i suoi impulsi di ministro riformatore e la sua fede incrollabile nella libertà.

Nella storia della Casa di Savoia e della Monarchia Piemontese sono memorabili le fortunate alleanze colla Gran Brettagna.

L’unione di Genova al Piemonte, che costituì il primo evento auspicatore dell’unità italiana, fu pensata da Pitt, fu sostenuta principalmente dalla Gran Brettagna nel Congresso di Vienna.

Per atto di gradita amabilità siede fra noi la Vostra graziosa Consorte, e mentre ad Essa rivolgo il saluto devoto, mi è grato rammentare quanto le donne inglesi pensarono ed operarono per il trionfo delle idealità italiane.

Io mando un caldissimo, plaudente saluto ai vostri prodi soldati.

Le barbariche iniquità seppellirono nelle onde del mare il Guerriero insigne, l’altissimo Capitano, le cui gesta gloriose vivranno sublimemente non solo nella Vostra storia, ma nella storia di tutte le genti.

Nel fervore delle battaglie il Suo spirito sorge dagli abissi del mare e sempre guida il valoroso esercito inglese e sempre lo guiderà alla vittoria per il diritto delle genti e per le rivendicazioni della civiltà.

Gli accordi da voi intesi coi miei esimii e competenti Colleghi agevoleranno i commerci del mare.

Ma il mio pensiero si rivolge commosso ai naviganti cui non danno tregua le nefande insidie, e il grido di esacrazione che si eleva cosi potentemente dal Vostro Paese è il grido di tutto il mondo civile, è il grido di tutta l’umanità.

Ai Vostri Marinai, ai Lavoratori delle Vostre officine, meravigliosamente produttrici, io mando i saluti dei Marinai e dei Lavoratori Italiani.

Signor Ministro:

In questi giorni

Voi avete sentito intorno a Voi vibrare il sentimento, affermarsi il volere del popolo italiano.

La nostra alleanza, per ogni riguardo e in ogni intento intima e completa, non è solo alleanza di Stati e di Governi, ma è alleanza di popoli accesi da una medesima fiamma, concordi per raggiungere un medesimo scopo.

E decisi come siamo ad ogni cimento e ad ogni prova, lo raggiungeremo insieme cogli intrepidi nostri Alleati, i meravigliosi combattenti di Francia e di Russia; insieme coi figli del Belgio cui è serbata in questa tragica epopea la immortalità degli eroi e, nel giorno della invocata vittoria, la redenzione gloriosa; insieme colle schiere e colla valida opera degli altri Governi e popoli alleati.

Ciò che noi vogliamo risponde ai diritti della coscienza umana, alla difesa e alla ricostituzione delle nazionalità oppresse, alla restaurazione del diritto delle genti, ai destini insomma della civiltà, segnati da Dio e ai quali non può mancare il giusto, definitivo, durevole trionfo.

Il giorno successivo l’associazione della stampa subalpina dette un ricevimento in onore dell’Onorevole Boselli.

Il consigliere delegato dell’associazione Dott.

Gino Pestelli rivolse, a nome di tutti i soci, un caldo saluto al Presidente del Consiglio.

Ad esso si associò, con brevi parole, il socio anziano Senatore Teofilo Rossi, Sindaco della città.

L’Onorevole Boselli così rispose:

Carissimi signori ed amici:

Sono avvezzo alle cortesie della stampa, ma questa volta mi si è tesa un’insidia, una insidia dolce, alla quale non ho saputo sottrarmi.

Ero persuaso di venire oggi qui a stringere la mano ai giornalisti rimasti a Torino, dopo che tanti di loro hanno abbandonato la penna per il fucile: credevo di venire ad una riunione raccolta e famigliare, ed invece mi trovo qui innanzi ad una vera assemblea.

Io non avevo preveduto l’assemblea, non avevo preveduto i discorsi e per rispondervi devo improvvisare.

Non vi dirò che non so cosa dirvi, chè la sola vostra presenza suscita e moltiplica i miei pensieri e le parole, ma vi dirò quello che sento di dirvi, cosi alla buona, senza la pretesa di fare un discorso.

Poichè mi trovo fra giornalisti e l’amico Rossi ha ricordato di essere uno dei soci più anziani della Subalpina, rammenterò che io fui tra i fondatori dell’associazione della stampa di Roma, che fu la prima associazione della stampa italiana.

I giornalisti sono gran parte, somma parte dell’impresa che oggi l’Italia combatte:

lo furono al proclamarsi della guerra, perchè hanno assecondato l’entusiasmo dove l’entusiasmo correva per le vie, lo hanno risvegliato dove non era tanto vivido, benchè non fosse per nulla spento.

E durante la guerra hanno saputo dare al Paese le persuasioni della bontà, della santità dei nostri diritti, del valore meraviglioso dei nostri soldati;

hanno cinto di gloria i combattenti, hanno consolato le famiglie lacrimanti.

I giornalisti furono i veri celebratori della Patria, i veri sacerdoti del dolore per le famiglie afflitte.

Gran merito è della stampa aver fatto opera di preparazione prima e di aver temprato poi il Paese a quella calma, a quella serenità che serba dai primi giorni dell’impresa nostra; gran merito fu aver mantenuto questa serenità anche nel maggio scorso, quando parve per un istante che la sorpresa nemica fosse per arrestare il corso delle nostre vittorie.

In quei giorni la stampa rese uno dei più grandi servigi al Paese, perchè ha mantenuta ferma la saldezza degli animi, sicura la fede nei destini d’Italia.

Oggi è giorno di vittoria.

La vittoria ha secondato le armi nostre e continuerà a secondarle.

Gran plauso meritano i capitani il Duca di Aosta per la gloriosa conquista di Gorizia e grandissimo plauso i soldati.

Ma i momenti ardui non sono finiti.

Abbiamo la vittoria;

ma le altre vittorie ci saranno contrastate.

Noi dobbiamo giungere fino alla conquista totale delle aspirazioni italiane, noi dobbiamo ottenere che dovunque la nazionalità italiana nella lingua, nella storia e nelle anime vive, sventoli il tricolore:

Noi dobbiamo mantenerci stretti e concordi coi nostri alleati, perchè insieme con essi noi vogliamo il trionfo della civiltà, di quella civiltà che non consiste soltanto nella cultura, ma che consiste in tutto ciò che forma la elevazione dello spirito e la purezza dell’animo; ciò che non avviene in quei paesi in cui, mentre la scienza progredisce, vengono dimenticati i diritti dell’umanità.

Noi abbiamo fede di giungere alla vittoria e la vittoria avremo poichè la stessa storia insegna che le cause giuste hanno più o meno rapidamente il loro trionfo;

l’avremo a costo di nuovi sacrifici e voi a questi sacrifici dovete preparare il paese.

Il Paese deve comprendere che la letizia di giorni fortunati non deve far diminuire la fede quando sopraggiungano giorni di minor fortuna.

Dite al Paese che il Governo Italiano non è solo un Governo di concordia nazionale formale, ma è un Governo che della concordia ha il senso intero e completo, che si traduce nell’atto.

Tutti coloro che credono che la guerra che si combatte da noi e dai nostri alleati è una guerra giusta, tutti coloro che questo credono e fanno credere fanno opera di concordia nazionale.

Dissi ai giornalisti di Roma e ripeto oggi, che se non avessi saputo che i socialisti ufficiali hanno la pregiudiziale antiguerresca, avrei invitato anche i socialisti ufficiali a far parte del Ministero.

Non li ho invitati perchè sapevo che la loro pregiudiziale li divideva dall’idea alla quale consacro questi miei anni, che non sono fervidi di gioventù, ma che sono animati dal più grande entusiasmo.

E questa nostra concordia non deve servire solo ad intensificare la guerra, ma deve preparare la resurrezione economica del nostro paese per il dopo guerra.

La guerra vittoriosa deve renderci non solo i benefici della pace, ma i benefici di una nuova attività, poichè io ho fede che, quando la vittoria nostra sarà completa, i soldati torneranno dai campi di battaglia, portando con sè non i germi di discordia nel Paese, ma saranno invece i più ferventi, i più forti, i più efficaci fattori dell’avvenire economico della Patria nostra.

Tutte queste forze, tutte queste energie che si manifestano nella guerra continueranno a svolgersi nel nostro Paese per il risorgimento economico che esso attende.

E in questi giorni di attesa, dite a tutte le famiglie dei lavoratori, che si trovano oggi in disagio, che i sacrifici che compiono sono sacrifici che la patria non dimenticherà.

Raccomandate alle campagne e alle città, ove occorra, che si estenda più e più che mai il lavoro delle donne.

Vi sono provincie dell’Italia dove le difficoltà del lavoro agricolo mercè il lavoro delle donne sono superate.

In Francia per il lavoro dei campi, per la industria, per la fabbricazione delle munizioni il lavoro delle donne dà ottimi risultati.

E dopo ciò, vi ringrazio della vostra accoglienza e della vostra dolce insidia.

Continuate nella vostra opera benefica e il Paese ve ne sarà grato.

L’amico Rossi mi ha portato il saluto di Torino, che ricambio di cuore, per quanto dovrei forse restituirlo al Municipio.

Ma non sono venuto a Torino come Presidente del Consiglio, e l’unico invito che ho accettato è stato quello vostro, perchè mi parve un invito che usciva da ogni forma ufficiale e perchè mi procurava il piacere di stringere la mano a chi contribuisce così validamente a tener desta la fede nei destini della nostra Patria.

E poichè l’amico Rossi ha voluto farmi un lusinghiero augurio, vi prometto che, se nel giorno della vittoria io sarò ancor vivo, il primo invito che accettorò sarà il vostro.

Prodi soldati:

Io sono grato al Generale della divisione, il quale mi invitò a distribuire io stesso le medaglie che onorano così la memoria dei caduti e vorrebbero tergere le lacrime delle loro famiglie colla voce della gloria, come onorano voi che altri allori aggiungerete al decoro vostro e della Patria.

Io son lieto perchè in questo momento rammento di rappresentare il Governo d’Italia, e, mentre onoro voi, vorrei poter onorare ugualmente tutto l’esercito e la patria nostra.

Il Governo d’Italia sente che in questo momento tutta la patria palpita, opera, vive, e deve essere amata nel suo esercito.

Tutti noi, che governiamo, tutti voi che combattete, il popolo tutto deve oggi pensare e volere una sola cosa:

la vittoria italiana, la vittoria per la civiltà.

E questa vittoria voi soli la potete dare e la darete.

La vollero dare i valorosi che voi piangete e voi insegnerete al vostri figli di amare, insieme con la loro memoria, la patria nostra, perchè l’Italia deve essere felice, potente nel lavoro, nella libertà e nell’indipendenza.

Il Governo, cho si dice della concordia, non è che lo specchio di ciò che è l’esercito, che è la più grande manifestazione della concordia nazionale.

Il governo sente i suoi doveri e li adempirà verso gli orfani che i caduti hanno lasciato;

li adempirà verso coloro i quali ritornarono feriti, apprestando gli strumenti che valgano nel miglior modo a ridonare loro le attitudini alla vita, o procacciando loro i mezzi di far valere le loro attività.

Il Governo adempirà l’obbligo suo pensando quanto deve fare per le vedove e per i vecchi genitori, ai quali finora la nostra legge troppo poco provvede.

In questo giorno, nel quale il pensiero va alla Regina, che acclamiamo per tante raggianti e benefiche virtù, io penso ai tanti vostri compagni che sono negli ospedali italiani.

Io mando un saluto ai feriti nostri e agli invalidi nostri.

E in questa giornata che richiama alla mente quante cure pietose volgono le nostre Regine a conforto dei feriti io ringrazio tutti coloro che pensano a sollevare i dolori, così le pietose suore come le donne gentili che li confortano, e tutti coloro che ne scemano le sofferenze e ne restaurano le forze.

Voi, o valorosi, avete ridato all’Italia la coscienza dei suoi alti destini;

avete suggellato l’unità nazionale.

Per merito vostro noi degnamente partecipiamo al grande conflitto che combatte tutto il mondo civile per impedire che la barbarie, anche sapiente e coltissima, invada prepotentemente e domini l’Europa.

Mandiamo in questo istante un saluto al Re d’Italia, il quale vive in mezzo ai soldati come si vive con la propria famiglia:

mandiamo un saluto al Generale in capo che comanda le schiere dei nostri combattenti e li guida alla vittoria, a tutti i duci, a tutti i soldati nostri, a tutti i nostri marinai; e un saluto alle loro famiglie, ai loro genitori, alle loro sorelle, alle loro spose, alle loro fidanzate; un saluto alle donne dei combattenti alle quali è affidata tanta parte del lavoro nelle officine che preparano gli strumenti per la vittoria, e tanta parte del lavoro dell’agricoltura.

E quando i nostri soldati torneranno ai campi a compiere quella rivoluzione della quale parlava il generale Chiarla nel suo eloquente discorso, quella rivoluzione che vorrà dire resurrezione di ogni specie di attività e di prosperità italiana, quando i nostri soldati torneranno ai solchi dei loro campi, avranno l’onore di sentir dire dai giovani che li scorgeranno: colui è uno dei valorosi che hanno combattuto nelle aspre vette del Trentino, che hanno combattuto sull’Isonzo, che hanno combattuto a Gorizia, che sono andati oltre, oltre Gorizia, perchè oltre, oltre Gorizia noi e voi dobbiamo andare.

Da quella porta nel 1848 è sceso il Re Carlo Alberto coi suoi due figli a cavallo, movendo alla prima guerra dell’indipendenza italiana: è bello oggi coronare qui di pianto glorioso e di memorie insigni i caduti e di festeggiare voi sopravvissuti alle vostre prove meravigliose.

È bello compiere tutto ciò in questo luogo fatidico dal quale mossero tutte le aspirazioni delle nostre guerre dell’indipendenza, il cui grido risuonò da quelle finestre; quel grido voi farete echeggiare trionfante sopra ogni terra italiana e sull’Adriatico nostro.

[ [ Il 25 settembre moriva a Napoli Enrico Pessina.

L’On. Boselli volle recarsi in quella città per prendere parte alle onoranze funebri rese all’insigne giurista e, nel solenne trasporto della salma, ] ]

[ [ avvenuto nella mattinata del 27, pronunziò un memorabile discorso in cui espresse la venerazione sua e del popolo italiano per il grande penalista «che tutta Italia onora».

L’Amministrazione comunale di Napoli colse l’occasione della presenza del Capo del Governo in quella città, per dare in suo onore un ricevimento in Municipio.e Esso ebbe luogo la sera del detto giorno 27 coll’intervento di tutte le notabilità di quella grande e nobile città verso la quale l’On. Boselli aveva sempre manifestato le più vive simpatie.

Queste simpatie egli riconfermò, nel rispondere, al saluto del Sindaco di quella città, Duca prof. Del Pezzo, con le seguenti parole: ] ]

Io venni qui oggi con un sentimento, con un intento di dolore.

Nè avrei mai immaginato che la mia parola potesse risuonare altrove che in quell’aula in cui il popolo napoletano ed il pensiero d’Italia s’inchinavano ad onorare uno dei più insigni cittadini italiani.

Il Sindaco di Napoli vi ha qui riunito:

io non oso dire che questa sorpresa rompa il mio programma;

ma questa sorpresa io la ricongiungo nel mio pensiero allo istesso motivo, per il quale oggi sono qui tra voi, e rispondendo al saluto che con cuore napoletano mi manda il sindaco di Napoli, io rispondo con cuore napoletano, perchè ogni volta che io venni in questa città, per una misteriosa simpatia di pensieri e di affetti, io mi son sentito come domesticamente legato con tutti voi.

Seguo il motivo doloroso della mia visita: si, non ho rimorsi dinanzi allo spirito di Enrico Pessina, se oggi sono qui a parlare in mezzo a voi, non ho rimorsi, perchè mentre la sua salma scende nel sepolcro, a me pare di veder rivivere il suo spirito, in mezzo a noi, ed a me pare di parlarvi in nome suo, per dire a Napoli che continui nella via nella quale sinora ha proceduto.

È ancora di Pessina che io parlo, volgendomi al patriottismo di Napoli; è ancora sempre di Pessina che io parlo rammentando qui l’unione di opere, che deve condurre la Patria italiana alla vittoria.

Oggi del grande Estinto fu detto nell’aula dell’Università com’egli abbia assistito, raggiante, al discorso fatto qui in Napoli dal ministro Barzilai, per dimostrare la giustizia della nostra guerra.

Or bene io penso che, com’Egli, corporalmente, era raggiante in quel giorno, sia oggi ancora raggiante spiritualmente e risorga in mezzo a voi per dirvi: lo sono sceso nel sepolcro, ma il mio spirito di napoletano italico non deve morire in mezzo ai miei concittadini ed alla mia città.

Oggi visitai alcune delle istituzioni, che provvedono ai feriti della nostra guerra, che sovvengono alle famiglie dei richiamati, ed ammirai tali istituzioni;

le ammirai tanto più, che in parte esse si ricollegano ad antiche e nobilissime istituzioni vostre, onde si direbbe che ora tutte si ravvivino per i nuovi scopi.

Alcune sono sostenute dal contributo della Camera di Commercio, il che vuol dire che sono sostenute dal contributo di chi lavora per la prosperità di Napoli.

E così accade che le antiche tradizioni della vostra beneficenza paesana, ed i profitti del vostro lavoro si congiungono nell’opera santa di sopperire alle nuove necessità della Patria nostra.

La quale, per conseguire la vittoria, abbisogna si di quei combattenti meravigliosi di Napoli e del Mezzogiorno, nei quali sono i giovani più eletti d’ingegno;

ma sono ancora i meravigliosi lavoratori delle campagne del Mezzogiorno di questa terra, che non ancora potò dare ai suoi figli tutta la felicità che essi meritano, ma i cui figli già diedero all’Italia tutto il loro sangue.

Ma ha bisogno ancora di tutta la volenterosa opera di coloro, a cui non è dato di versare il proprio sangue per la Patria.

Non bastano, o signori, e lasciatemi dire, o amici di Napoli, poichè nei sentimenti comuni l’amicizia si cimenta e si confonde; non bastano le vittorie delle battaglie.

La guerra può essere anche aspra, può essere ancora lunga; per vincerla noi dobbiamo far si che nel paese si mantenga sempre ardente e sicura ed alta l’idea della giustizia della nostra guerra Se così non fosse, ammirabile pur sempre sarebbe il valore dei nostri combattenti, ma non sarebbe sicura la compattezza della Nazione fino al giorno della vittoria.

Perciò fatevi tutti, come foste finora, proseguitori continui dell’idea generatrice, fomentatrice, giustificatrice, sostenitrice della guerra dell’Italia, che è la guerra della civiltà.

Non è soltanto cingendo di alloro la fronte dei combattenti, che poi possiamo pagare ad essi il nostro sacro debito di riconoscenza:

si bene ancora pensando, come appunto voi faceste, alle famiglie loro.

Io penso che lo Stato italiano è pienamente compreso di questo mio pensiero.

Certo in tutto concordi con me sono i miei colleghi; che oggi siedono in mezzo a voi; o governino le armi valorosamente, o tengano la bilancia della giustizia sapientemente, o preparino nella scuola l’avvenire del Paese, o sul movimento dei nostri commerci e delle nostre comunicazioni, promuovano la prosperità della Patria, o volgendo lo sguardo alle lontane colonie ne preparino le più vaste fortune avvenire, o siano dotti giureconsulti, i quali uniscano, come lo Scialoja, alla sapienza del Diritto, le memorie del liberalismo napolitano.

L’Italia doveva fare la guerra che noi combattiamo, e se della parola santa non si abusa, se la parola santa vuol dire cosa eccelsa e perfetta, che rispondo al dovere, cd all’elevazione dell’anima umana, la guerra che noi combattiamo santa è perchè l’Italia non solo non aveva e non ha confini naturali, quei confini strategici che le spettano, ma non aveva l’unità di tutto il popolo suo; perchè vi erano, e pur troppo vi sono ancora, popoli divelti dal suo seno, che parlano la nostra lingua, ch’ereditano la nostra civiltà, e sono altrettanti focolari, nei quali splende la fiamma della italianità o che pure sottostanno al giogo austriaco, contro l’unità italiana (Vivi applausi).

Per l’Italia questa guerra era un dovere nazionale;

ma se altre regioni italiane, più prossime agli antichi dominatori, di cui hanno conosciuto la tristizia e la oppressione, debbono necessariamente sentire più forte l’impeto della liberazione; noi italiani delle regioni marinare, poichè anche io sono nato in riva al mare, ed al mare ho rivolto tutte le più ideali aspirazioni della mia vita, dobbiamo tener per fermo che, se l’Italia non fosse scesa in guerra, tristi giorni per l’avvenire dell’Italia nostra, e specialmente delle nostre città marittime, sarebbero sorti nella storia ventura delle nazioni europee, ed in particolare nella storia futura del nostro Paese.

Voi qui siete in tale situazione che non è possibile non si senta il sospiro dell’Italia verso nuovi destini, verso piu luminosa fortuna, non si senta l’impulso a stringere la nostra con altre civiltà (Applausi).

Ebbene, se l’Italia non fosse scesa in guerra, che cosa sarebbe avvenuto di questo radioso avvenire delle città nostre marinaresche;

se le altre potenze avessero deciso dei destini futuri del mondo senza di noi, senza che la forza dello nostre:

armi, la virtù dei nostri sacrifizi, la purità della nostra coscienza e la santità della nostra causa, ci dessero il diritto di parlare alto in mezzo a loro nel grande giorno in cui di tali destini sarà fatta ragione:

Io mando un saluto a Napoli.

Lo mandai altre volte e tutte le volte che io mando il mio saluto a Napoli, parmi di ringiovanire, parmi che il mio saluto acquisti nuovo fervore.

Mi par di ringiovanire perchè la perpetua giovinezza del pensiero italico, la perpetua giovinezza della nostra civiltà, che altrove si oscurò, in mezzo a voi non si è mai del tutto spenta.

Ed infinitamente cresce ogni ora il mio fervore quando ammiro le opere della vostra carità e della vostra bontà.

E crescere lo sentii ancora con vera commozione ammirando oggi i prodigi della vostra beneficenza patriottica.

Egregi uomini presiedono queste vostre sante opere.

Ma come una benedizione di fiori, di carezze e di baci passano in esse le vostre donne napoletane, mirabili nel santuario della famiglia, ma non meno mirabili in ogni opera, dove il cuore palpita e si effonde;

le donne napoletane, le quali nei tempi della tirannide salirono imperterrite i patiboli gloriosi;

le donne napoletane, che, scrittrici nei tempi della preparazione del risorgimento napoletano mantennero viva la fiamma dell’italianità, le donne di Napoli, le quali sopportarono così stoicamente, così eroicamente la sventura nei tempi in cui i loro padri, mariti, fratelli, i loro figli gemevano nelle carceri e nelle galere borboniche; le donne di Napoli, che non solo hanno gli occhi luminosi, ma il cuore egualmente fervente di una inestinguibile fiamma di italianità.

E con questo saluto alle vostre donne, io chiudo il mio dire, perchè nessun omaggio è più sicura arra di vittoria, quanto quello che si rivolge alla gentilezza, alla carità ed alla virtù.

[ [ A Milano i partiti che avevano aderito, alla politica di guerra e che ne propugnavano la vigorosa condotta, si erano trovati d’accordo nell’invitare il Presidente del Consiglio a fare una visita alla illustre città, insigne per operosità intelligente e per fervido patriottismo.

La visita fu effettuata l’8 ottobre 1916.

Milano fece al Presidente del Consiglio accoglienze entusiastiche, riaffermando in quella occasione la sua decisa volontà, che era ed è volontà italiana, di guerra e di vittoria.

L’On. Boselli pronunziò, al teatro della Scala, un vibrante discorso.

Il teatro era gremito.

Ai lati del palcoscenico stavano i rappresentanti dei partiti milanesi, le bandiere di Trento, di Trieste, dell’Istria, della Dalmazia.

In quella occasione fu donata all’On. Boselli la riproduzione artistica del «Que riero di Legnano» dello scultore Butti: sulla base del gruppo era incisa la seguente scritta:

A PAOLO BOSELLI - ministro dell’ultima guerra per l’indipendenza italiana - questo ricordo di una gloria antica in cui risplende la giovinezza della Patria immortale.

Milano VIII ottobre MCMXVI.

Ecco il discorso pronunziato dall’On. Boselli: ] ]

Popolo di Milano:

In questa esaltazione dell’anima nazionale ogni persona scompare; una sola visione commuove gli animi nostri; la visione della Patria cinta di nuova gloria, e risorta a nuova grandezza d’italica virtù:

un sol pensiero ci stringe tutti e c’infiamma: la volontà della vittoria.

E la vittoria avremo per l’Italia e per la civiltà.

Questo sempre affermò, questo oggi afferma, in modo incomparabilmente solenne, Milano:

ed io penso e credo che tutto il genio, tutto il cuore d’Italia sente e palpita oggi con noi.

Non è ora di discorsi quando la commozione sovrasta al pensiero e il fremito che pervade gli animi muove giovani e vecchi ad operare.

E perciò, Senatore e amico Mangiagalli, non vi risponderò se non per dirvi che nelle vostre parole era l’eco di quell’onda meravigliosa di popolo milanese, acclamante nel nome d’Italia la guerra fino alla vittoria;

se non per dirvi che nelle vostre parole era il murmure dei cento vessilli spiegati oggi alle aure di questa Milano;

era la risonanza dei versi del Manzoni e del Berchet ai quali rispondono, voci alate della italianità immortale dell’anima lombarda, le balzanti strofe del focoso interprete di Tirteo; se non per dirvi che la vostra parola, vibrerà sempre nel mio animo animatrice ed inspiratrice nelle ore liete, ammonitrice e confortatrice nelle ore dubbiose.

Voi in me vedete i ricordi che congiungono l’età presente del rinnovamento alla tradizione del Risorgimento nostro.

Questo dice la mia vecchiezza;

ma voi qui mi vedete assertore della concordia nazionale, che invano sarebbe un programma di Governo se non fosse la religione del Paese; di quella concordia che deve condurci tutti ad una sola meta; alla meta della vittoria.

La guerra per la civiltà e per la liberazione italica, proclamata, con sapiente ardimento, dal Re, consigliata da uomini di Stato che vivranno nella storia, deliberata dal Parlamento, fu sovranamente voluta dal popolo italiano.

E oggi tale volontà riconferma il popolo di Milano, che alla guerra liberatrice detto il primo consenso ed il primo grido.

L’anima del popolo italiano ha oggi espressione e volontà nel Governo della concordia Nazionale che condurrà fermamente e arditamente la guerra.

Le piccole divergenze di pensiero;

le piccole e anche le grandi divisioni dei partiti si fondono oggi nel solo partito della Patria, col proposito di combattere e di vincere.

Racconta uno dei vostri più briosi narratori che Alessandro Manzoni nei tempi nei quali si preparava la prima fase del risorgimento italiano, a chi gli parlava delle divergenze dei partiti, rispondeva:

«Che cosa monta tutto ciò:

da qui a due anni l’Italia sarà fatta e nessuno se ne ricorderà».

Ed io a Voi:

«Che cosa monta se ci sono delle divergenze:

Fra breve l’Italia sarà compiuta e nessuno se ne ricorderà».

Non qui io dovrò illustrare le ragioni di questa guerra:

non qui dove undici lustri or sono, Carlo Cattaneo, diceva che un popolo non può volere, non può tollerare, non può neppur pensare che ci sia un lembo del proprio territorio soggetto all’oppressione straniera.

E dovrò io giustificare l’alleanza nostra per la civiltà in questa Milano il cui pensiero, le cui opere appartennero sempre alla civiltà del mondo:

Voi avete dato Cesare Beccaria ed Alessandro Volta alla civiltà universale.

E non sentite voi e non sentiamo noi, e con noi tutta l’Italia, che quando si parla di civiltà si parla di popolo Italiano:

E mentre nuovi destini si preparano nel mondo delle nazioni, e mentre tutti gli altri popoli vogliono e operano vigorosamente, non è certamente a Milano, che si potrebbe immaginare un’umile Italia accovacciata nel suo focolare; a Milano, sempre ignara di ogni viltà:

a Milano da cui mossero tanti esploratori di terre lontane quando altri neppure pensavano ad esplorare, a Milano che dai suoi piani spinse tanta onda di energia alle imprese marinare sempre guardando ai destini dei mari d’Italia.

Voi avete ricondotto qui, risuscitato per opera di arte mirabile, non un guerriero, ma i guerrieri di Legnano, che combatterono nei secoli andati la più alta e significativa battaglia nazionale.

lo vi ringrazio del dono.

Esso rappresenta il guerriero prediletto fra i penati del focolare lombardo.

Ma voi non lo traeste innanzi a me soltanto per farmene dono, ma perchè dinanzi a me si rinnovi il giuramento del popolo e del Governo:

il giuramento che scacciò dall’Italia Federico Barbarossa, antenato e maestro d’ogni vecchia e nuova barbarie.

Quell’imperatore selvaggio cosparse di sale il vostro suolo italianamente sacro;

ma il vostro suolo mentre non s’isteriliva nella maledizione del barbarico rito, converse quel sale in seme fecondo da cui germogliarono e fiorirono le generazioni lombarde sempre vigorose e pronte a dare all’Italia gagliardia di magnanime imprese ed esempio di generosi olocausti.

La lotta che oggi si combatte, è, direi quasi, lotta vostra, come proseguimento delle cinque giornate.

Voi l’avete detto, Senatore Mangiagalli:

Legnano e le cinque giornate sono l’oriffamma che conduce oggi i nostri guerrieri alla vittoria.

Nelle cinque giornate ai padri vostri impressero sul loro emblema:

" Italia libera, Dio lo vuole, ":

Noi oggi ripetiamo:

" Tutta l’Italia sarà libera perchè dalle alpi ai vulcani lo vuole tutto il popolo d’Italia che s’è desto e combatte».

E ripeterò con Goffredo Mameli, il poeta della lira e della spada, «quando il popolo si desta «Dio si mette alla sua testa, «le sue folgori gli dà».

Nel Trentino, sull’Isonzo, sul Carso, per tutti gli aspri confini e per le lontane terre inospiti, e sul mare Adriatico il fiore del popolo d’Italia combatte le grandi battaglie, col suo duce supremo e con i suoi condottieri intrepidi; mirabili tutti di sacrificio, di ardimento, di valore; riaffermanti ogni giorno la risurrezione magnanima dell’italica virtù.

E colà dove si combatte e si muore è il Re; soldato fra i soldati;

tutto penetrato dal senso della vita moderna; palpitante i palpiti del popolo suo, che se non fosse il Re di Casa Savoia, sarebbe il primo cittadino d’Italia.

Al Re, ai soldati che debbono condurci a Trento e a Trieste, mandiamo il nostro saluto, non dimenticando i fratelli che a Vallona affermano la vocazione adriatica d’Italia.

Vocazione non dominatrice, ma soccorritrice;

non avversa ad alcuna nazionalità, ma rivendicatrice della nazionalità nostra: salutiamo i fratelli che a Salonicco combattono, non solo per i popoli balcanici ma per tutti i popoli civili, auspicando che le loro imprese giovino anche alla sorella romena che è tanta parte della nostra storia ed è sempre presente nei nostri voti.

I nostri soldati affrontano i comuni nemici a fianco degli alleati nostri.

Noi, pur lontani dai fieri cimenti bellici, col pensiero desideroso, viviamo queste ore memorande vicino ai meravigliosi guerrieri di Verdun, agl’intrepidi figli dell’Inghilterra, alle fitte legioni dell’amica Russia, agli arditi manipoli del paese di Camoens, ai sanguinanti serbi dispersi; ai martiri eroici di quel Belgio che attende la sua giusta ed immancabile liberazione.

Sui campi di battaglia, o amici milanesi, non solamente si combattono le sante lotte della libertà e della civiltà, ma si temprano nuove energie, si accendono nuove idealità, si dà vita ad un nuovo senso politico e si rinsaldano, in nuovo equilibrio, le diverse classi sociali e le diverse provincie d’Italia, alle quali, dalla ridesta coscienza dei guerrieri vittoriosi, scenderanno larghe correnti rinnovatrici di pensiero e di volontà.

Vi pensi il paese.

Il Governo sa quali provvidenze domandino le sorti del lavoro nazionale; sa che l’Italia, risuggellando con la guerra la sua unità, deve trovare nei reggimenti locali — regionali, provinciali, comunali, — nuova espressione di libertà e di autonomia; sa che la scuola deve essere rinvigorita, rinfrescandosi di atteggiamenti più giovevoli al progresso industriale del paese;

sa quali obblighi abbia e debba adempiere, verso gli orfani dei caduti, che sono orfani della Patria; verso i mutilati e gli invalidi ai quali si deve assicurare una nuova esistenza.

Il Governo sa pure che deve provvedere alle condizioni troppo dimenticate dei contadini italiani, i quali, o amici milanesi, mentre io parlo, combattono e muoiono insieme coi cittadini delle altre classi.

Il Governo sa infine di qual vantaggio sia por tutti il promuovere la pace sociale che non devo essere il monopolio di alcun partito, ma il risultato della volontà concorde di tutto il popolo.

Non basta, amici milanesi, e voi ben lo sapete, il combattere alle frontiere o sul mare o nell’oriente.

Anche all’interno bisogna antivedere e provvedere.

Non lasciamo che la coscienza nazionale sia scossa da alcun dubbio sulle sorti della nostra guerra, che, pur attraverso i più gravi sacrifici, sarà apportatrice di sicuri beni.

Afforziamo senza tregua l’animo del paese finora mirabilmente fidente e sereno.

Voi che a Milano in ogni cosa siete all’avanguardia — nè io vi adulo facendomi voce di un plebiscito d’ammirazione che verso voi viene da tutta Italia — voi che porgete innumeri manifestazioni di quella che si chiama assistenza civile e che meglio chiamerei doverosa cooperazione bellica, voi dimostrate oggi all’Italia come tale cooperazione si possa in tutti i modi vigorosamente estendere.

Qui alle famiglie dei richiamati si provvede; qui pei feriti si aprono tutti i cuori, qui si vuole ed opera il bene comune.

E queste iniziative d’assistenza rinforzate.

Rinvigorite anche le opere dell’assistenza morale, che parla al cuore di coloro che non combattono, e rianima le famiglie dei combattenti; che conforta chi vive nell’ansia di desiderate novelle e calma le trepidazioni di coloro che hanno i mariti e i figli lontani: che costituisce quell’apostolato di carità fraterna più preziosa spesso del soccorso materiale.

La guerra volge sicura ai suoi fini.

Tuttavia, quantunque nessuno ormai dubiti della nostra preparazione guerresca, atta a fronteggiare tutti gli eventi, e quantunque a tutti sia noto lo sforzo mirabile del Paese in questa forma nuova d’industrie, a me preme esporre, a compiacimento e conforto comune, alcune notizie concernenti la mobilitazione industriale che ha raggiunto tale intensità di produzione da bastare a quanto occorra ai nostri combattenti e da porci in grado di fornire spesso aiuti agli alleati.

Tra militari e ausiliari novecento sono gli stabilimenti che apprestano le munizioni; e altri ottocento gli stabilimenti che integrano la produzione.

A trasformare le materie prime nazionali e quelle che vengono da oltre mare per provvedere alla guerra nostra, dalle alpi alla Sicilia quotidianamente, con lena non interrotta, lavorano 425.000 operai.

Tra essi lavorano, mirabili per ingegno e per operosità, 45.000 donne, cooperatrici efficaci della difesa della Patria.

Produciamo in un mese tanti cannoni quanti prima sc ne producevano in un anno, e facciamo oggi mitragliatrici in numero 600 volte maggiore e proiettili in numero 110 volte maggiore di quelli che fabbricavamo al principio della guerra.

La produzione delle automobili, già così cospicua, è quadruplicata e abbiamo esplosivi in tale quantità da bastare al bisogno.

E non parlo dell’aviazione, i cui progressi crescono ogni giorno, Leonardo da Vinci che vagheggiò, indovinò l’aviazione, da questa Milano, dove la sua vocazione scientifica si temprò e si irrobusti, incuora gli artefici che affinan l’ingegno nelle officine e sprona gli uomini che arditamente corrono le vie del cielo.

Merito grande del popolo italiano è se noi abbiamo le armi necessarie alla guerra;

ma merito eziandio del popolo italiano è se non difetta l’altro nerbo della vittoria: il denaro.

Bisogna pensare alla disciplina della vittoria; e di essa si può ben parlare a voi milanesi che alla disciplina patriottica foste accostumati dagli avi illustri.

Un giorno, nel 1848, essi dissero: " Non si fuma più per far dispetto all’Austria ".

E nessuno più fumò.

Essi dissero:

" Oggi le donne lombarde si vestiranno a bruno ".

E tutte le donne lombarde si vestirono a bruno.

Oggi per la disciplina della vittoria Milano offre nobile esempio ed esempio insigne porge in tutta Italia il contribuente che, avvezzo alle gravi consuete angustie, sopporta fortemente le angustie novelle.

Qual mai lode sarà pari al vigore di sacrificio che in quest’ora mostra l’Italia:

E chi non ammira la patriottica fermezza del popolo che sostiene con la sua fiducia il credito pubblico:

il credito pubblico che rimane saldo per propria energia, e per la serena fiducia nel Governo e nell’avvenire d’Italia:

A tacere dei prestiti, — e d’essi parlando dovrei pure rammentare con ammirazione Milano — basti dire che l’afflusso della ricchezza e del risparmio alle casse dello Stato, sotto forma di buoni del Tesoro, raggiunge ora la somma di due miliardi e mezzo.

Ciò dimostra quanto sia grande la fede nell’avvenire della Patria.

Tale fede occorre che sia gelosamente conservata:

l’educazione al risparmio estesa:

E poiché questa odierna non è una festa, ma un’austera adunanza di popolo conscio della gravità dell’ora, sopportate che io vi dica austere parole.

Impediamo che trasmigrino all’estero tanti miliardi in oro quanti ne trasmigrarono l’anno scorso e quanti ne trasmigrerebbero quest’anno e negli anni venturi, per quei consumi che non sono di più larga utilità.

E s’intende — non alludo alla eventualità d’inefficaci leggi suntuarie.

Parlo del carbone, dei cereali, dello zucchero da noi acquistati all’estero con miliardi in oro e con onere di sempre crescente noleggi; voglio dire che tra le virtù del popolo deve entrare quella d’una santa astinenza per la Patria.

E ciò dico a Milano perchè parlare a Milano è parlare all’Italia e perché tutta Italia è pur bene che sappia come la disciplina della vittoria si ordisca di una infinità di sacrifizi familiari.

E come oggi da Milano partirà l’esempio di patriottica parsimonia, a Milano, precorritrice di ogni iniziativa gagliarda, germoglierà e si fortificherà la riscossa economica della Patria.

Riscossa economica che deve essere l’indipendenza del nostro genio creativo nelle industrie, nella scienza applicata, nel lavoro.

Disse Cesare Correnti che nessuno potrà mai tracciare una rosa dei venti economici senza passare, volere o non volere, dall’uscio vostro: orbene, o Milanesi, se chi traccierà la rosa dei venti economici dell’avvenire passerà per l’uscio vostro, fate che su di esso trovi scritto:

«lavoro italiano, produzione italiana indipendente».

I vostri economisti furono i precursori dell’economia politica che congiunge il principio di libertà al principio di equità per le classi sociali così come i vostri prosatori e i vostri poeti furono i precursori della letteratura civile.

Qui Carlo Porta, per il primo, esaltò il senso delle virtù civili; qui Massimo D’Azeglio pensò uno di quei romanzi che tanto parlarono all’anima nazionale; qui, in mezzo a voi, il primo regno italico fu la prima forma dell’unità italiana.

Qui fu pensata quella rivoluzione del 1821 che vergò la prima pagina del risorgimento; quel 1821 che si irradiò nel Piemonte e per l’Italia intera e dette combattenti e martiri alla libertà della Grecia;

ed è vostro, nel suo spirito e nel suo martirio, quel Silvio Pellico che col suo libro inflisse la prima sconfitta morale all’Austria.

Poichè siete un popolo di precursori, io ben comprendo che s’intoni l’inno delle Nazioni, l’inno di quella società delle Nazioni che significa non utopia di fratellanza universale senza leggi o senza vigore, ma la ricostituzione degli Stati nel principio di nazionalità, con l’avvento del regno del diritto, e con la formazione di un progresso che, esplicandosi, giovi alla scienza, alla civiltà, alla felicità pubblica, alla pace sociale».

[ [ Un’altra notevole manifestazione extra parlamentare dell’On.

Boselli si ebbe il 6 Novembre dello stesso anno.

In quel giorno si riunirono a Roma i Presidenti di tutti i Comitati della " Dante Alighieri,, allo scopo di svolgere quei lavori che, negli anni di pace, spettavano ai Congressi generali della patriottica Associazione Nazionale, della quale l’On. Boselli era da più anni Presidente e alla quale ha sempre dedicato con entusiasmo, mai diminuito, con fermezza di propositi, con fervore di italianità, le più ispirate energie.

In tale occasione pronunciò il discorso seguente:

Carissimi consoci - Vi sono momenti in cui il migliore discorso è quello che si pensa e non si dice.

In quest’ora io non vi dico ciò che penso: non volo ] ]