Voci della Grande Guerra

La guerra alla fronte italiana fino all’arresto sulla linea della Piave e del Grappa: 24 maggio 1915-9 novembre 1917 vol. 1 Frase: #196

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AutoreCadorna, Luigi
Professione AutoreMilitare
EditoreTreves
LuogoMilano
Data1921
Genere TestualeMemorie
BibliotecaUniversity of Toronto Library (Internet Archive)
N Pagine TotVI, 307
N Pagine Pref6
N Pagine Txt307
Parti Gold[27-39] + [40-70]
Digitalizzato Orig
Rilevanza3/3
CopyrightNo

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CAPITOLO II.

La preparazione militare della guerra durante la neutralità.

Nel giorno 25 luglio del 1914 giunse come un fulmine la notizia dell’ultimatum lanciato dall’Austria-Ungheria alla Serbia, che rendeva agli occhi di tutti inevitabile la guerra.

Il 1.° agosto la Germania inviava l’ultimatum alla Russia ed alla Francia:

tempo 12 ore alla prima e 18 ore alla seconda per dichiarare la loro neutralità.

Evidentemente la Germania faceva assegnamento sulla sua rapidissima mobilitazione per tentare di metter fuori causa la Francia, prima che la Russia, la cui mobilitazione era assai più lenta, fosse in grado di entrare in azione; poi si sarebbe gettata sulla Russia, ed avrebbe così eseguita una colossale manovra per linee interne, sfruttando la ricchissima rete ferroviaria tedesca.

La Francia rispondeva coll’ordinare, nella notte sul 2 agosto la mobilitazione generale, che la Germania aveva probabilmente iniziata da un giorno o due.

Scoppiava così improvvisa quella tanto temuta conflagrazione europea, che doveva per più di quattro anni far scorrere tanto sangue e produrre tante rovine.

Il Governo italiano era vincolato dal trattato del 1902 colla Francia, a dichiarare la propria neutralità quando questa nazione fosse oggetto di una aggressione per parte della Germania.

D’altronde, l’Austria non avrebbe avuto diritto, secondo lo spirito difensivo del trattato della triplice alleanza, di fare un passo come quello che aveva fatto a Belgrado senza previo accordo cogli alleati, e invece l’Italia non ne era stata neppure avvertita.

Perciò essa non aveva alcun obbligo di venire in aiuto dell’Austria e della Germania se, in conseguenza di quel passo, la prima si trovasse in guerra colla Russia e la seconda colla Russia e colla Francia.

Pertanto, il Governo italiano, presieduto dall’onorevole Salandra, stabiliva di proclamare la neutralità e la dichiarava il 2 agosto.

In seguito alla dichiarazione di neutralità, il Governo escluse che si dovesse addivenire alla mobilitazione generale; fu però deciso il richiamo alle armi di quella parte della classe 1891 che in luglio era stata lasciata in congedo, il richiamo delle intere classi 1890 e 1889 (da farsi mantenendo sul posto le unità organiche dell’esercito) e l’acquisto dei quadrupedi precettati, nonchè la parziale requisizione dei quadrupedi e veicoli necessari a quelle classi richiamate.

Doveva poi il Comando del corpo di stato maggiore studiare molti altri provvedimenti relativi all’artiglieria ed ai servizi.

Tutti questi provvedimenti sconvolgevano il nostro rigidissimo sistema di mobilitazione.

Come è noto, questo non era basato sulla mobilitazione sul posto delle unità e sul successivo loro trasporto nella zona di adunata, come si praticava negli altri paesi;

nel qual caso, qualunque aumento di forza o qualunque provvedimento si prendesse per la costituzione dei servizi, avrebbe fatto fare un passo alla mobilitazione generale.

Secondo il nostro sistema si doveva invece iniziare subito il movimento di adunata colle unità della forza e costituzione del tempo di pace, e queste unità avrebbero poi ricevuto nella zona di adunata i complementi ed i servizi per passare alla formazione di guerra.

Ora, non v’ha chi non veda come aumentando la forza in uomini e quadrupedi delle truppe in guarnigione, ed alterando la composizione dei servizi, si venivano a modificare tutti i dati sui quali la radunata dell’esercito era fondata ed a renderla tanto più difficile quanto più l’alterazione fosse grande, fino a renderla impossibile.

Perciò, attuando i provvedimenti voluti dal Governo, il pubblico, ignaro di questi problemi, poteva avere la sensazione che l’esercito fosse più forte, ma in realtà non si erano rafforzate che le singole guarnigioni, e l’esercito, come tale, sarebbe stato più che mai lontano dal potersi mobilitare, radunare ed entrare in azione sulla fronte prestabilita, se, visto il nostro atteggiamento, l’Austria, che era già mobilitata, avesse minacciato di invadere il nostro territorio.

Non mancai di rappresentare tutte queste cose al Governo, soggiungendo che pel caso si dovesse entrare in azione non si sarebbe mai raggiunto troppo presto lo stato di mobilitazione completa, anche perchè era indispensabile che le grandi unità, costituite come dovranno agire, avessero il tempo di sistemare i servizi, di prendere consistenza, e soprattutto di acquistare quella compagine morale che le vicende degli ultimi tempi avevano così gravemente scossa, per non dire distrutta.

Ed intanto, informazioni pervenute sull’effetto che la nostra dichiarazione di neutralità aveva prodotto in Germania ed in Austria, accrescevano le già gravi preoccupazioni.

Ma, poichè nelle determinazioni del Governo avevano prevalso considerazioni di ordine superiore che sfuggivano alla mia competenza, non mi rimaneva che dare ad esse esecuzione, pure avvertendo esplicitamente il Governo, per sua norma, che dal momento in cui esso decidesse di entrare in azione, a quello in cui effettivamente avremmo potuto iniziare le operazioni, sarebbe trascorso almeno un mese.

Nell’ultima decade di agosto fu pure studiata, all’ufficio del capo di stato maggiore dell’esercito, la convenienza di addivenire ad altre soluzioni che permettessero di eliminare o diminuire le difficoltà del momento, senza ordinare la mobilitazione generale non voluta dal Governo.

Due furono le soluzioni studiate: la prima consisteva nella mobilitazione delle sole unità dell’esercito permanente, limitando l’impiego della milizia mobile presso l’esercito mobilitato ai soli elementi indispensabili alla costituzione di alcuni organi e conservando gli altri elementi ordinati in battaglioni, od al più in reggimenti;

la seconda si riferiva ad una radunata di alcuni corpi d’armata in una zona arretrata della valle Padana, togliendo a tale radunata il carattere di un deciso schieramento verso la frontiera nord-est.

Ad entrambe le soluzioni però io opposi un reciso parere contrario per le ragioni che si possono così riassumere:

1.° difficoltà di preparazione ed incertezza di buona riuscita di una mobilitazione improvvisata;

2.° maggior tempo occorrente per metterci in misura di agire; 3.° alterazione e disorganizzazione profonda della mobilitazione già predisposta, di guisa che non sarebbe stato più possibile, in un avvenire anche non tanto prossimo, fare assegnamento su tutta la nostra potenzialità militare.

Concludeva col non ritenere accettabile qualsiasi altra soluzione del problema che non fosse la mobilitazione generale dell’esercito.

Intanto erano state proposte al Ministero le misure più urgenti: per migliorare le condizioni dei quadri mediante richiami dalla Libia; per corsi accelerati ed ammissioni speciali allo scopo di aumentare i quadri di ufficiali e di sottufficiali; per rinforzare gli organici di pace; per completare subito le dotazioni di ogni genere tutt’ora mancanti; per aumentare la fabbricazione dei fucili; per la distribuzione del materiale alle sezioni mitragliatrici; per l’inquadramento dei richiamati presso i reggimenti di fanteria che avevano in Italia un solo o nessun battaglione, avendo gli altri distaccati in Libia; per mettere le piazze marittime in istato di efficienza; per la costituzione del 3.° battaglione nei reggimenti che avevano in Italia due soli battaglioni; per la costituzione dei comandi di fortezza con richiamo di ufficiali dal congedo; per fare eseguire esercitazioni sulla frontiera nord-est con invio di truppe di fanteria e bersaglieri; per migliorare l’inquadramento delle truppe con marescialli e sergenti maggiori; per costituire cogli uomini esuberanti della cavalleria gli squadroni di milizia mobile; per provvedere la tenuta di panno della milizia territoriale: per il richiamo di ufficiali del genio dalla Libia; per provocare provvedimenti pei servizi automobilistici; per inviare ai reggimenti gli ufficiali inferiori delle scuole; per allestire le dotazioni necessarie alle operazioni invernali; per spostare truppe di montagna; per provvedere alle deficienze di ufficiali di artiglieria nelle fortezze, ecc.

Si segnalavano inoltre, a diverse riprese, le deficienze nei quadri degli ufficiali, le promozioni che si sarebbero dovuto fare all’atto della mobilitazione e le deficienze alle quali si doveva provvedere, in vista della mobilitazione generale, nei quadrupedi, nelle dotazioni varie.

ecc.

Tutte queste proposte furono solo in piccola parte accolte:

troppo radicate erano allora nella mentalità delle sfere governative le preoccupazioni per la solidità del bilancio perchè esse potessero ad un tratto scomparire, sia pure mentre ci trovavamo di fronte alla più grande bufera che abbia imperversato sull’Europa.

Ad esempio, sulla importantissima questione dei quadri, pei quali si richiedeva urgentemente un grande sviluppo, venivano affacciate difficoltà di ordine finanziario, ed io iniziavo la mia risposta il 23 agosto facendo osservare che era pur troppo vero che la risoluzione di molte e gravi deficienze organiche del nostro esercito era stata ed era tuttora impedita dalle ferree strettoie del bilancio;

ma, potendo presentarsi delle circostanze (e forse l’eventualità che si verificassero non era lontana) nelle quali le considerazioni di indole finanziaria dovrebbero cedere il posto ad altre d’indole assai più elevata e d’importanza ben maggiore, allora, benchè in ritardo e con risultati incompleti, sarebbe pur giuocoforza affrontare e risolvere questioni vitali, una delle quali era appunto quella degli ufficiali occorrenti all’esercito mobilitato.

Il 3 settembre facevo presenti al Ministero tutte le urgenti necessita cui rimaneva a provvedere per potere effettuare la mobilitazione dell’esercito.

Nè intendevo alludere alle sole dotazioni di vestiario ed armamento, ma anche alle altre dotazioni di bardature, di carreggio, e di tutti quegli svariati materiali che costituiscono un assoluto bisogno per l’esistenza delle unità e dei reparti mobilitati.

Molto insistevo sulla necessità di predisporre la mobilitazione della milizia mobile costituendo i nuclei ancor mancanti e dando loro forza proporzionata a quella che dovevano inquadrare.

Davo particolare importanza all acquisto dei quadrupedi, anche all’estero, dato lo scarso gettito del mercato italiano.

Presentavo proposte di provvedimenti urgenti per allargare e completare i quadri degli ufficiali, e concludevo dicendo che, sebbene io mi rendessi conto dell’impossibilità di rimediare in breve tempo a deficienze, alcune delle quali esistevano da lunga data ed erano venute, a mano a mano, ad accumularsi e ad aumentare di gravità, credevo indispensabile che, nel momento in cui avevamo dinanzi agli occhi un vivo esempio dei risultati derivanti in guerra dal grado di preparazione del tempo di pace, e mentre la possibilità di dovere effettuare una mobilitazione appariva fra le cose meno improbabili, si facesse ogni sforzo per mettersi in condizioni migliori e per colmare le lacune più gravi.

Era questa — soggiungevo — opera doverosa, che in avvenire avremmo potuto deplorare amaramente di aver trascurato, e non sarebbe mai stata, ad ogni modo, opera inutile perchè avrebbe giovato alla miglior preparazione della nostra forza militare.

Il Ministero rispondeva il 20 settembre che, conscio della gravità di tutte le accennate questioni, aveva cercato di provvedere alle manchevolezze nei limiti imposti dalle esigenze finanziarie e dalla ristrettezza del tempo di cui poteva disporre.

Ma ora la situazione internazionale e quella interna non escludevano per un tempo non lontano la ipotesi della mobilitazione generale e della entrata in campagna; e perciò il Ministero chiedeva un giudizio esplicito e preciso sull’assegnamento che il Paese poteva fare sull’esercito in tale eventualità.

Rispondevo il 22 che, quanto alla forza si poteva anche ammettere qualche riduzione in relazione alle deficienze di vestiario alle quali non si riuscisse a far fronte; che, quanto a tutte le altre deficienze (quadri, artiglierie, dotazioni varie, quadrupedi, ecc.), esse erano certamente così gravi che, se si fosse trattato di impegnare le nostre sole forze contro quelle di una altra grande nazione, per esempio l’Austria-Ungheria, io non avrei esitato a dichiarare che non si potrebbero sperare favorevoli risultati.

Ma, riferendosi alla situazione concreta che si era venuta a delineare, nella quale tutte le forze dell’Austria-Ungheria e della Germania si trovavano fortemente impegnate sui vari teatri di guerra europei, e, tenuto conto dell’elevato spirito onde, in quei momenti, erano animati esercito e Paese, io credevo che si sarebbe potuto entrare in azione con fiducia e con buona speranza di favorevoli risultati.

Soggiungevo infine come i compiti che si sarebbero dovuti assolvere ed i risultati militari che si sarebbero potuti conseguire entrando in azione due mesi prima, avrebbero necessariamente subito notevolissime limitazioni in quel momento, in relazione alla stagione nella quale avremmo operato ed alle condizioni climatiche delle regioni (grandi Alpi e Carso) nelle quali, verosimilmente, la nostra azione avrebbe dovuto svolgersi.

Ma, pochi giorni dopo, cioè il 24 settembre, il Comando veniva informato dal Ministero delle gravi condizioni in cui tuttora si trovavano i magazzini vestiario ed equipaggiamento rispetto alle esigenze della mobilitazione.

Esso fece tosto studiare come si sarebbe potuto fare entrare l’esercito in campagna con forze e formazioni ridotte in proporzione alle deficienze dei magazzini.

La soluzione che presentava, relativamente, meno gravi inconvenienti, era quella di attenersi, in massima, alle disposizioni già previste per la mobilitazione generale, rinviando temporaneamente in licenza quella parte di richiamati che non si riuscisse ad equipaggiare, e riducendo poi le formazioni in relazione alle diminuzioni che ne deriverebbero nella forza mobilitabile prevista.

Dato questo risultato, e tenuto conto che fino a quel momento il Ministero aveva in corso soltanto i provvedimenti concernenti l’equipaggiamento ordinario per una campagna nella buona stagione, che non si era ancora entrati nel campo pratico relativamente ai provvedimenti per operazioni invernali richiesti circa un mese prima, e che, infine, per attuare i provvedimenti necessari a permettere di operare nelle Alpi e in zone attigue anche d’inverno, occorreva un tempo considerevole, dovetti esprimere al Ministero il parere che noi non ci trovavamo allora nella condizione di entrare in campagna.

E soggiungevo che era cosa grave dover fare una tale constatazione, ma solo allora, dopo le comunicazioni fattemi, avevo potuto farmi un’idea un po’precisa delle tristi condizioni in cui si trovavano i nostri magazzini vestiario ed equipaggiamento, alle quali si era cercato di porre riparo con zelo ed alacrità, ma non abbastanza in tempo rispetto alle necessità del momento.

Nuove e più energiche insistenze rivolgevo il 30 settembre al Ministero per ottenere i necessari provvedimenti per il completamento dei quadri.

Rilevavo le gravi deficienze esistenti;

osservavo che la questione era di importanza capitale; che i provvedimenti da me reiteratamente proposti avevano carattere di assoluta ed urgente necessità; che ogni ulteriore indugio avrebbe potuto essere esiziale e farci duramente sentire il rammarico di non aver fatto almeno tutto il possibile per rimediare; che a questo riguardo nulla, invero, era stato fatto per ovviare alle insufficienze, ecc.

Da quanto si è detto fin qui, si desume che se qualche cosa era stato fatto nei due mesi di agosto e settembre per por rimedio alle gravissime deficienze dell’esercito, assai più si sarebbe potuto fare se non si fosse trovato ostacolo in preoccupazioni finanziarie del tutto fuori di luogo in quel momento, ed in considerazioni di altra natura.

Ma, intanto, era stato studiato negli uffizi del corpo di stato maggiore, sotto la direzione del generale Zupelli, comandante in seconda del corpo, un vasto programma di provvedimenti per far fronte alle esigenze dell’esercito.

Dimessosi in quei giorni il generale Grandi dalla carica di Ministro della guerra, veniva sostituito il 10 ottobre dallo stesso generale Zupelli, il quale saliva al potere coll’intento di attuare il programma testè concretato.

Da quel momento le cose poterono procedere spedite verso lo scopo prefisso, e deve essere tributata al Ministro la lode che gli è dovuta per quanto ha fatto per la preparazione dell’esercito, in tutto ciò che era di spettanza del Ministero.

Volendo rimanere nei limiti imposti a questo lavoro, non si può riferire tutto il programma fissato.

È d’uopo pertanto di limitarsi ad alcuni cenni principali.

Necessaria premessa del programma era quella che, data la situazione internazionale del momento, l’avanzata stagione, la struttura delle zone di frontiera, grandi operazioni con forti masse non sarebbero state possibili per l’esercito italiano fino alla ventura primavera; occorreva perciò approfittare dei cinque mesi e mezzo che ancora si avevano disponibili, per portare l’esercito nostro al massimo grado di efficienza e di prontezza ad entrare in azione, e con tanta elasticità di disposizioni, da lasciar libero il comandante supremo di effettuarne la radunata nel modo che la situazione del momento fosse per indicare.

Su tali concetti venne formulato il programma che mirava essenzialmente:

1.° a costituire fin d’allora tutte le unità di milizia mobile di cui era prevista la formazione in caso di mobilitazione generale;

2.° a costituire tutti i riparti presidiari; 3.° a costituire, oltre alle previste batterie di milizia mobile, anche nuove batterie di esercito permanente, in modo da portare, pur formando le batterie su quattro pezzi, a 96 i pezzi campali leggeri del corpo d’armata; 4.° a provvedere all’aumento delle batterie pesanti campali ed al parco d’assedio; 5.° ad entrare in campagna con l’esercito formato dalle classi più giovani possibili e coi riparti e comandi affiatati al massimo grado.

Nell’attuazione di questo grandioso progetto si urtava contro due grandissime difficoltà:

la costituzione dei quadri e la provvista dei cavalli.

Per le deficienze dei quadri, che erano veramente enormi, si proponevano provvedimenti eccezionali e su larghissima scala: acceleramento di corsi alle scuole militari e larghissime ammissioni a queste scuole; produzione su vasta scala di ufficiali di complemento presso i plotoni allievi ufficiali di complemento; richiamo in servizio di ufficiali in congedo; sospensione dei limiti di età, ecc.

Per la provvista dei cavalli occorreva ricorrere largamente all’estero, e se ne importarono molti dall’America essendo chiusi i mercati europei.

Particolari provvedimenti si proponevano per la milizia mobile.

La costituzione di queste unità di fanteria doveva esser fatta nei primi giorni di gennaio, per esser pronte a ricevere ed istruire la classe del 1895.

Si proponevano per esse speciali provvedimenti per la creazione dei quadri.

Particolarmente difficile era la creazione dell’artiglieria di milizia mobile e la trasformazione di tutte le batterie su 4 pezzi.

Ciò doveva eseguirsi in tre fasi:

Prima fase:

Sì dovevano costituire 13 reggimenti da campagna (52 batterie);

14 batterie pesanti campali;

11 batterie da montagna;

66 compagnie da fortezza, 52 batterie someggiate da 70 da montagna.

— Seconda fase:

Di mano in mano che si distribuiva il materiale Diport, si doveva costituire la terza sezione in tutti i reggimenti di artiglieria da campagna.

— Terza fase:

Raggruppamento delle terze sezioni di artiglieria da campagna in nuove batterie su quattro pezzi.

Seguivano infine molte proposte per completare le dotazioni varie, cioè:

l’armamento portatile e relativo munizionamento, i materiali e munizioni di artiglieria, i carreggi, bardature e finimenti, i materiali del genio, le dotazioni per servizi di commissariato e per servizi sanitari, il vestiario ed equipaggiamento, le dotazioni per servizi automobilistici e ferroviari.

Per l’attuazione di questo programma collaborarono il Ministero ed il Comando del corpo di stato maggiore fino al giorno dell’entrata in guerra.

Esso ebbe pieno sviluppo, salvo le deficienze che saranno in seguito accennate.

Ma quali difficoltà si dovettero superare:

Specialmente quelle per la costituzione delle nuove unità di artiglieria e per la trasformazione delle batterie da 6 a 4 pezzi, complicate ancora con la contemporanea distribuzione del materiale Déport, furono gravissime.

Si attraversò tra il gennaio ed il febbraio 1915 una crisi che sembrò insuperabile.

Ma coll’intelligenza spiegata e colla volontà dimostrata da tutti i quadri di artiglieria, dai più elevati ai più umili, le difficoltà furono superate, e tutta l’artiglieria potè entrare in guerra colle formazioni che erano state stabilite.

La crisi a cui testè accennai, ebbe il suo momento culminante verso la metà del febbraio.

Ed il 24 di questo mese il Comando faceva rilevare al Ministero come fosse suprema necessità uscirne prontamente colla decisa attuazione di adeguati provvedimenti.

I reggimenti avevano bisogno di un periodo di raccoglimento, perchè tutte le energie potessero essere rivolte, con rinnovato impulso, a quest’ultimo e poderoso sforzo.

Ma, condizione indispensabile era, innanzi tutto, che i quadri fossero sistemati, mettendo ciascuno al proprio posto, come se si dovesse entrare immediatamente in campagna.

Tale sistemazione dei quadri si riteneva indispensabile fosse raggiunta, improrogabilmente, nel mese di marzo, per evitare, all’atto della mobilitazione, i gravi danni derivanti dallo spostamento dei quadri.

Occorreva pertanto il radicale provvedimento di mettere fuori quadro tutti gli ufficiali che dovessero avere altra destinazione in guerra.

Ed analogamente si imponeva la costituzione dei Comandi delle grandi unità di guerra, delle intendenze, dei comandi territoriali che dovevano funzionare a mobilitazione ultimata e dei depositi cogli annessi riparti d’istruzione per le truppe di complemento.

Come pure era necessario di completare i quadri dei corpi con numerosi richiami di subalterni di complemento e di sottufficiali, affinchè le istruzioni potessero svolgersi coll’efficacia desiderata.

A tutte queste misure fu, gradualmente, data attuazione.

Ma tutti i provvedimenti presi per rinforzare le unità in uomini e cavalli nei luoghi di guarnigione, per costituire i nuclei dei servizi, ecc., avevano profondamente alterato i dati sui quali era stato studiato il progetto di mobilitazione, al punto che esso era diventato inattuabile.

D’altra parte, anche se si fosse potuto attuarlo, esso non sarebbe stato privo di gravi pericoli, poichè, richiedendosi circa un mese per mobilitare l’esercito, l’Austria già mobilitata ed in guerra, prevenuta delle nostre intenzioni dal nostro ordine di mobilitazione, avrebbe potuto, prima che questa fosse compiuta, invadere il nostro territorio, specialmente ai già pericolosi sbocchi della fronte tridentina; la qual cosa ci avrebbe costretto ad effettuare la nostra radunata sull’Adige, e forse sul Po, compromettendo così fin dal primo giorno i risultati della guerra.

Altra ragione importantissima, che si svilupperà nel seguente capitolo, era quella che noi avevamo bisogno di agire di sorpresa nel primo giorno della guerra, per entrare nel territorio nemico ed occuparvi di primo lancio quelle posizioni oltre confine che ci avrebbero subito dato una miglior sistemazione difensiva e che, nello stesso tempo, avrebbero servito di valido appoggio alle ulteriori operazioni offensive a mobilitazione compiuta.

Ora, per poter far ciò, era d’uopo che avessimo già radunato nella regione veneta, ancor prima di emanare l’ordine di mobilitazione, oltre le truppe di copertura, una quantità di forze sufficienti allo scopo; e che queste fossero adunate alla chetichella, senza suscitare l’allarme del nemico, epperciò che il trasporto ferroviario fosse fatto a poco a poco, senza alterare gli orari normali delle ferrovie.

Era altresì necessario che tali forze, pur essendo ancor prive dei normali servizi, i quali non potevano esser forniti che dalla regolare mobilitazione, fossero provviste di magazzini e di mezzi di trasporto sufficienti per potere sconfinare di qualche diecina di chilometri.

Solo ricorrendo a tutte queste misure, si poteva sperare nella sorpresa ch’era indispensabile per poter riuscire nell’intento.

Appunto a tal fine sempre io dissi al Governo che la dichiarazione di guerra, l’ordine di mobilitazione ed il passaggio del confine dovevano essere tre atti pressochè contemporanei.

Così è stato infatti:

la guerra è stata dichiarata il 22 maggio; contemporaneamente veniva emanato l’ordine di mobilitazione generale e nella notte tra il 23 e 24 maggio, le truppe già adunate nel Veneto, sommanti all’ingente cifra di circa 400 000 uomini, varcavano il confine, e su quasi tutta la fronte occupavano importanti posizioni al di là del medesimo.

In tal modo lo scopo che ci eravamo proposto fu almeno in parte raggiunto;

se non fu interamente ottenuto, ne dirò in seguito le ragioni.

Se per passare il confine si fosse attesa la fine della mobilitazione, il nemico ci avrebbe prevenuto o invadendo il territorio o quanto meno occupando gli sbocchi delle valli.

Certo è però che l’aumento della forza normale di pace delle guarnigioni e gli ingenti trasporti che si stavano effettuando verso la regione veneta, avevano alterato tutti i dati su cui era fondata la vecchia mobilitazione e l’avevano resa impossibile.

Fu perciò studiata una nuova mobilitazione, detta rossa dal colore dei documenti relativi, a differenza del color camoscio dei documenti della mobilitazione precedente.

Secondo la medesima si dovevano mobilitare nelle guarnigioni le unità che ancora non erano state inviate alla frontiera, per essere poi avviate ai luoghi di destinazione.

Questa mobilitazione, sebbene fosse stata improvvisata, fu poi effettuata con molta regolarità e non dette luogo a seri inconvenienti;

si potè trasportare tutto l’esercito alla frontiera (caso unico in tutta la guerra europea) senza sopprimere il movimento dei viaggiatori.

Alla metà di febbraio la situazione complessiva era molto complicata ed era necessario prenderla in esame sotto tutti i suoi aspetti.

La difesa del territorio era affidata ad una parte delle truppe in occupazione avanzata ed alle fortezze, le quali ultime si trovavano in piena efficienza.

Finchè persistessero le condizioni di scarsa percorribilità della zona alpina, dovute alla stagione invernale, le truppe allora dislocate alla frontiera si potevano ritenere sufficienti;

era però conveniente, appena possibile, di attuare tutta l’occupazione avanzata cogli organici del tempo di pace, ed in ogni modo essa avrebbe dovuto essere già completata prima di iniziare le operazioni di mobilitazione più appariscenti capaci di provocare atti aggressivi per parte dell’Austria.

Sotto la protezione di queste truppe doveva avere sviluppo intensivo la mobilitazione occulta che doveva precedere quella generale e palese.

Ma se per effetto del richiamo di classi, per la requisizione dei quadrupedi, ecc., la mobilitazione non potesse più restare occulta, conveniva stabilire senz’altro un primo giorno di mobilitazione.

Era stato concordato colla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato che i trasporti alla frontiera, secondo il massimo programma di sfruttamento delle linee, non potessero iniziarsi che sette giorni dopo l’ordine esecutivo della radunata.

Ma poichè, d’altra parte, non si poteva escludere l’eventualità di dover far argine ad una invasione nemica prima che la nostra mobilitazione fosse compiuta, avevo disposto che per misura di prudenza venisse fin d’allora prestabilito il trasporto a partire dal terzo o quarto giorno di mobilitazione, di sei corpi d’armata, in formazione ridotta, coi quali ritenevo possibile assicurare un regolare compimento della radunata, quand’anche si presentassero serie minaccie per parte dell’avversario.

Si calcolava che i movimenti necessari per completare l’occupazione avanzata, per avviare a queste truppe i rispettivi complementi, per portare alla frontiera i sei corpi d’armata ora detti, avrebbero richiesto circa nove giorni.

Questo, per quanto riguarda il periodo di crisi.

Ma si doveva pur tenere conto che, in vista della differente potenzialità della rete ferroviaria nostra e di quella della monarchia austro-ungarica, il gettito giornaliero di truppe che poteva affluire alla frontiera tra la Pontebba ed il mare era sensibilmente maggiore per gli avversari che per noi.

Perciò, se la situazione politico - militare degli alleati sui vari teatri d’operazione lo permettesse, noi avremmo potuto essere costretti a subire un attacco con forze rilevanti prima che tutte le nostre truppe potessero entrare in azione.

Cosicchè era di somma importanza che il momento della nostra entrata in azione fosse scelto opportunamente non solo; ma che, una volta deciso, la condotta del Governo si svolgesse senza esitanze capaci di causare sia pure un lieve arresto al corso delle operazioni predisposte; perchè ogni perdita di tempo per noi, avrebbe costituito per i nostri avversari un guadagno grandissimo.

Tutte queste considerazioni feci presente al Governo il 15 febbraio, e l’azione politica procedette in pieno accordo con quella militare fino alla nostra entrata in guerra.

La vera mobilitazione occulta fu poi iniziata verso la metà di maggio, e proseguita gradualmente fino alla dichiarazione di guerra, cercando di renderla il meno possibile appariscente agli occhi dell’avversario.

Ma, oltre ai provvedimenti organici e per la mobilitazione dell’esercito, molti altri se ne presero durante i mesi della preparazione per conferire al medesimo la voluta efficienza.

Mi limiterò a dare un cenno dei principali:

Disciplina:

Si sono diffusamente esaminate nel Capitolo I le cause che avevano contribuito ad affievolire la disciplina nell’esercito.

In seguito ad alcuni gravi fatti di indisciplina accaduti nel settembre 1914, rappresentavo al Ministero della guerra la necessità di energici provvedimenti per ristabilire quello che è senza alcun dubbio il primo elemento di potenza di un esercito.

Dicevo in questa lettera che quei fatti erano più che indizio, prova di una grave perturbazione dell’ambiente militare, e segno manifesto che la indisciplina del Paese si era riverberata nell’esercito, dove si raccoglievano i frutti velenosi della propaganda che, negli ultimi anni, senza freni adeguati, si era lasciata svolgere fra il popolo contro le nostre istituzioni.

Codeste deplorevoli manifestazioni di indisciplina avevano pur troppo cause profonde e lontane;

ma fra le più vicine potevano essere ricordate:

le clamorose ed impunite proteste dei richiamati delle classi 1888 e 1889, reclamanti il sollecito congedamento allo spirare dei sei mesi di servizio in Libia; i congedamenti concessi sotto la pressione di ammutinamenti minacciati e tollerati;

le occasioni ad atti contro la disciplina col tenere i soldati male equipaggiati;

la ritardata distribuzione degli indispensabili oggetti di corredo;

il compromesso prestigio degli ufficiali, esposti, al pari della truppa, a continui insulti della folla nei servizi di pubblica sicurezza; la insufficienza delle indennità agli ufficiali stessi quando intervenivano ai campi; gli stipendi divenuti irrisori in relazione all’aumentato costo della vita.

Perfino le autorità si sentivano così esautorate ed intimidite dal dilagare della indisciplina, da diventare incline a nascondere e mascherare gravissime mancanze; le autorità stesse per non incorrere in responsabilità, tolleravano e lasciavano andare:

aggravavano così il male e ne favorivano lo sviluppo, concedendo, quasi favorendo, impunità vergognose.

Perfino i consigli e le commissioni di disciplina e i tribunali militari non esitavano a raccogliere le discriminanti che tornavano più giovevoli all’imputato e, se qualche volta non concludevano per l’assoluzione, applicavano pene o promuovevano punizioni di incredibile mitezza.

Occorreva perciò, finchè si era ancora in tempo, colpire risolutamente: e non solo in basso (col rendere più severe le sanzioni del regolamento di disciplina, perchè quelle allora consentite erano state tanto attenuate rispetto alle antiche da dimostrarsi insufficienti), ma anche in alto, contro tutti coloro i quali non sapevano o non volevano nè prevenire con oculatezza, nè reprimere con la dovuta indispensabile energia.

Occorreva in una parola fornire ai comandanti ed alle autorità superiori i mezzi efficaci per mantenere una severa disciplina, e colpirli senza pietà se non se ne sapevano servire.

Se non si provvedeva subito e senza false pietà, l’andazzo era già di tanto peggiorato che prestissimo saremmo precipitati verso il punto in cui non sarebbe più stato possibile restaurare la disciplina.

Tale era, senza esagerazione alcuna, lo stato della disciplina nell’esercito alla vigilia della nostra entrata in guerra.

Sentito il parere dei comandanti designati d’armata e dei comandanti di corpo d’armata, io presentavo il 29 settembre al ministero della guerra una serie di proposte per ristabilire saldamente i vincoli della disciplina — proposte che venivano in buona parte accolte ed applicate.

Alla vigilia della dichiarazione di guerra, cioè il 19 maggio, emanavo la seguente circolare sulla disciplina in guerra:

I.

Il Comando supremo vuole che in ogni contingenza di luogo e di tempo, regni sovrana in tutto l’esercito una ferrea disciplina.

Essa è condizione indispensabile per conseguire quella vittoria che il Paese aspetta fidente ed il suo esercito deve dargli.

II.

— Sia disciplina che si sprigioni dal fondo dell’anima, ma investa altresì tutte le manifestazioni esteriori; sia disciplina spirituale ed insieme formale, poichè le due cose sono inscindibili, e solo dall’intimo loro nesso derivano gli attributi veramente sostanziali dell’abito disciplinare:

l’ordine perfetto e l’obbedienza assoluta.

III.

— Fonte prima, la più perniciosa, dello scadimento della disciplina è la colpevole e talvolta criminosa tolleranza di coloro che dovrebbero esserne invece i piu vigili custodi.

Nessuna folleranza mai, per nessun motivo, sia lasciata impunita;

la si colpisca anzi con rigore esemplare, alla radice, appena si manifesti.

IV.

— Altra grave causa di rilasciatezza disciplinare sta nella deficienza di controllo:

lo si esiga perciò sempre: assiduo, vivo, stimolante.

V. — Si prevenga con oculatezza e si reprima con inflessibile rigore.

Ufficiali e truppa sentano che i vincoli disciplinari sono infrangibili e che qualunque attentato alla loro compagine è destinato a spezzarsi con tro l’incrollabile fermezza dei principî d’ordine, d’obbedienza, d’autorità.

VI.

- La punizione intervenga pronta:

l’immediatezza nel colpire riesce di salutare esempio, distrugge sul nascere i germi dell’indisciplina, scongiura mali maggiori e talvolta irreparabili.

VII.

- La legge dà i mezzi per ridurre od infrangere le volontà riottose o ribelli:

se ne valgano coloro cui spetta, con la coscienza di adempiere il più alto dei doveri e il più sacro dei diritti.

VIII.

- Il Comando supremo riterrà responsabili i comandanti delle grandi unità che non sapessero, in tempo debito, servirsi dei mezzi che il regolamento di disciplina ed il codice penale militare loro conferiscono, o che si mostrassero titubanti nell’assumere, senza indugio, l’iniziativa di applicare, quando il caso lo richieda, le estreme misure di coercizione e di repressione.

IX.

- Alla inesorabile severità verso gli infingardi, i riottosi e i pusillanimi, facciano riscontro la sollecitudine e il premio verso chiunque, fornendo consueta seria prova di attività, ardire, energia e senso della responsabilità, mostri d’agire - non per deleteria ambizione personale - ma pel bene comune.

Debbono costoro essere sostenuti, anche quando la sorte non ne assecondasse completamente l’opera: bisogna cercare di non sconfessarli o diminuirne il prestigio e l’autorità.

X.

- Ad ogni ufficiale sia distribuita copia della presente circolare, e dell’annesso foglio, nel quale si accenna a disposizioni disciplinari da adottare in talune importanti circostanze speciali.

Ognuno ne faccia argomento di meditazione per sè e di commento e incitamento pei dipendenti.

Il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito L. CADORNA.

Norme complementari all’istruzione sui lavori del campo di battaglia, un Manuale per l’ufficiale di stato maggiore in guerra, ecc.

Durante la guerra furono poi pubblicate molte istruzioni, specialmente sull’impiego tattico delle truppe nella guerra di trincea, man mano che l’esperienza ne suggeriva l’opportunità.

Con circolare 19 maggio 1915, cioè nell’imminenza della dichiarazione di guerra, partecipavo alle autorità dipendenti che il Comando Supremo intendeva che, durante la guerra, fosse proseguita col massimo fervore l’opera di completamento e perfezionamento della istruzione tattica e teorica dei vari reparti di tutte le armi e specialità;

ed aggiungevo particolari raccomandazioni al riguardo.

Ma una istruzione efficace non la si poteva impartire alle truppe impegnate sulla prima linea, e solo era possibile per quelle in seconda linea ed in riserva.

Però queste erano relativamente poche, perchè, data la grande estensione della fronte (650 chilometri circa e la totale disponibilità delle forze (scarse per questa fronte), la maggior parte delle truppe era impegnata sulla prima linea.

Quando poi, in seguito ai disgraziati avvenimenti dell’ottobre 1917, la fronte ebbe a ridursi a poco più di metà, e molto minore fu, in proporzione, la riduzione delle forze, l istruzione delle truppe si sarà certamente potuta fare con maggior profitto.

Produzione di armi e munizioni.

— Si è già accennato nel precedente capitolo quale fosse, allo scoppio della guerra europea, la nostra dotazione di armi portatili.

Queste poi non avevano che un munizionamento di 700 colpi per fucile, mentre di 1200 era quello dei pezzi da campagna, scarsissimo per una guerra come questa, che, fin dal principio, produsse un enorme consumo di munizioni.

Quanto a fabbriche d’armi, si stava molto male.

Delle quattro fabbriche prima esistenti di Terni, Brescia, Torino e Torre Annunziata, le ultime due erano state soppresse nel 1902 e nel 1910, e le prime due, malgrado i provvedimenti presi durante la nostra neutralità per aumentarne la produzione, nel mese di marzo 1915, non potevano fornire, con 12 ore di lavoro giornaliero che 350 fucili al giorno quella di Terni e 130 moschetti giornalieri quella di Brescia, ossia un modesto totale mensile di 14400 armi, del tutto insufficiente per i bisogni della guerra, date anche le scarse dotazioni iniziali di armi portatili.

Il Comando non mancò perciò di interessarsi a più riprese dell’importante argomento, e quali fossero ancora le sue preoccupazioni dopo trascorsi più di quattro mesi del periodo di neutralità, lo dimostra una lettera che indirizzavo 18 dicembre 1914 al Ministro della guerra.

In essa facevo rilevare l’enorme consumo di armi e munizioni che la guerra moderna cagionava;

consumo che talvolta impose delle soste alle truppe vittoriose, impedendo di sfruttare i vantaggi ottenuti.

Occorreva perciò intensificare la produzione che il Ministero era già riuscito ad accrescere; poichè una produzione di 7000 fucili al mese, una dotazione, raggiungibile soltanto a marzo, di 900 cartucce per fucile ed una successiva produzione giornaliera di una cartuccia e mezza per fucile, una dotazione di 1500 - 1600 proiettili per ciascun cannone da campagna c da montagna ed una produzione mensile di 100 colpi per ciascuna di delte bocche da fuoco, non potevano dare affidamento per eventuali armamenti di nuove classi, per rapidi rifornimenti di fucili alle truppe combattenti e per un sicuro largo rifornimento di munizioni.

Oltre le misure che si supponevano già attuate per accrescere la produzione (aumento degli operai, orario di lavorazione continuato nelle ore notturne, acquisto di nuovi macchinari, ecc.), io suggerivo di ricorrere in larga misura al concorso degli stabilimenti privati, anticipando così su quella mobilitazione industriale che fu attuata soltanto sette mesi dopo, cioè due mesi dopo la nostra entrata in guerra.

Ma queste ed altre mie vive insistenze non avevano prodotto il risultato desiderabile; cosicchè dovemmo iniziare la guerra con dotazioni affatto insufficienti.

Di tali deplorevoli deficienze io intrattenevo il Presidente del Consiglio con una mia lettera del 13 giugno 1915 (venti giorni dopo il principio delle ostilità).

In questa lettera, dopo di aver detto che le mie richieste si erano dimostrale, alla prova dei falli tutt’altro che esagerate, ricordavo un colloquio nel quale, di fronte alla mia decisa volontà nel pretendere fosse provveduto al munizionamento del milione di fucili Wetterly che possedevamo, il Ministro della guerra si era solo arreso alle vive insistenze del Presidente del Consiglio e del Ministro Sonnino, mentre aveva opposto un reciso rifiuto alle mie precedenti insistenze.

Ricordavo come ad un capitano di corvetta della nostra marina, che garantiva di far fabbricare su vasta scala in America i nostri fucili, fosse stato negato dal Ministro della guerra di averne un esemplare come modello.

Nè tacevo che solo dopo lunghi stenti avevo ottenuto fossero assegnate alle compagnie delle forbici tagliafili dei reticolati.

E frattanto i nostri valorosi soldati avevano dovuto e dovevano forse ancora scontare col proprio sangue tale trascuratezza, poichè le forbici concesse dal Ministero non erano ancora state distribuite a tutti i riparti.

Queste cose io rammentavo, non già per indugiarmi nello sterile rimpianto del passato, ma affinchè il ricordo valesse a fecondare il virile proposito di uscire al più presto dalle angustie di una situazione che doveva essere affrontata con grande larghezza di vedute e con alto senso di responsabilità.

Continuavo mettendo in rilievo come tulle le potenze, meno la Germania, si erano lasciate sorprendere impreparate dagli avvenimenti e ne avevano subìto le conseguenze.

Perciò, l’Italia, ultima entrata nel conflitto, aveva il preciso dovere di raccogliere in tempo il frutto dell’altrui esperienza e di provvedere adeguatamente.

Nessuna scusa, nessuna attenuante la giustificherebbe in faccia al mondo qualora le operazioni dei suoi eserciti venissero colte da paralisi per l’insufficienza di armi, di munizioni e di materiali.

Ma urgeva provvedere, e bisognava provvedere a un fabbisogno da regolare sulla previsione ragionevole che la guerra potesse durare tutto l’anno 1916, poichè il basarsi su una minor durata, se anche possibile, potrebbe esporre la Patria al più crudele dei disinganni.

L’Italia, soggiungevo, deve vincere ad ogni costo, lo deve a sè stessa e al mondo, al suo passato e al suo avvenire;

ma la vittoria non può essere conseguita se non alla condizione di disporre di un potente armamento e di un munizionamento larghissimo, quasi senza limiti.

A questi bisogni imperiosi e di una vastità che oltrepassava ogni confine, non era possibile provvedere coi mezzi normali.

Era d’uopo pertanto di ricorrere ad uno speciale organismo retto da persone dalla mente agile e pronta, di indomita energia, di indiscussa capacità organizzatrice.

Qualunque nome avesse questo organismo, non importava:

ciò che importava era la sostanza della cosa ossia che esso fosse in grado di disciplinare, di mobilizzare tutte le industrie per trarne il miglior rendimento a vantaggio dell’esercito operante, e che fosse di rendimento immediato, almeno per le munizioni e per le artiglierie di medio calibro.

Soggiungevo infine che su questa mobilitazione delle nostre industrie, to avevo insistito da mesi.

Ho riassunto questa lettera perchè essa vale a dimostrare contro quali difficoltà dovevo lottare sia per fare la guerra con tanta scarsezza di mezzi, sia per procurare questi.

Il Presidente del Consiglio rispondeva tosto telegraficamente che consentiva pienamente nella necessità di risolvere con larghezza di propositi e di mezzi il problema del munizionamento, che già formava oggetto delle sue preoccupazioni; e che non appena sarebbe ritornato il Ministro della guerra, sarebbe posta sul tappeto la questione che diventava suprema questione di governo.

Fu poi attuata la mobilitazione industriale la quale, sotto la direzione intelligente ed energica del generale Dallolio, preposto al servizio delle armi e munizioni, diede ottimi risultati, ben superiori all’aspettativa, dato lo stato delle industrie in Italia.

Il Comitato supremo per i rifornimenti delle armi e munizioni fu istituito con decreto 9 luglio 1915.

La produzione delle armi e munizioni aumentò rapidamente, tanto che al tempo della battaglia della Bainsizza si producevano circa 80000 colpi di artiglieria di tutti i calibri al giorno, cifra però ancora insufficiente al bisogno, come gli avvenimenti di quel tempo hanno dimostrato.

Non v’ha dubbio però che se si fosse proceduto risolutamente alla mobilitazione industriale quando per la prima volta ne parlai, si sarebbero guadagnati almeno sei mesi.

Aggiungerò infine che il 20 maggio 1915, cioè al momento di entrare in guerra, malgrado il mio vivo interessamento, non eravamo riusciti a possedere che circa 700 mitragliatrici.

Dei 107 reggimenti granatieri, fanteria e bersaglieri (il 1.° bersaglieri era in Libia) soltanto 43 avevano le previste 3 sezioni mitragliatrici, 21 ne avevano 2, 43 una sola.

I reggimenti di fanteria ed i battaglioni bersaglieri di milizia mobile non avevano alcuna sezione mitragliatrice, nè si sapeva quando avrebbero potuto averle, il che rendeva gravissima la loro condizione: ufficiali e truppa di tali unità erano profondamente scoraggiati pel fatto di essere privi del loro ausilio, essendone a tutti nota l’importanza.

I battaglioni alpini permanenti dovevano avere due sezioni mitragliatrici ma non era completa la distribuzione dei materiali della seconda.

Ed era appena iniziata la distribuzione delle sezioni ai battaglioni alpini di milizia territoriale.

Tale essendo, pur troppo, lo stato delle cose, non è a dire se io non reclamassi energici provvedimenti per porvi con sollecitudine riparo.

Se, non ostante queste ed altre deficienze, di cui parlerò in seguito, siamo entrati in guerra, si è perchè per colmarle troppo lungo tempo sarebbe stato necessario, ed allora avremmo forse dovuto rinunziare alla nostra partecipazione al conflitto europeo, la quale era imposta da alte considerazioni di ordine politico che non spettava a me di valutare.

Il momento più opportuno della dichiarazione di guerra non poteva essere determinato che dal Governo, integrando le suddette considerazioni politiche collo stato della preparazione militare, la quale gli era ben nota, sia per i referti del Comando del corpo di stato maggiore, sia perchè del Go verno faceva parte il Ministro della guerra dal quale emanavano tutte le disposizioni per la preparazione stessa.

Il Governo aveva cognizione di entrambi questi elementi di giudizio, mentre io non ne possedevo che uno solo, cioè quello della preparazione militare.

Quanto alla situazione diplomatica, io nulla sapevo perchè nulla mi fu partecipato, neppure le stipulazioni contenute nel patto di Londra del 26 aprile 1915 relative ai nuovi territori da annettersi all’Italia, ed in conseguenza ai futuri confini, in ordine ai quali è evidente che il capo di stato maggiore dell’esercito avrebbe dovuto essere consultato, implicando la determinazione dei medesimi gravi questioni militari.

Aviazione.

Per un complesso di cause che sarebbe superfluo ora riferire, tra le quali quella che fino allora si era data maggiore importanza ai più leggieri che ai più pesanti dell’aria, l’aviazione, nel febbraio 1915, si trovava ancora in grave crisi, tanto che in una lettera del 15 febbraio diretta al Ministero, dovevo constatare che lo stato dell’aviazione era tutt’altro che soddisfacente, nè i provvedimenti presi sembravan tali da metterla in buone condizioni, nell’ipotesi che nella prossima primavera si dovesse entrare in campagna.

Occorreva pertanto uscire al più presto da questa crisi, organizzando il meglio possibile il poco che avevamo ed il poco che avremmo in un limite ragionevole di tempo potuto avere, scartando gli apparecchi inutili, proporzionando gli apparecchi ai piloti (che erano molto scarsi):

in una parola, sacrificando la quantità alla qualità, ed agendo immediatamente.

Ed ancora il 22 aprile scrivevo che, nonostante fossero passati quattro mesi dal giorno in cui vennero concessi i fondi richiesti, lo stato di preparazione dell’aeronautica era tuttora assai deficiente e quindi, nell’eventualità di una mobilitazione a breve scadenza, nulla potesse imputarsi, a riguardo dello scarso rendimento di essa, che non fosse stato da me segnalato.

Che queste preoccupazioni fossero giustificate, lo dimostra il fatto che il 20 aprile, (un solo mese prima della dichiarazione di guerra), delle 15 squadriglie di aeroplani allora esistenti, non erano impiegabili in eventuali operazioni di guerra che le 6 squadriglie di monoplani BlériotGnome tutte dotate di apparecchi non completamente rispondenti alle necessità di quel momento.

Le altre 5 squadriglie dotate di ottimi biplani Farman mod.

1914 erano ancora indisponibili per inconvenienti manifestatisi nel motore.

Le squadriglie di artiglieria MacchiParasol non erano ancor pronte.

Su nessuno dei nuovi apparecchi Voisin (motore 130 HP), Aviatik (125 HP) e Caproni (300 HP) si poteva fare assegnamento prima della fine di luglio per operazioni di guerra.

Abbiamo perciò dovuto entrare in guerra in condizioni assai infelici sotto il punto di vista aeronautico, di fronte ad un nemico che era molto meglio fornito di apparecchi, e tale differenza non potè essere che in parte compensata dal grande ardimento dei nostri aviatori.

Solo più tardi fu possibile di dare alla nostra aviazione lo sviluppo che era richieste dalle necessità della guerra.

Ma intanto, e per tutto il 1915, le nostre condizioni rispetto al nemico, furono molto difficili;

ne è prova quanto scrivevo al Ministero della guerra il 20 novembre 1915; ossia che dal principio della campagna — ed in quei giorni più che mai — si era dovuta constatare la imperfezione e la insufficienza dei nostri mezzi aerei, dando, pur troppo, ragione alle mie previsioni di un anno prima, ed appariva evidente che molto tempo prezioso si era perduto;

ma che io non volevo far recriminazioni che nulla muterebbero allo stato di fatto, nè intendevo lamentare ancora i ritardi negli allestimenti, le incertezze nelle ordinazioni, gli studi continui che a nulla approdavano; intendevo soltanto ricordare l’urgente necessità che gli organi tecnici, cui spettava, provvedessero senza ritardi a metterci in condizioni, al più presto, di affrontare con successo le offese nemiche e di sviluppare le nostre difese e le nostre ricognizioni aeree con una relativa larghezza di mezzi.

Continue furono le insistenze del Comando supremo per assicurare l’aumento ed il perfezionamento dei materiali.

Esse furono esercitate dapprima presso il Ministero della guerra, poi presso quello delle armi e munizioni, alle dipendenze del quale era passata la Direzione generale di aeronautica, e specialmente in seno al Comitato supremo delle armi e munizioni, presieduto dal Presidente del consiglio ed al quale partecipavano parecchi membri del Governo, essendovi il Comando supremo rappresentato dal generale Porro, sottocapo di stato maggiore dell’esercito.

In grazia delle reiterate pressioni del Comando supremo e della grande capacità ed attività del generale Marieni, Direttore generale di aeronautica, si giunse a risultati soddisfacenti, cosicchè, di fronte ai 70 aeroplani, di tipi assai vari ed alcuni antiquati, che avevamo al principio della guerra, la flotta aerea, nell’ottobre 1917 disponeva di circa 2000 aeroplani, dei quali 500, in piena efficienza e dei migliori tipi, sulla fronte.