Voci della Grande Guerra

Le scarpe al sole: cronaca di gaie e tristi avventure d’alpini, di muli e di vino Frase: #960

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AutoreMonelli, Paolo
Professione AutoreScrittore, giornalista
EditoreL. Cappelli
LuogoBologna
Data1921
Genere TestualeMemorie
BibliotecaThe University of Connecticut Libraries (Internet Archive)
N Pagine Tot227
N Pagine Pref
N Pagine Txt227
Parti Gold[122-131] [1-121] [132-229]
Digitalizzato Orig
Rilevanza3/3
Copyright

Contenuto

E quando saranno tornati chiederanno che s’istituisca un distintivo per i prigionieri.

Non essere ingiusto (non spasimi anche tu, spesso, di libertà per la pienezza d’amore che ti promettono le sue cartoline galeotte:).

Ci sono i puri, gli sdegnosi, i frementi.

Quelli che caddero prigionieri perché la morte non è il terzo stadio necessario dopo l’olocausto e la fame, perché rimasero al loro posto quanto tutto d’intorno crollava, e non giovò loro rovesciar pietre sul nemico dopo aver finite le cartucce, non giovò loro ritrarsi per aspre creste di montagne, combattenti inutili e oscuri per giorni e per notti (e qui sia concesso al mio spirito di corpo ricordare i fieri battaglioni del secondo alpini che difendevano il Rombon, per i quali sembrano state scritte le parole del Mallarmé:

«i più rantolarono nelle gole notturne, inebriandosi della felicità di veder scorrer il proprio sangue, o Morte unico bacio alle bocche taciturne») — finché, non il nemico, ma la fame e l’innocuità del fuoco li consegnarono alla tortura senza pari, ma la ferita li paralizzò sulle strade perdute, ma la rivoltella fallì all’ultimo colpo che doveva annullarne nel sacrificio supremo la vita.

Adesso, fanno la cura.

Fare la cura vuol dire digiunare volontariamente, o inasprire le ferite avute, o cacciarsi a letto tre mesi per simular la sciatica, o arruffar vita ed azioni per fingere la pazzia, e inocularsi veleni ben dosati, e aspirar zolfo, e masticar caffè — per ridurre il proprio corpo nelle condizioni sufficienti perché i medici lo giudichino invalido, e tornare così in Italia;