Voci della Grande Guerra

Le scarpe al sole: cronaca di gaie e tristi avventure d’alpini, di muli e di vino Frase: #474

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AutoreMonelli, Paolo
Professione AutoreScrittore, giornalista
EditoreL. Cappelli
LuogoBologna
Data1921
Genere TestualeMemorie
BibliotecaThe University of Connecticut Libraries (Internet Archive)
N Pagine Tot227
N Pagine Pref
N Pagine Txt227
Parti Gold[122-131] [1-121] [132-229]
Digitalizzato Orig
Rilevanza3/3
Copyright

Contenuto

L’ho preso senza spaventarmene, come ho preso gli altri, condannati più o meno per gli stessi reati:

sono scappati a trovar la moglie «che la gera drio a far zaino a tera» a partorire, cioè;

hanno detto, da sborniati, aeroplano ai carabinieri;

non son tornati subito allo scadere della licenza, perché, come Palucci raccontava l’anno scorso alla Regana quando era il barbiere della 265.a, «gavevo quela vecia de me mare da trovarghe na casa, che el xe vero che mi pare è morto e cussita son contento che son mi el capo de la fameja, ma con quela svergognata de la mi cuniada no la se pol vedar, e cussita go dovù meterghe pase fra quele done prima de gnir via, e son sta dal sindaco per farme slongar la licensa e lù gnente, e son sta dal marescialo dei carabinieri lù gnente, e alora me la son slongada da par mi».

E finita la lunga cicalata un attimo di meditazione, poi Palucci aggiunge:

— Ma, sior tenente, se lu gaveva bisogno de mi bastava che lu el me mandasse un telegramma de gnir subito e mi vegniva subito.

Ora, in questi casi, se nessuno lo veniva a sapere, il maggiore gli faceva quattro urlacci, un calcio sotto la schiena, tutto era finito.