Voci della Grande Guerra

Le scarpe al sole: cronaca di gaie e tristi avventure d’alpini, di muli e di vino Frase: #310

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AutoreMonelli, Paolo
Professione AutoreScrittore, giornalista
EditoreL. Cappelli
LuogoBologna
Data1921
Genere TestualeMemorie
BibliotecaThe University of Connecticut Libraries (Internet Archive)
N Pagine Tot227
N Pagine Pref
N Pagine Txt227
Parti Gold[122-131] [1-121] [132-229]
Digitalizzato Orig
Rilevanza3/3
Copyright

Contenuto

Di notte, allarme, fucile alla spalla, turno faticoso di vedetta, pattuglie, sempre qualche colpito — di giorno colla picca e il pistoletto, e la corvè, e la fabbrica dei gabbioni, e ancora qualche colpito.

Viene su il superiore che deve essere confermato nel suo comando per il primo settembre, e per quel giorno deve presentare dei bei lavori compiuti: aggrottato, cattivo, vien su con cento giorni di rigore in tasca, finché non gli ha distribuiti tutti non discende, fa il processo a chi dorme perché di notte ha vegliato, misura lesina discute le ore di sonno legittimo, dice:

— Il soldato lavori finché non cade affranto — riparte minacciando questi alpini che sono poi solo una montatura, teuf teuf, l’auto se lo riporta al suo comando dove un capitano gli metterà in bella copia le motivazioni degli arresti di rigore.

Ma la sera in cui il solito disertore nemico per ingraziarsi il nuovo padrone sballa che la notte ci sarà un attacco, e l’allarmi corre dalla divisione nevrastenica per i fili del telefono ai comandi di battaglione, e si ordina di raddoppiare la vigilanza, e le novità ogni due ore, ed ogni fucilata provoca terrore laggiù e l’ufficiale di servizio s’attacca al telefono e domanda che cosa succede (e invece noi sappiamo bene che queste sono le notti in cui ci si potrebbe cavare le scarpe) — allora, perché hanno paura di perdere la posizione, mandano a dire ai valorosi alpini che fanno sicuro assegnamento sui valorosi alpini e che con i valorosi alpini non c’è niente da temere, e se raccomandano ai valorosi alpini di vigilare sanno che questo è un pleonasmo per i valorosi alpini, ma che lo fanno per far piacere al corpo d’Armata.

E così sia.

Due carabinieri hanno condotto su stanotte da Enego i due alpini condannati alla fucilazione perché un giorno dell’Ortigara, usciti dalla battaglia per una corvè, non vi erano poi più rientrati.

Toccano all’aiutante maggiore i compiti più odiosi, persuadere i due che sono vane le speranze che hanno portato trepidamente con sé per tutta la strada (i carabinieri, buoni diavoli, non avevano core di disilluderli);