Voci della Grande Guerra

Contro la censura e gli internamenti: discorso dell’on. avv. Filippo Turati e Politica dei consumi: discorso dell’on. Enrico Dugoni Frase: #116

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AutoreTurati, Filippo
Professione AutorePolitico
EditoreLibreria editrice Avanti
LuogoMilano
Data1916
Genere TestualeDiscorsi
BibliotecaBiblioteca Fondazione Gramsci
N Pagine Tot31
N Pagine Pref
N Pagine Txt31
Parti Gold3-31
Digitalizzato Orig
Rilevanza3/3
CopyrightNo

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«La Camera invita il Governo ad abolire la censura politica e la censura di pensiero;

e, quanto alla materia dei cosidetti «internamenti», invita il Governo;

a revocare immediatamente tutti quelli che, per essere stati ordinati fuori della zona di guerra da autorità non militari, si risolvono in veri e propri sequestri di persona;

a ridurre le misure analoghe ordinate da autorità militari competenti in zona di guerra a ciò che possono essere secondo la lettera e lo spirito delle leggi militari, e cioè a semplici allontanamenti da determinate località in vista di precise esigenze delle operazioni militari, consentita quindi agli allontanati piena libertà di locomozione e di soggiorno in tutto il resto del Regno, senza pregiudizio di quei sussidi che bastino a risarcire essi e le loro famiglie dei danni loro inferti;

ad affidare a una Commissione di deputati e magistrati, sedente in Roma, il riesame di tutte le misure d’internamento prese e mantenute e la cognizione dei relativi ricorsi, con facoltà di interrogare o far interrogare gli interessati, ed eventualmente i denunciatari e i testimoni, nelle forme che la Commissione stessa statuirà, e con l’obbligo di significare agli interessati le proprie motivate conclusioni e deliberazioni».

TURATI.

— Il mio sarà molto meno di un discorso, sarà una ricapitolazione.

Io non mi dolgo, per me, della affrettata chiusura di questa discussione.

E dico affrettata perché, se come è nelle speranze e nei voti, altri ministri prenderanno la parola, la discussione generale sarà automaticamente riaperta per fatalità di regolamento, per precetto dello statuto della Camera.

Non me ne dolgo, se anche l’affrettata chiusura mi consiglia di abbandonare o di sfiorare appena il tema della discussione generale per attenermi il più strettamente possibile ai termini del mio ordine del giorno.

Non ho bisogno di riprendere il tema e il tono della discussione generale.

Per questo parlò per noi ieri Claudio Treves, e al suo discorso nulla si aggiunge, nulla si toglie, nulla si modifica.

Questo voi tutti avete sentito.

Ogni discorso è fatto di parole, ma ogni vero discorso ha anche un’anima.

Le parole si possono torcere, isolare, sofisticare, travisare, contradire, ma l’anima rimane.

Così voi quel discorso potrete confutare, e tuttavia esso rimarrà.

Fu detto, anzi «inciso nel bronzo» per uno dei martiri del pensiero umano, ch’esso fu «arso, non confutato».

Pel discorso dell’amico Treves, se altri pigliasse a confutarlo parte a parte (e nessuno lo tenterà, perché, per questo, converrebbe entrare nelle viscere profonde delle cose, ciò che il Governo e la Camera non fanno e non vogliono si faccia), se qualcuno che ne abbia autorità prendesse a tentare di confutarlo a parte a parte, quel motto si dovrebbe invertire;

si dovrebbe dire di quel discorso: «confutato. ma non arso»; confutato ma non distrutto.

Perché, come non si distrugge con postume errata-corrige la storia che fu, così non si distrugge la storia che è in cammino.

E quel discorso era veramente un blocco di storia che si forma.

Vedete, o signori, come sia vana questa nostra guerra di parole, come sia deluditrice e piena d’inganni.

Dopo il discorso del collega Treves ieri, dopo la scossa che esso recò nell’Assemblea (Oh: oh:) sì, specialmente in coloro che con clamorosa ostentazione vollero dissimularlo a sé e ad altrui, voi avete visto le due anime dell’Assemblea quasi scontrarsi in un cozzo vivace.

Scattarono delle frasi violente;

il collega Arcà lanciò primo il grido di: Viva la guerra:

ed altri, dopo, per reazione, — è bene constatare la successione cronologica per ristabilire la esattezza dei resoconti — gridò: Abbasso la guerra:

Orbene, quelle frasi, onorevoli colleghi, erano false l’una e l’altra ugualmente.

Nessuno di voi pensava e sentiva il suo evviva alla guerra:

Neanche quelli che sinceramente credono questa guerra benefica, provvida, gloriosa;

perché essi pensano tutt’al più che essa sia un male necessario, a cui bisogna piegare la cervice.

Parimenti tutti quelli che, come noi, pensano che questa guerra fosse inutile, criminosa, oggi, a guerra impegnata, non pensano davvero «abbasso la guerra», se questa frase così monca, incompleta dovesse significare cessazione senz’altro, pace senza patti, dedizione, abdicazione, rinunzia.

Tutte queste frasi, appunto perché «frasi», sono false nella loro stessa brevità, sono cariche di inganno, di insidia, di frode.

Noi dovremmo liberarcene ed entrare nelle questioni concrete, ossia nella realtà.

La realtà è sempre fatta di limiti e di condizioni, fuori delle quali non c’è politica, e nel precisare le quali molti di noi si troverebbero assai meno lontani di quello, che vogliamo parere nelle spavalde dichiarazioni.

Si dice:

parleremo della pace dopo la vittoria;

ma anche la vittoria è vocabolo troppo generale;

la vittoria anch’essa, è suscettibile di graduazione, di limiti, di proporzioni.

Vi sono sconfitte che oscurano ogni vittoria, per usare le parole di Cavallotti, come vi sono vittorie che si espiano, vittorie che perdono il vincitore.

Che giova la vittoria a chi ne esca così disfatto, così esausto, da non aver più la forza di sfruttarla:

Che giova una vittoria che lasci infiniti strascichi e fermenti di odio e di vendetta:

In ogni cosa è sempre questione di limiti.

Si può egli credere che la pace si improvvisi, ch’essa un giorno emerga per prodigio, come Venere dalle spume del mare, se non la si sia prima voluta, pensata, ponderata, se non se ne siano calcolate tutte le condizioni, economiche, politiche, diplomatiche:

Anche il pensiero di pace è pensiero auspice di vittoria se significa preoccupazione di giustizia, di moderazione, di rispetto a tutto ciò che è umano, senza cui non è vittoria durevole, che sia insieme la vittoria di un popolo e vittoria dell’umanità.

E se è fellonia parlare di pace prima della vittoria definitiva, sarà forse meno barbarico far la propaganda di una guerra atroce, senza fine, di una guerra fino alla sopraffazione o fino all’esaurimento:

(Commenti — Rumori).

Quale delle due bestemmie è la più incivile:

I due assurdi si equivalgono.

La storia li condanna entrambi, essa che fatalmente tende all’equilibrio.

Cercare il punto di questo equilibrio, ecco il dovere più urgente dell’ora che volge.

Ma io m’avveggo, signori, che mi contraddico.

Io non volevo cincischiare con i miei sgorbi il monolito di pensiero e di sentimento che Claudio Treves piantò ieri, nell’arena delle nostre agitate discussioni e dei nostri passionati discorsi, come un’ara di espiazione e di conciliazione umana.

Rientro quindi nei limiti del mio duplice tema: censura ed internamenti.

E anche di questo io non dirò più che poche parole perché non voglio rifare la terza non richiesta replica di una stessa discussione.

Anche della censura Claudio Treves disse ieri quello che occorreva e quello che basta.

Anche qui non giova schermeggiare con le parole, come fece in un giornale romano di stamane il mio amico Raimondo.

Va bene:

dire «abolite la censura politica» è troppo vago, la parola non rende sufficientemente, non precisa, non misura l’idea.

Cercate altro.

Ma il concetto è questo:

non date all’Europa lo spettacolo che l’Italia sia un popolo di minorenni, di isterici, di epilettici, a cui non si può dire la verità, che si deve sottrarre al duro cimento e alla educazione austera della verità, ossia al rispetto di sé stesso.

Non ci carcerate, non vi carcerate nell’ombra.

Non nascondete la vostra e la nostra testa sotto l’ala.

Non date questo spettacolo di paura, sì, di paura, mentre fate tanta esaltazione, a frasi, delle prodezze degli eroi.

La bugia ha le gambe corte, e la reticenza è la cosa più goffa di questo mondo, perché si tradisce e si svela ad ogni passo, e, quel che è peggio, scredita la stessa verità e impedisce di crederla.

Colla compressione lo sapete tutti, si ottiene l’effetto precisamente opposto a quello che, stupidamente, ci si propone di ottenere.

Ad un popolo a cui voi ostensibilmente negate la fiducia, ad un popolo che voi svigorite tenendolo in un regime di carcere e di convento, come potete domandare di aver fiducia in sé stesso:

La contraddizione non lo consente.

Debbo dire, per dovere di giustizia, che l’amico Raimondo, che non vedo qui, non andava alla conclusione antidiluviana che si debba mantenere tal quale la censura.

Egli riconosceva che c’è un campo, nel giornalismo politico, che alla censura deve essere assolutamente conteso, cioè la discussione di quelle materie che non attendono né direttamente né indirettamente alla guerra:

con che al giornale politico qualche po’di cronaca cittadina, il suicidio del vetturino, l’estrazione dei numero del lotto, forse, con molta prudenza, il piatto del giorno, potranno essere liberamente materia di pubblicazione.

E con ciò mi rammentava l’amico Raimondo quel famoso «Congresso di là da venire» del Giusti, in cui Sua Altezza Serenissima si era alfine decisa a spalancare uno spiraglio a pro dell’intelletto dei suoi suditi e «tolta la statistica — che pubblica i segreti — la chimica, la fisica, che permalisce i Meda — posto un sacro silenzio — d’ogni e qualunque scuola — pel resto... a tutti libera — concede la parola:».

Tutto quel bianco, onorevole Orlando, onde voi cospargete certi giornali, è terribilmente sovversivo.

Il lettore, che è assai malizioso, vi legge tante cose, anche quelle che mai non furono nè pensate, né scritte.

Tutto ciò, del resto, era pacifico pochi anni fa e ammesso da tutti noi.

Onorevoli Sacchi e voi, onorevole Boselli, che entrambi aveste mano nell’abolizione del sequestro preventivo;

o non fummo noi tutti unanimi a proclamare che esso era una cosa beota ed una cosa scema, perché non faceva che aggravare il male, suscitando la cupidigia del frutto proibito:

Su ciò eravamo tutti d’accordo pei tempi normali, per le ore calme:

Quando poi il bisogno di luce diventa più urgente e più sentito, diventa addirittura uno spasimo, allora tutto ciò che abbiamo conclamato diventa scemenza, e bisogna tornare al regime delle dande o a quello delle mordacchie:

Perché la censura sostituisce il sequestro, con una forma ancora e di gran lunga più deleteria.

Il sequestro aveva ancora una specie di galantomismo.

Il processo che teneva dietro, era una sanzione pel sequestrato ed insieme una sanzione contro gli eccessi del censore.

La censura è invece l’irresponsabilità assoluta, è il regime veramente paterno, vale a dire il regime eviratore, e l’effetto voi lo vedete nei giornali che colpisce a preferenza la vostra censura, nei quali, io non lo nego, c’è un senso di amarezza, di acidità, di ostilità ironica, qualche volta, all’opera vostra, alla guerra nazionale, a sentimenti che anche noi serenamente vorremmo rispettati.

Ma voi pretenderete sul serio che uno conservi la faccia serena sotto il bavaglio:

Questo è troppo puerile:

In fondo, gli stessi accenni di violenza che qualche volta scoppiano in quest’aula, se voi ci pensate bene, derivano, dalle stesse ragioni;

anch’essi sono gli effetti di una discussione incompleta, strozzata, paventata.

È un bavaglio legale e volontario, una forma, quasi direi, di masochismo politico, che la Camera impone a sé stessa.

Se voi tolleraste la discussione completa, voi non avreste certamente quelle forme di violenze incomposte che fanno trepidare tante animule blandule nei vari settori.

Da che è convocato il Parlamento, leggendo i giornali, io vedo incombere una preoccupazione sola: quella che il Parlamento finisca presto, che chiuda subito i battenti, che esso non sia, che, sopratutto, non parli, perché questo, onorevole Boselli, è momento di opere (non è vero:), non è momento di parole.

Il Parlamento è considerato come un male necessario, è come un tollerato dal Governo e da sé stesso.

Ahimé:

bisogna pure qualche volta convocarlo:

Non siamo ancora in regime russo:

facciamo in modo però che il sistema funzioni il meno possibile, che abbia solo l’apparenza del funzionare.

Io credo che la invocata concordia, quel tanto di concordia che è ragionevolmente possibile, perché è stupido domandare l’impossibile, scaturirebbe assai meglio da discussioni profonde sulle cose, che precisandoli, limiterebbero i contrasti, e in parte li risolverebbero o li attenuerebbero.

Si direbbe che il Governo faccia invece con la Camera, se il paragone non è irriverente, come quei mariti che hanno sposato una donna molto zotica, o magari peggio, e che pur qualche volta la debbono presentare in società, ma lo fanno con gran terrore, poiché temono che essa tradisca la propria origine, e tirano un gran sospirone di sollievo quando la possono riportare sotto il tetto domestico, perché finalmente si sentono fuori del pericolo.

Eppure la nostra origine, è il Paese, è il suffragio universale...

Ma, disse bene il Presidente del Consiglio:

è tempo di opere e non è tempo di parole;

e d’altronde, le parole possono avere un colore, e le opere un altro.

Noi rimaniamo opposizione, voi lo sapete:

non ve ne dovrete, vi dorreste se non fosse così, eppure, signori del Governo, noi vi facciamo qualche credito, checché voi diciate.

L’onorevole Orlando, in un impeto di spirito cavalleresco, che poteva anche essere un gesto di accortezza e di abilità (Commenti), quasi a respingere ogni solidarietà con l’ingiuria che era lanciata al caduto Presidente del Consiglio, e che fu detta ingiuria di Maramaldo, e non lo era perché Maramaldo offendeva l’agonia d’un eroe, e qui non avevamo forse un eroe, certo non avevamo un agonizzante...

(Ilarità — Commenti).

MARCHESANO.

Ma era Ferruccio l’eroe:

(Commenti — Ilarità).

TURATI.

L’onorevole Salandra non è Ferruccio e non è morto;

anzi c’è chi teme che possa essere troppo ancora più vivo di quello che pare.

Ma non mi fate perdere il filo del periodo.

La mia parentesi vuol dire questo, che in questo caso l’ingiuria al vivo poteva essere la difesa della patria.

L’onorevole Orlando dunque, in un impeto cavalleresco, dichiarò che egli ascriveva a suo massimo onore di aver fatto parte del Gabinetto Salandra.

È il meno, lo riconosco, che egli potese offrire al suo predecessore, dal momento che si è installato al suo posto.

(Ilarità).

Ma se l’onorevole Orlando, pel quale tutti abbiamo tanta deferenza, e vorrei dire tanta amicizia, se questa parola da questi banchi non si prestasse all equivoco, se anche mi ripetesse oggi tutte le parole dell’onorevole Salandra, nel suo lealismo di successore, non potrebbe impedire che io ed altri non attendessimo da lui altri e ben diversi fatti.

Non può, non deve essere stata invano la crisi ministeriale.

A dispetto di tutti i commenti piccini e unilaterali, un fatto politico, un fatto grande è avvenuto:

non diminuitelo, non diminuite voi stessi e la Camera, non incarceratevi con le vostre stesse mani.

Noi dobbiamo attendere ed attendiamo.

Attendiamo, poiché è tempo di opere e non di parole, opere per la censura, e attendiamo tanto più per la materia degli internamenti.

Questione stucchevole come ha detto con disdegno un giornale che era ufficioso fino a ieri, anzi è ancora ufficioso di una parte del Governo, (Ilarità) ed anti-ufficioso dell' altra parte.

(Si ride).

Ah: signori, il Giornale d’Italia di stamane non era certo ufficioso del mio buon amico Ivanoe Bonomi:

Questione stucchevole:

Io dico qualche cosa di più; questione penosa, questione vergognosa, obbrobbriosa, com’è obbrobrioso che da un anno essa si trascini dinanzi alla Camera e al Governo, e che Governo e Parlamento sembrino impotenti a risolverla.

Eppure se si volesse risolvere, si potrebbe, ed in brevissimo tempo.

Perciò vi attendiamo ai fatti.

Per compilare il mio ordine del giorno ho ceduto a tutte le possibili viltà parlamentari.

Consentite ch’io faccia la confessione russa, ad alta voce, fra voi.

Non vi domandai né sconfessioni, né rinnegamenti di principî, proclamati prima dai banchi del Governo.

Ciò che vi domando, ciò che vi domandiamo, è meno assai, infinitamente meno della legge scritta.

Con la legge in mano avrei potuto domandare che fossero dichiarati irriti e nulli tutti gli internamenti fin qui decretati, perché tutti incostituzionali;

perché non è vero che il Comando Supremo possa mai sostituire e coprire l’azione e la responsabilità del Governo;

perché non è vero che il Governo, nella tutela delle elementari libertà statutarie, possa mai nascondersi dietro un altro potere superiore a lui nel Regno d’Italia.

In ogni caso il potere del Comando Supremo dovrebbe essere definito da bandi ben noti e ben precisati, e punizioni e condanne non potrebbero essere che le conseguenze della dimostrata violazione di quei bandi.

Ora, in tutta questa enorme tregenda della quale mi occupo da tanti mesi, non ho trovato una volta sola evocata la pubblicazione di un bando, non mai ho trovato una condanna motivata.

Io cerco invano da un anno chi condanna in Italia questa gente.

I colpi vengono non si sa da chi, non si sa perché, non si sa come.

Eppure io ho rispettato il feticcio, il potere occulto.

Io non vi chiedo che sconfessiate nulla;

ciò che io chiedo è ciò che non potete negarmi.

Io vi domando in primo luogo che siano revocati tutti gli internamenti fatti fuori della zona di guerra, che sono manifestamente sequestri di persona che nessuna legge, neppure interpretata il più rabbinamente, autorizza o giustifica.

L’onorevole Orlando, che ha da tutelare il suo decoro di giurista, spero non vorrà dirmi che l’art. 11 delle disposizioni straordinarie di pubblica sicurezza emanate con decreto Reale nel maggio 1915, autorizzi il docimilio coatto per decreto all’infuori dei casi previsti dalla legge di pubblica sicurezza.

Se egli me lo dicesse, io risponderei che non lo pensa, che egli non lo deve, non lo può pensare.

Non è necessario, onorevole Orlando, spingere la solidarietà verso il passato al di là di tutti i termini di ragione.

Non vi è nessuno che vi tenga solidale con tutti i provvedimenti di polizia militare emanati dal Governo di cui avete fatto parte come ministro di grazia e giustizia e dei culti.

Non spingete quindi la finzione costituzione al di là di tutti i limiti del senso comune, unicamente in dispregio al diritto e all’interesse della Patria e dell’umanità.

Voi non foste corresponsabile e non sarete solidale.

Voi proscioglierete quegli internati, senz’altro, come ogni galantuomo, se può, libera un ricattato, un mantenuto in sequestro personale da un qualsiasi privato.

Vi sono poi le altre migliaia di sofferenti, quelli dei quali mi sono tante volte occupato:

gl’internati dalla zona di guerra.

E anzitutto gli austriaci, o i pretesi austriaci, anche i più innocui, internati in Sardegna.

Si disse:

questi internamenti non implicano alcuna nota d’infamia personale, nei colpiti:

si tratta di una semplice misura generale di rappresaglia politica, ecc.

Questa materia va riesaminata, onorevole ministro dell’Interno.

Vi sono errori di ogni genere, anche errori di persona.

D’altronde, a me pare che il concetto di rappresaglia politica autorizzi la ferocia.

Poiché la parola vittoria desta cosi largo entusiasmo in quest’aula, io dico che sarebbe per noi una grande vittoria se noi potessimo dichiarare che non abbiamo imitato il nemico in tutto ciò che esso fa di turpe, di feroce, di barbaro.

ORLANDO V. E., ministro dell’interno.

Lo possiamo dire.

TURATI.

Non basta il dirlo, bisogna poterlo documentare.

(Commenti).

Sarebbe grande vittoria se l’Italia potesse dire in questo momento:

io non sono l’Austria.

(Rumori e commenti prolungati).

Vi sono a centinaia irredenti, disertori dall’esercito austriaco, venuti pieni di fede in Italia.

Molti di essi hanno i loro congiunti confinati nei campi di concentrazione austriaci, come sospetti di italianità.

Alcuni che offrirono il loro braccio all’esercito nostro, vi furono accolti, hanno combattuto per noi, e, feriti, usciti dagli ospedali, hanno trovato i carabinieri che li hanno accompagnati nelle colonie d’infamia italiane.

Questo il loro premio, questo il segno di redenzione che loro avete dato:

Tutto questo, onorevole Orlando, converrete che va almeno riesaminato.

Questo sarcasmo di redenzione agli irredenti non è umano e non è italiano.

Vi sono infine gli italiani veri e propri, anche secondo lo stato civile, italiani di nascita, di consuetudini, di costume, di diritto, italiani come noi, cittadini, al pari di noi, della Venezia e del Friuli, scacciati, arrestati, non si sa perché, per quei sospetti generici non mai specificati, di cui ho altre volte parlato.

Onorevole Orlando, signori del Governo, il sospetto che non si può specificare, nè contestare, non è un sospetto, non esiste.

Voi accetterete, spero, questa massima:

non esiste il sospetto che non si può dire su quali fatti si fondi.

Non si può essere sospettati senza che ci sia un determinato fatto specifico a sostegno del sospetto.

Altrimenti nessuno più sentirebbe la propria integrità morale al sicuro, perché, se voi sospettate di me, io sospetto di voi, e questo mondo diventa tutto una galera.

Ciò che vi chiedo per costoro, e sono migliaia e il loro numero è aumentato anche oggi, dacché voi siete al Governo (e spero che sia per mera forza di inerzia, per un movimento iniziale che non si poté o non si volle bruscamente arrestare), ciò che chiedo è unicamente ciò che l’onorevole Salandra ha dichiarato che è giusto, che si era fatto, che si stava facendo, che si sarebbe fatto, laddove non fosse ancora completamente avvenuto.

Rileggete le sue dichiarazioni dell’11 dicembre e del 7 giugno, e fate voi ciò che da lui si promise e che non si è fatto.

(Interruzione del deputato Celesia).

Onorevole Celesia, voi potrete seguitare ad affermare, io seguiterò a contestare le vostre asserzioni.

Ripeto che ciò che si promise non si è neppure cominciato ad attuare.

Rileggete, ripeto, quelle formali promesse.

Riammissione incondizionata fuori della zona di guerra, larghissima riammissione nelle retrovie ad eccezione soltanto di quei pochi sui quali incombessero sospetti specifici che li rendessero veramente pericolosi.

E dicendo sospetti specifici, s’intende sospetti che si possano, che si debbano formulare, precisare, contestare.

Perché non vi è nulla di più terribile, infame e iniquo, che sentirsi accusati come sospetti senza un’accusa, una contestazione ci sia, in modo da potersi difendere dalla generica accusa.

Io sono sospetto.

Ma di che, in nome di Dio:

Ditemi almeno da che fatti derivate l’accusa:

Di tutto questo un riesame generoso, equo, largo, s’impone, come si fa tra uomini, non dico tra cittadini.

In ogni caso libertà di dimora, di soggiorno, di lavoro, non domicilio coatto:

questo noi domandiamo.

L’onorevole Salandra disse:

non è vero:

Turati sogna, non c’è domicilio coatto.

Noi non vogliamo nessuna sconfessione:

quello che dichiarò l’onorevole Salandra fatelo voi;

non gli potete dare migliore solidarietà che questa, di riabilitarne la parola data.

Le cifre ch’egli ci portò, domandatele ai vostri uffici di polizia, scendete dal secondo al primo piano di Palazzo Braschi, sono fantastiche.

Furono create mescolando il rinvio di certi profughi con quello degli internati.

Nessuna libertà, nessun miglioramento, fu dato ad alcuno.

Costretti a vivere in luoghi di malaria, nella mendicità, nel sudiciume, nell’ozio, nel disonore, spesso costretti a dormire su stuoie:

Non è vero neppure che si dia a tutti il sussidio di una lira, perché certi municipi pretendono prelevarne i 20 o i 30 centesimi per dare loro uno stuoia.

E alcuni sono ammalati, altri spinti al suicidio, altri al manicomio:

Neppure i ricchi hanno concessioni.

Almeno un po’di privilegio di classe capitalistico ci fosse in questo senso:

Nessuna libertà di docimilio e di vita, scalzi, affamati, laceri, ecco la condizione di questa gente, contro cui non esiste un indizio, né una prova la più lontana.

O signori del Governo, togliete questo fango, togliete questo sterco dal viso della patria:

Io vi domando infine — e conchiudo — quello che vi richiese nella prima discussione, il 12 dicembre, Leonida Bissolati.

Non è concepibile che Leonida Bissolati sia passato inutilmente al Governo.

Leonida Bissolati chiese due cose: un riesame sincero delle accuse, che riscatti l’onore degli ingiustamente sospettati.

Per coloro contro cui il sospetto - semplice sospetto - sembri fondato, libertà tuttavia, fuori della zona di guerra, di vivere, di respirare, di lavorare, di muoversi.

Riesame sincero con una Commisione responsabile, la quale oggi è tanto più necessaria, dacché l’onorevole Salandra ha dichiarato che sarebbero revocate le espulsioni di quanti non siano pericolosi per sospetti specifici, di guisa che tutti coloro per cui l’espulsione sia mantenuta, hanno il loro bravo marchio di contrabbandieri o di spie.

Il riesame sia fatto da una Commissione di magistrati e deputati, perché il difendere la libertà dei cittadini, Bissolati osservava, è essenzialmente compito dei parlamentari.

Il riesame degli internamenti affidato alla Commissione di Udine è ormai pacifico non essere che una triste favola, poiché sono quegli istessi che hanno condannato che sono invitati ad annullare il proprio giudizio, ossia a condannare sé stessi.

La Commissione risieda in Roma.

Il riesame fatelo fare da uomini che noi conosciamo, a cui possiamo guardare negli occhi, e noi saremo perfettamente tranquilli.

Se rimane un sospetto contro qualcuno, fatelo vigilare.

Onorevole Carcano, quanti milioni diamo al Governo per la polizia, perché essa possa vigilare:

Vi è dunque bisogno di mandar questi uomini a morire di malattie e di malaria:

Signori:

Sono cose così semplici, che sentiamo il rossore salirci al viso, constatando che è la terza volta che dobbiamo riprodurre questa stucchevole questione avanti la Camera.

Ah: sì: veramente è ormai tempo di opere e non di parole:

Questa speculazione sulla guerra, che non ha dalla guerra la più lontana giustificazione, deve cessare, senza ulteriore ritardo.

Voi la farete cessare e renderete giustizia all’Italia e a voi stessi:

Noi voteremo ancora contro il Governo:

ma il nostro voto contrario sia voto politico, determinato da differenze di vedute politiche, e non sia uno stigma di carattere morale.

Oppositori leali, noi dobbiamo combattervi, ma desideriamo rispettarvi.

Fate, o signori, che sia il vostro, almeno in questo senso, un «Governo nazionale»: che la nazione non debba vergognarsi di voi:

(Vive approvazioni da una parte dell’estrema sinistra — Congratulazioni — Commenti animati).

«La Camera invita il Governo a difendere con la massima urgenza gli interessi dei consumatori affrontando con larghe e moderne provvidenze il gravissimo problema degli approvvigionamenti, mediante il censimento, la fissazione del prezzo limite e la eventuale requisizione dei prodotti di maggiore e più essenziale consumo (cereali, carni, latte e derivati, combustibili, ecc), e con larghi e pronti acquisti all’estero dei prodotti necessari ad assicurare il fabbisogno nazionale.

«Richiama infine l’attenzione del Governo istesso sulla necessità di dare mano ad una vasta politica dei lavori pubblici così che, col favorire lo sviluppo della ricchezza nazionale, sia garantita l’esistenza al lavoratore che avrà la fortuna di tornare dalla guerra, e gli venga risparmiata la umiliante lotta contro la disoccupazione.

DUGONI.

È certo che l’ora non mi permette di svolgere, così come era intendimento mio e del mio gruppo, l’ordine del giorno che ho presentato.

Non mi è permesso svolgerlo, così come sarebbe imposto e dall’importanza dell’argomento e dall’urgenza di provvedere.

Perché fino ad ora, senza far torto agli oratori che hanno parlato in forma alta, superiore, indiscutibilmente convincente ed avvincente, non furono trattati i problemi che sono richiesti dalla necessità della vita contemporanea:

mentre fu dato soprattutto largo sviluppo alle più alte, ma meno concrete questioni della politica estera, della politica interna.

Non furono trattati ancora quei problemi che richiedono una immediata soluzione e sono più fortemente sentiti dal paese e dalle classi più povere.

Questi problemi per ora, pur troppo, non sono stati trattati.

Comprendo altresì che è tardi, forse troppo tardi affrontare e praticare con efficacia quei provvedimenti che valgano a garantire il paese contro la speculazione e la mancata organizzazione del problema dei consumi, e questo per colpa del Ministro Salandra.

Al quale non è a dirsi siano mancati consigli, da questi banchi specialmente, e da quelli;

come non mancarono i voti di organizzazioni operaie (Lega nazionale delle cooperative, Confederazione del lavoro, Federazione nazionale dei lavoratori della terra) e padronali; di Camere di lavoro e di Camere di Commercio; di giornali politici e tecnici, di economia e di finanza.

Fatta eccezione dell’acquisto del grano estero, fatto tardivamente ed a mercato elevatissimo — come ho avuto occasione di rilevare nei miei discorsi del febbraio 1915 e del marzo 1916 — e la istituzione dei Consorzi granari — parecchi dei quali snaturarono il loro scopo — mancò al Governo precedente la larga visione di una organica politica dei consumi e degli approvvigionamenti.

Non credete, onorevoli colleghi, questo ricordo uno sfogo personale contro uomini che pagarono col biasimo della Camera le loro manchevolezze ed i loro ottimismi teorici.

Questo rilievo faccio nella speranza che gli uomini nuovi chiamati a reggere le sorti del mio paese sappiano trarre dal passato l’esperienza per le migliori opere dell’avvenire.

Ora io non mi lusingo che la mia modesta parola possa persuadere gli uomini del Governo a seguire tutti i criteri ed i principi che hanno informato, nei riguardi dei problemi economici, l’opera del gruppo parlamentare socialista.

Nutro tuttavia fiducia che il ministro di agricoltura, al quale specialmente si rivolge la mia parola, uomo competente, ed in materia economica certamente più moderno del suo predecessore, mi darà un qualche affidamento di accettare quelle proposte che noi, a nome della Lega dei comuni socialisti, abbiamo fatto al Governo in una riunone degli scorsi giorni e che brevemente riassumo.

Si tratta del problema economico generale riguardante gli approvvigionamenti;

problema che il superato Governo Salandra non ha affrontato se non parzialmente.

Noi domandiamo che il Governo studi il problema dei consumi più largamente, con criteri più vasti.

Siamo profondamente convinti che senza l’opera diretta dal Governo, in armonica collaborazione con quella delle amministrazioni comunali, il problema non verrà mai efficacemente risoluto, ed i consumatori saranno vieppiù acerbamente taglieggiati dalla ingorda speculazione privata.

Potrei enunciare qui molte cifre, le quali dimostrerebbero come vi sia un dislivello ingiustificato e stridente tra le condizioni di una regione e di una città e le condizioni di un’altra regione e di altre città.

Questo perché non è stato risolto il problema con un criterio unico.

I comuni italiani, che hanno avuto la possibilità e la fortuna di eleggersi amministrazioni moderne, cito Milano e Bologna, hanno risoluto in gran parte il problema, pur sottostando alle vicende dei mercati.

Esse hanno lenito in parte la terribile crudezza degli alti prezzi.

Se noi dovessimo paragonare queste cifre con quelle di altre città, dove le Amministrazioni non hanno compiuto il loro dovere, stabiliremmo dei confronti sbalorditivi.

Mi perdonerete se non parlo del Mar Rosso o di altre questioni di politica internazionale:

sono un modesto revisore di cifre e di statistiche e perciò scusatemi se, mantenendomi terra terra, vi faccio considerazioni d’indole pratica.

A Milano e a Bologna i generi di prima necessità, come cereali, verdure e frutta, che oggi sotituiscono nell’alimentazione del povero la carne, salita a prezzi proibitivi, costano la metà di quanto costano a Mantova, Ferrara, ecc.

Per qual ragione:

Forseché i mercati di Milano e Bologna son governati da un regime diverso:

No.

La ragione è che a Milano come a Bologna, quelle Amministrazioni socialiste hanno affrontato il problema in modo largo, hanno avuto amministratori ispirati ai più sani criteri d’economia democratica, tutelando sul serio gli interessi dei consumatori.

Vi bastino le seguenti cifre comparative tolte dal Bollettino ufficiale pubblicato a Milano per cura del Comune per convincervi della verità del mio asserto.

Queste cifre parmi dovrebbero convincervi della gravità del problema e incoraggiare chi, come me, non da oggi cerca di spingere il Governo a porre il problema allo studio e risolverlo con immediati provvedimenti.

E non rientro, perché annoierei la Camera, nel più largo problema dei rifornimenti granari.

Mi permetto solo di accennare ad una mia impressione, che non è mia soggettiva, ma dell’ambiente nel quale vivo, dal quale ha ricevute numerose lettere di questi giorni, dopo il decreto che fissa il prezzo del frumento a lire 36 il quintale.

Il prezzo è troppo elevato;

gli stessi nostri agricoltori credevano un errore di trasmissione del decreto.

CAPPA.

È d’accordo con Grosso-Campana.

DUGONI.

Non lo so, ma vado certamente d’accordo con coloro i quali consumano, amico, e non compagno, Cappa.

(Ilarità).

Ed affermo che, secondo il mio modestissimo avviso, il prezzo che io avevo suggerito al Governo con la mia interrogazione, cioè il prezzo limite di L. 32, mi pareva sufficientemente remunerativo per l’agricoltore italiano.

Intendiamoci:

quando parlo di agricoltore italiano non dico di tutti gli agricoltori italiani, dico della grande, della grandissima maggioranza.

Orbene, è logico che per la salvezza economica di una infinitesima parte dei produttori italiani, tutti i consumatori del nostro paese debbano subire le terribili conseguenze di questo prezzo esagerato, troppo elevato:

Voi con le migliori intenzioni — e ne conosco anche le giustificazioni, dettemi con tutta sincerità dal ministro Raineri — avete fissato, secondo me, un prezzo troppo alto.

Le ragioni che il Governo adduce sarebbero sostanzialmente queste, che qualora il Governo avesse fissato un prezzo limite di requisizione più basso delle lire 36, una parte del raccolto dell’anno prossimo non si sarebbe avuta, in quanto i produttori non avrebbero seminato.

Era evidente però che si poteva dare a questa obbiezione un’altra risposta.

Se i produttori italiani non trovano conforme al loro interesse la coltivazione del frumento e questo sostituiscono con altro prodotto, ad esempio le bietole, applicate anche a questo il prazzo limite conguagliato al reddito della produzione granaria.

Ed avete un altro mezzo ancora al riguardo, più rivoluzionario, meno legale, se volete.

Poiché siete in regime di imperio avvaletevene nell’interesse del paese, come avete fatto per altri problemi.

Onorevole Raineri, voi che siete un illustre cultore delle scienze agrarie, voi mi insegnate che le coltivazioni in Italia, come dappertutto, debbono seguire la logica della rotazione, dello avvicendamento.

Orbene, imponete a ciascun produttore italiano, nell’interesse del paese e del consumatore, che il suo terreno sia coltivato un terzo a frumento per l’anno prossimo, per garantire al paese il massimo del rendimento ed evitare a voi la noia ed il danno di acquistare maggiore quantità di frumento all’estero.

Perché è qui la vostra risposta, onorevole ministro, non è vero:

DRAGO.

La rotazione agraria di Stato...

DUGONI.

Questo è stato un mio consiglio, ed era un provvedimento che mi sembrava anche logico...

Io vorrei vedere, onorevole Drago: se i produttori italiani per una coalizione antipatriottica nel senso vero dell’antipatriottismo, non coltivassero a danno dei consumatori, se voi e lo stesso Governo non sareste venuti con provvedimenti di imperio a imporre ai coltivatori italiani una determinata coltivazione.

Ora, se questo è; se voi questi decreti potete maneggiare ancora in ventiquattro ore nell’interesse del Paese, perché non li avete minacciati a coloro che sono venuti in commissione a premere perchè il prezzo fosse fissato a tasso così alto:

Pensate, onorevoli signori del Governo, che nelle provincie a larga produzione agraria si vanno formando in questi giorni, da parte dei consumatori, giudizi non certo simpatici per la prima vostra opera.

Pensate, signori che siete al Governo, verso ciascuno dei quali io ho maggiore simpatia personale di quella che io non avessi per qualcuno dei vostri predecessori, anche perché credo che la vostra politica economica sarà molto più larga e più moderna; pensate che siete qui a rappresentare il Paese nel momento più difficile, che dovete affrontare il problema economico con risolutezza e con forza.

Voi dovete dare la tranquillità alla popolazione operaia che si batte eroicamente — come si declama ogni giorno con vana formula retorica — alla fronte, per cui è davvero antitaliano, antipatriottico tormentare l’animo del combattente col dubbio quotidiano sulle condizioni economiche dei suoi cari, che ha abbandonati contro sua volontà.

Voi dovete risolvere il problema.

Ve lo suggeriamo noi di questo gruppo che abbiamo combattuto i vostri predecessori e che combattiamo anche voi, perché voi siete il Governo che continua la guerra e noi fummo coloro che la guerra volevamo deprecare.

Or bene, date almeno questa tranquillità al paese con larghi provvedimenti:

avvaletevi di tutti i mezzi, non esclusa la requisizione di tutti i prodotti necessari alle popolazioni italiane, se volete sul serio invocare la tregua degli animi.

Vedete, uno degli alimenti che oggi sostituisce in parte l’alimentazione carnea è il latte e derivati, specie il formaggio.

Or bene, egregi signori, se voi doveste esaminare, ben profondamente, la produzione ed il commercio dei derivati del latte, cioè dei formaggi in Italia, particolarmente del formaggio di grana, vi meravigliereste dei guadagni degli speculatori che sommano a cifre sbalorditive.

Vi basti questo:

il prodotto grana, acquistato a 180 lire al quintale nel 1915, oggi si vende a 340 e 345.

Perché:

Non vi sono più le ragioni della mancanza di prodotto.

La ragione economica dei rialzi e del caro prezzo dei prodotti insufficienti alla richiesta non esiste in questo caso.

Noi siamo sempre stati esportatori di formaggio di grana:

che ragione c’è che si moltiplichi al cento per cento il guadagno degli accaparratori e dei negozianti di questo prodotto:

E pensate che non è un prodotto che consuma il solo cittadino, il civile:

lo consuma anche l’esercito.

E qui una parola vorrei pur dirla all’onorevole ministro della guerra, se fosse presente.

Voi avete comprato il formaggio di grana di seconda qualità, formaggio che da noi si dice che cammina con le proprie gambe in forza degli acari che lo distruggono.

Orbene, formaggio di seconda qualità l’autorità militare ha comperato a 298 lire al quintale, mentre il prezzo del mercato in quelle condizioni era di molto inferiore al prezzo che si è pagato.

Avete quindi creato una situazione di privilegio allo speculatore, che se ne è valso per aumentare le sue pretese al consumo nazionale.

Queste sono le ragioni per cui dovete intervenire e non più lasciare le Commissioni di requisizioni e di acquisto al Ministero della guerra.

Ecco l’errore-base dal quale dovete allontanarvi:

il Ministero della guerra e quello della marina sono due consumatori, come i privati cittadini, i comuni, le cooperative e via di seguito.

La Commissione di requisizione e di approvvigionamento, pur essendo composta di elementi derivanti dai Ministeri interessati, deve avere il suo centro al Ministero di agricoltura con elementi tecnici a latere e con poteri più larghi di quelli che finora non si siano saputi dare.

Solo allora voi potrete domandare una collaborazione efficace a tutto il Paese.

Quando questa Commissione centrale avrà anche la forza di imporre indirettamente al Governo provvedimenti immediati, quando avrete uomini tecnici che sappiano dire che il prodotto tale oggi corre l’alea di un dato mercato estero e dovrà aumentare oppure dovrà diminuire, perché questo mercato migliora, oppure perché il consumo è minore dell’offerta, ecc., ecc., avrete garantito il paese contro posssibile giuoco della insaziata speculazione.

Esaminati così questi problemi, voi troverete l’equilibrio tra l’interese dei produttori e quello dei consumatori avvalendovi dei consorzi granari, che dovranno divenire organi generali di tutela annonaria e che, coordinati fra loro, potranno magnificamente servire alla Commissione centrale.

Avrete ogni giorno il listino di mercato di ogni prodotto, e le statistiche del fabbisogno di ogni provincia e di ogni paese.

Insisto quindi, a nome della Lega dei comuni socialisti che vi ha presentato un memoriale, a nome del gruppo parlamentare socialista e dell’onorevole Altobelli, che ha firmato il mio ordine del giorno, perché questi criteri siano da voi accettati.

Potrei continuare nelle citazioni, ma mi limiterò ad altri due argomenti.

Due parole dirò sul mercato del vino, che, per quanto non sia ritenuto un prodotto indispensabile all’alimentazione umana, è pur tuttavia parte integrante del nostro modo di consumare.

Nove mesi fa, il prezzo della migliore uva che produce i vini di lusso, si è aggirato dalle 35 alle 40 lire il quintale e quello delle uve di media qualità tra le 20 e 25 lire.

Sapete a quali prezzi si vendono i vini di 9-10 gradi alcool:

A 80-85 lire il quintale:

Ed ho parlato con parecchi grossi produttori i quali mi han detto che non vendono perché attendono che il prezzo salga ancora.

DI SANT’ONOFRIO.

Ma c’è stata la peronospera.

DUGONI.

Non parlate di peronospera quest’anno:

DI SANT’ONOFRIO.

Ma l’anno passato sì che c’è stata:

DUGONI.

Onorevole Di Sant’Onofrio, i prezzi che si praticano ora hanno una ripercussione sui futuri contratti...

Voci.

Ma no:

DUGONI.

Come no:

Domando a chiunque abbia rudimentale conoscenza di economia se il prezzo alto di oggi non avrà ripercussioni sul prossimo raccolto.

Non ho bisogno di dimostrarlo poiché è una legge di economia molto elementare.

Per la qual cosa insisto anche in questo riguardo, pur non arrivando alla requisizione che sarebbe una esagerazione.

Voi dovete guardare il problema con criterio, di limitazione agli esagerati egoismi di coloro che speculano sulla guerra a loro esclusivo vantaggio.

Dopo di ciò io avrei finito, se non sentissi il bisogno di rivolgere una protesta contro i vostri predecessori, specialmente per il problema dello zucchero.

In Italia, specialmente in alcune provincie, lo zucchero manca.

Ricorderò anzi, come il Consorzio granario della mia provincia abbia fatta domanda cinque mesi fa al prefetto per l’acquisto di alcune centinaia di quintali di zucchero senza averne il consenso.

Allora lo zucchero si sarebbe acquistato a prezzo normale;

oggi non si può neppure acquistare al prezzo rincarato.

Di quanto ho detto invoco la testimonianza del collega Scalori, deputato di Mantova.

Ma credete proprio che in Italia non vi sia zucchero, in modo da contentare le richieste delle pubbliche Amministrazioni degli enti e dei privati:

No, lo zucchero — pure non essendovene quanto basta per arrivare al nuovo prodotto — c’è.

Soltanto quello esistente si fa scomparire ed è bene che il paese sappia come è giuocato da abili truffatori del consumo nazionale.

Le raffinerie sono costituite da soci, parecchi dei quali introducono nei loro magazzini privati dieci, quindici, trentamila tonnellate di zucchero.

La raffinerie non ne hanno, ne hanno appena tanto da potere coprire le inscrizioni, gli accaparramenti fatti molti mesi prima.

(Approvazioni — Commenti).

Occorre la mano forte del Governo su questo problema.

È vero che si è detto che lo zucchero è un alimento di lusso.

Può esserlo per le paste dolci che mangiano i signori della borghesia, ma il povero figlio del contadino e del lavoratore, che la mattina prende una tazza di latte prima di andare al lavoro, ha ben diritto di avere questa forma di alimentazione che è la più efficace per lo sviluppo del suo organismo.

(Interruzioni — Commenti).

Tutti questi problemi si accordano fra di loro;

e la invocazione che facciamo alla modernità dei vostri principî, signori del Governo, non è dettata da ostilità preconcetta verso di voi, ma è invece la conseguenza di un esame profondo ed esatto dei problemi economici della vita del nostro paese.

Ed ora mi conceda la Camera, della cui deferente attenzione la ringrazio, una parola al nuovo ministro dei lavori pubblici.

Onorevole Bonomi:

Vi è un problema che voi dovete risolvere.

Si è detto che la disoccupazione oggi non esiste o quasi.

No, non é vero.

Nella mia, nella vostra provincia, e vi sono testimoni, anche durante i giorni di mietitura vi erano dei lavoratori disoccupati.

Nel mio paese nativo, nel periodo più intenso del lavoro, 150 persone che cercavano di occuparsi, non poterono trovare lavoro, ed invano si cercò di poterlo procurare perché non fu ancora risolto il problema dell’ufficio di collocamento che da molti anni si richiede ai vari Governi e che colgo l’occasione per raccomandare all’attento e vigile studio dell’attuale Governo.

C’è il problema del dopo-guerra.

Molti si illudono che la mano d’opera italiana troverà facile occupazione nei paesi dell’estero.

La Francia, ho sentito dire da molti, la Francia accoglierà tutti i nostri disoccupati.

No, signori, è un’illusione anche questa come quella della guerra breve.

Comunque, se fosse anche vero, mi pare che non sia italianamente bello provvedere fin da adesso i passaporti per i paesi dell’estero ai figli d’Italia che per caso sono scampati ai pericoli della guerra (Vive approvazioni dell’estrema sinistra).

Voi dovete provvedere fin da oggi ai problemi che involgono tutta la politica dei lavori pubblici.

Essi sono tanti e di così varia natura per cui voi, onorevole ministro, non avrete difficoltà a trovare modo di poter largamente soddisfare ai bisogni di questa gente del lavoro.

Avete il problema delle bonifiche, che coinvolge direttamente gli interessi delle classi lavoratrici, e indirettamente anche gli interessi della proprietà: direttamente ancora gli interessi della Nazione.

Se la bonificazione delle terre italiane fosse stata fatta con larghezza di mezzi negli anni precedenti, oggi non avremmo bisogno di importare ventidue milioni di quintali di frumento dalle Americhe, come si sono dovuti nel 1915 e 16.

Non avremmo buttato il nostro oro nelle mani dei nostri alleati economici, ma avremmo qui le nostre risorse auree e il nostro paese si presenterebbe molto più forte e molto più audace nelle future competizioni economiche cogli altri paesi.

(Approvazioni).

Orbene, voi onorevole ministro dei lavori pubblici, avete una grande missione da compiere, oggi, per preparare il dopo-guerra alla povera gente del lavoro italiano.

Fate che il problema della bonifica sia largamente studiato e prontamente risolto.

Risolvete il problema delle forze idrauliche;

fate che le acque che scendono dalle montagne non vadano disperse nel mare, ma siano raccolte per dare vita e forza economica al nostro paese.

(Approvazioni).

Fate che il lavoratore che torna dalla trincea, non debba riprendere una nuova lotta — che sarà certo più acre — quella della difesa del diritto alla esistenza.

(Vivissime approvazioni — Molte congratulazioni).