Voci della Grande Guerra

Comitati segreti sulla condotta della guerra: giugno-dicembre 1917 Frase: #86

Torna alla pagina di ricerca

AutoreCamera dei deputati
Professione AutorePolitico
EditoreArchivio storico della Camera dei deputati
LuogoRoma
Data1967
Genere TestualeRelazione
BibliotecaBiblioteca di Area Umanistica dell'Università di Siena
N Pagine TotIX, 249
N Pagine Pref9
N Pagine Txt249
Parti Gold[107-125] + [1-106] + [126 - 230]
Digitalizzato OrigNo
Rilevanza3/3
CopyrightNo

Contenuto

Espandi

COMITATO SEGRETO del 14 dicembre 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

MODIGLIANI.

Chiede che nel processo verbale il discorso del ministro della Guerra sia riprodotto tal quale.

PRESIDENTE.

Osserva che la Camera decise che il Comitato segreto fosse tenuto con le stesse norme dell’altra volta, e quindi che fossero esclusi gli stenografi e non vi fosse resoconto stenografico ma solamente sommario.

ALFIERI, ministro della Guerra.

Dichiara di essere a completa disposizione della Camera.

PRESIDENTE.

Dice che il discorso verrà integralmente allegato.

BASLINI.

Propone che ciascun deputato sottoponga al Governo, in forma di domanda o di quesiti, le singole questioni sulle quali ritiene di dover richiamare la sua attenzione e quella della Camera.

Chi intende valersi della forma orale potrà parlare per 10 minuti.

Dopo che il Governo abbia dato la sua risposta o dichiarato di non volere o potere rispondere, il deputato interpellante avrà diritto di replicare per 10 minuti.

PRESIDENTE.

Dice che si tratta di cosa già disciplinata e prega di ritirare la proposta.

BASLINI.

La ritira.

PRESIDENTE.

Comunica la proposta dell’onorevole Pietravalle che la Camera sieda in permanenza fino alla fine del Comitato segreto.

Dice che si tratta di una proposta da presentarsi in fine di seduta.

GORTANI.

Invoca l’indulgenza della Camera per il tumulto che agita l’animo suo.

Tutto quello che fu detto a carico del Comando supremo fu da lui prospettato in tutti i modi fino da un anno fa.

Non vuole fare recriminazioni, vuole solo alcune spiegazioni.

Ma prima di formularle chiede che siano richiamati in servizio al loro posto gli uomini che con lui lottarono per avere anteposto la loro coscienza di cittadini alla schiavitù militare e ne soffersero:

il colonnello Douhet, che previde dal 1915 il compito dell’aviazione, ed il generale Lequio, al quale devesi la conservazione degli Altipiani.

Viene quindi alle seguenti domande:

1) È vero che nella primavera del 1915 il generale Cadorna prevedeva una guerra rapida e sicura, e che dichiarò esser pronto l’esercito quando invece non soltanto difettavano enormemente l’artiglieria e i mezzi meccanici indispensabili in questa guerra, ma noi eravamo sprovvisti anche dei più elementari mezzi per la guerra di trincea, dagli scudi alle bombe a mano:

E se è vero, quale ne fu la ragione:

2) Perché si è permesso che il miglior fiore della gioventù italiana fosse sacrificato durante due anni di guerra per l’ostinazione di voler compiere offensive per le quali mancavano i mezzi, di pretendere che i reticolati si dovessero infrangere coi petti umani, di voler tenere a ogni costo (per la preoccupazione del bollettino) posizioni manifestamente intenibili senza macelli continui, come i fondi delle conche di Plezzo, di Tolmino e di Gorizia:

3) È vero che fino al 13 maggio 1915 il generale Cadorna, con tutto il suo stato maggiore, si rifiutò di prestar fede alle notizie che da ogni parte gli pervenivano intorno agli apprestamenti offensivi austriaci nel Trentino:

È vero che al deputato di Trento, venuto a portargli informazioni, Cadorna fece rispondere che «S. E. il Comandante Supremo dell’Esercito non aveva bisogno dei consigli del tenente Battisti»:

E vi è in tutto ciò qualche giustificazione, e quale:

4) È o non è Cadorna il principale responsabile della grave sconfitta toccata nel 1916 nel Trentino e Vicentino:

E perché si permise a Cadorna di celebrare e vantare questa tristissima pagina della guerra come una gloria sua, dimenticando come una quantità trascurabile i 30.000 prigionieri, i 300 cannoni, le barriere formidabili di casa nostra passate in mano al nemico:

5) Perché si permise che, nell’idea fissa di perseguire lo sfuggente fantasma della vittoria troppo presto decantata, il generale Cadorna continuasse durante tutto il luglio 1916 a logorare intensamente e inutilmente l’esercito nostro nell’alto Vicentino, contro le barriere a picco degli alti piani inespugnabili:

E perché si permise un logorio altrettanto funesto ed altrettanto vano dopo la conquista di Gorizia, dopo che la nostra offensiva era decisamente e invincibilmente arrestata:

6) Come si spiega che, dopo avere subito nel 1916 le dure conseguenze dell’inconsulto disarmo dei forti vicentini, si sia proseguito a togliere i cannoni e a fondere le cupole dei forti, non soltanto delle teste di ponte del Tagliamento, ma di parte della piazza di Venezia e del campo trincerato di Osoppo e Gemona:

Deve o non deve essere considerato tale fatto come atto di follia o come attentato contro la sicurezza dello Stato, soprattutto dopo che nel giugno 1916 il Comando si era trovato al punto di predisporre l’abbandono di tutto l’alto Veneto:

7) Perché il generale Cadorna e il suo stato maggiore rifiutarono per oltre un anno di prendere in considerazione la proposta di creare una grande flotta aerea da bombardamento, proposta fatta specificatamente al Comando fin dall’agosto-settembre 1915:

8) Perché si permise al generale Cadorna di agire per due anni e mezzo senza mai chiamare a consiglio i comandanti di armata:

Perché si permise la costituzione, attorno al Comando, di una consorteria di irresponsabili e incompetenti i quali aggravavano i suoi errori:

E tale consorteria è ora definitivamente sbaragliata e messa nella impossibilità di nuocere:

Perché si permise che il generale Cadorna si creasse con ogni mezzo uno stuolo di giornalisti devoti a ogni costo, i quali gli formarono un piedistallo tale da esserne estremamente arduo l’abbattimento:

9) Perché si permise che il generale Cadorna instaurasse e mantenesse per due anni e mezzo nell’esercito il regime del terrore:

Perché non furono accolte le voci reclamanti che truppa e ufficiali fossero trattati come uomini e non come cose;

che ogni sacrifizio chiesto fosse necessario;

che si pretendesse il possibile e non l’impossibile:

Perché si permise che lo stato maggiore considerasse di fatto la guerra come un mezzo di carriera, e fu tollerato che potesse ragionevolmente diffondersi nell’esercito la sensazione che ragioni di carriera fossero il movente precipuo di sanguinose azioni di guerra:

10) Perché si è permesso che la campagna contro l’imboscamento avesse per principale risultato non l’invio in trincea dell’immenso numero dei veri imboscati, ma il rinvio prematuro ai corpi dei convalescenti da ferite o malattie, e l’invio al fronte dei costituzionalmente deboli, malaticci, tarati:

Perché si è permesso che si preparasse in tal modo il terreno più propizio per le propagande disfattiste e pacifiste intensamente condotte e colpevolmente tollerate:

11) Perché si è permesso che il generale Cadorna abolisse di fatto, con ogni mezzo e contro ogni volontà del Governo e del Parlamento, la possibilità di controllo da parte dei rappresentanti della nazione e del Governo medesimo:

12) Perché si tollerò nel generale Cadorna la costante polarizzazione del pensiero verso oriente, al punto che soltanto dopo uno o due anni di guerra egli si ricordò di visitare qualche punto di estesissimi tratti della rimanente fronte:

Perché soltanto dopo due anni e mezzo di guerra furono ordinati gli studi per l’apprestamento di alcune linee difensive di primaria importanza, come ad esempio quelle sbarranti la Val Fella e quelle retrostanti alla Conca di Caporetto e di Saga:

13) Che cosa avvenne all’Ortigara:

Chi sono i responsabili e quali sono le cause di quel sanguinoso insuccesso ancora avvolto nel mistero e che ci costò tanta parte delle più scelte nostre truppe da montagna:

Perché ancora nel giugno scorso si permisero codeste azioni inutili, deprimenti lo spirito delle truppe e logoranti le nostre forze di resistenza:

14) Perché non fu sostituito il generale Cadorna dopo il fallimento iniziale del suo piano di guerra:

E dopo i numerosi insuccessi del primo semestre di guerra, culminanti con la disastrosa offensiva generale dell’ottobre 1915:

E dopo la sconfitta trentino-vicentina:

E dopo gli insuccessi consecutivi alla presa di Gorizia:

E dopo gli insuccessi militari di questo stesso anno nel basso Isonzo e sugli Altipiani:

15) Perché, dopo la dichiarazione di guerra alla Germania e dopo la defezione russa, parve consiglio stolto quello di passare dall’offensiva alla difensiva, di raccogliere e tesoreggiare le nostre forze, di scaglionarle sulle linee più atte a una efficace difesa, e di concentrare tutti i mezzi nel rafforzare quest’ultime:

16) Perché si continuò sempre a tenere le seconde linee senza alcun presidio sulla quasi totalità del fronte, anche quando si preparavano le offensive nemiche e ne ignoravamo la direzione:

Perché anche dopo l’esperienza del trentino-vicentino, anche nell’attesa di offensive nemiche, l’esercito continuò a restare senza un’armata di riserva, adunata in posizione tale da potere rapidamente accorrere dove ve ne fosse bisogno:

17) Perché, in previsione della maggiore offensiva nemica, si tennero le nostre forze di uomini e di artiglierie, dislocate in tal modo, con tali rarefazioni in molti tratti e tali addensamenti in pochi altri, che la rottura di un punto solo si sarebbe tramutata fatalmente in una rottura generale:

Perché neppure quest’ultima volta fu tenuto il debito conto delle informazioni che, come ci disse il ministro, non erano mancate:

18) Perché, mentre si attendeva l’offensiva nemica, non si fece tesoro dei mezzi aerei di ricognizione e di bombardamento:

E perché, proprio quando il nemico rompeva da Plezzo e da Tolmino, le nostre flotte aeree bombardavano Pola e Parenzo:

19) È vero che il Comando supremo con tutto il seguito fu il primo a partire da Udine;

che i Comandi in sottordine lo imitarono;

che le fasi più dolorose della ritirata, compreso il passaggio e la rottura dei ponti, avvennero fuori del controllo dei comandi, non solo, ma di qualsiasi ufficiale superiore:

20) Perché furono abbandonati il Cadore e la Carnia, vere ed immani fortezze ormai munitissime, nonostante l’opposizione dei rispettivi comandanti, nonostante che ne fosse facile la difesa, nonostante che vi fossero raccolti viveri e munizioni per più settimane, nonostante che soltanto il possesso nostro di quei monti potesse rendere pericolosa al nemico l’invasione e possibile a noi la riscossa:

21) Perché, dopo avere subìto una delle disfatte più gravi che la storia ricordi, il generale Cadorna può ancora diffamare l’Italia a Parigi e il generale Porro lo può ancora rappresentare presso il Comando supremo, invece di essere entrambi in stato d’arresto e in attesa di giudizio:

E si ritiene o non si ritiene opportuna una inchiesta parlamentare:

ORLANDO SALVATORE.

Parlerà della marina e chiede perché si siano disarmate basi navali nell’Adriatico che prima erano armate.

La guerra moderna dopo i primi siluramenti e le mine ha dimostrato che le navi non possono difendere le coste.

Le flotte hanno dovuto ritirarsi nelle loro basi attendendo la sortita delle flotte nemiche.

La Germania ha creato basi navali fortissime a protezione delle sue squadre.

Data la conformazione dell’Adriatico, l’errore fu anche politico, perché abbiamo avuti i bombardamenti delle città aperte, che solo dopo la creazione dei treni blindati hanno avuto qualche tranquillità.

Bastava imitare gli altri:

nella Manica, che in qualche modo rassomiglia all’Adriatico, ogni punta è fortificata su ambe le coste.

Nell’Adriatico purtroppo non si può escludere uno sbarco dopo che fosse abbandonata Venezia.

Parla degli ufficiali di marina allontanati dai posti combattenti;

l’Italia deve valersi di tutti i suoi figli.

Si intrattiene sui danni avuti dalla marina mercantile, e dice che le comunicazioni nello Stretto di Messina non sono sicure.

Le nostre perdite crescono, a differenza di quanto succede presso i nostri alleati; e ciò è gravissimo, dato il nostro piccolo naviglio.

Conclude dicendo che il ministro della Marina deve avere maggiori poteri di quelli che gli sono rimasti;

abbiamo bisogno di governi responsabili, e tanto più sarà responsabile allora il Parlamento.

LIBERTINI GESUALDO.

In ordine alla condotta della guerra si riserba parlarne in seduta pubblica, sulle comunicazioni del Governo, perché crede che il paese deve essere illuminato su quanto è accaduto sinora;

ciò che non può ottenersi con la discussione in Comitato segreto, senza stenografi e senza resoconti pubblici.

Farà sul riguardo solamente alcune domande all’onorevole ministro della Guerra, e cioè:

1) Era a conoscenza il Comando supremo dello stato d’animo di alcuni reparti e di un quasi fraternizzamento dei nostri soldati con quelli austriaci, specialmente sulle linee che cedettero nella infausta giornata del 24 ottobre, dove le trincee nemiche erano a pochi metri di distanza dalle nostre:

Dice di aver letto una lettera di un soldato nativo di un comune del suo collegio, che stava appunto su quelle linee, e che scriveva alla famiglia di non avere preoccupazioni per lui, perché ormai tutto era finito e presto si sarebbe avuta la pace essendo in ciò tutti d’accordo con gli austriaci.

2) Se il Comando supremo conosceva questo stato di fatto, perché non si affrettò a prendere dei provvedimenti immediati, mentre si sa che il Comando austriaco, appena ebbe sentore di ciò, cambiò subito le truppe della sua fronte, lasciandone un velo sottile perché continuassero il trucco coi nostri soldati:

3) È vero o non che nessuna sorveglianza si esercitava sulle nostre linee, anche di operazione, da parte di chi ne aveva il dovere, tanto che era possibile ad ognuno, anche estraneo alle truppe, di muoversi in tutti i sensi, anche nei punti più delicati del nostro fronte;

ed è vero che questa incosciente fiducia o meglio colpevole desidia del Comando supremo fosse basata sulla convinzione che mai più gli austriaci avrebbero cercato di riprendere quello che avevano perduto:

Così avvenne anche per l’avanzata nemica dal Trentino nel maggio dello scorso anno 1916.

Ed in proposito vorrebbe conoscere se è vero quello che si afferma da fonti autorevoli, cioè che il generale Brusati, in allora comandante della prima armata, ebbe ad avvisare il Cadorna sui preparativi che si facevano dal nemico su quella parte del nostro fronte e sulla nessuna preparazione a resistere da parte nostra, e che il comandante supremo abbia incaricato il generale Ugo Brusati, primo aiutante di campo di Sua Maestà il Re, di rispondere al fratello che non lo seccasse con queste sue insistenze e si togliesse dalla mente questa fisima di una possibile avanzata degli austriaci dalla parte del Trentino.

4) Può assicurare che alla sede del Comando supremo, a Udine, si avesse la sensazione vera, precisa delle responsabilità che incombevano a chi dirigeva le operazioni di guerra del nostro esercito e se è vero che colà si conducesse una vita piuttosto spensierata, alla quale pigliavano parte anche delle signore aristocratiche, buone amiche del sottocapo di stato maggiore, generale Porro, ed una tra le quali porta lo stesso cognome di un alto funzionario del ministero degli esteri austriaco:

È superfluo fare rilevare la gravità enorme di un tal fatto, che farebbe sospettare l’esistenza di un pericolosissimo spionaggio nella sede stessa del Comando supremo del nostro esercito.

E passando alla politica estera, della quale si riserba ancora discutere in seduta pubblica per la stessa precedente ragione, chiede ora al ministro degli Esteri, onorevole Sonnino, ed al presidente del Consiglio se possono dare alla Camera qualche affidamento, in materia soprattutto di approvvigionamenti, sui risultati della recente conferenza di Parigi.

Le parole dette dall’onorevole Orlando nel suo discorso della seduta del 12 corrente sono molto gravi sul riguardo e farebbero poco sperare di aiuti concreti e fattivi da parte degli alleati.

Egli ha parlato di rarefazione di tonnellaggio, di nuovi sacrifici da affrontare per la minaccia che manchino in via assoluta le cose più necessarie al consumo, ciò che rappresenterebbe il pericolo più grave dell’ora presente.

Si ricordi il Governo che quella degli approvvigionamenti, specialmente di grano e carbone, è la questione capitale per la permanenza e la intensificazione della resistenza interna, in diretta ed immediata correlazione con quella del nostro fronte di guerra.

Si ricordi il Governo che il giorno in cui dovesse mancare il pane alle popolazioni dell’interno, la guerra sarebbe finita, ed a nulla varrebbero gli atti di valore dei nostri eroici soldati per la continuazione della medesima;

il crollamento all’interno renderebbe impossibile qualunque resistenza alla fronte.

Si augura pertanto che l’onorevole Sonnino ed il presidente del Consiglio potranno almeno esporre chiaramente l’esito della loro azione a Parigi, perché ognuno di noi possa, tornando al collegio, far sentire alle popolazioni una parola di conforto e di incoraggiamento alla resistenza.

Così pure per la questione dei cambi, pei quali spera che si sia finalmente concretato a Parigi quel fronte unico finanziario ed economico quale pare che finalmente sia stato raggiunto per il fronte militare.

Raccomanda infine brevemente ai ministri competenti che si regolino meglio le concessioni degli esoneri e si tagli corto una buona volta con gli imboscamenti tanto e ripetutamente deplorati, e che l’onorevole ministro della Guerra nel suo leale discorso ha recisamente dichiarato di voler combattere inesorabilmente.

Bisogna togliere ai nostri combattenti la sensazione che chi può ed ha mezzi disponibili resta a casa, mentre essi cimentano giornalmente la vita, causa questa non ultima del recente disastro militare.

MARAZZI.

Il Comitato segreto dello scorso giugno aveva posto in luce molteplici errori nella preparazione e condotta della guerra, e il Comitato aveva assodato l’imperiosa necessità della difensiva italiana in contrapposto alla tendenza del Comando supremo.

Aperta la seduta pubblica, il Governo dichiarò invece che tutti i deputati erano stati d’accordo nella fiducia verso il Comando, Anzi il ministro della Guerra espose alla Camera fatti erronei e dichiarò in Senato che il Governo non sapeva e non voleva sapere quali fossero i propositi del Comando supremo.

Abbandonando per ora il terreno delle responsabilità personali, dichiara che importa esaminare freddamente alcuni fatti per nostro ammonimento.

Conviene conoscere l’attuale efficienza bellica dell’esercito e gli errori commessi oltre quelli emersi nel precedente Comitato segreto.

L’esercito italiano nel 1914 era vivo e pronto al cimento:

il suo ordinamento si imperniava sul concetto di fare onore agli impegni dello Stato nell’ambito della triplice alleanza ovvero di assumere una condotta difensiva se fosse rimasto isolato.

Il bilancio della guerra dal principio dell’attuale secolo era salito da 239 milioni a 422 nel 1913, cioè in proporzione più sensibile di qualsiasi altra nazione.

Le forze terrestri del regno destinate alla guerra veramente mobile potevano valutarsi a 650 mila uomini, coi quali, oltre agli alpini, si allestivano 25 divisioni di fanteria già inquadrate fin dalla pace e 12 di milizia mobile da formarsi.

Si avevano inoltre 4 divisioni di cavalleria e servizi di artiglieria e genio, ecc.;

il tutto da esser pronto a dar battaglia in meno di un mese.

Espone che in 30 mesi di guerra, per cause permanenti o transitorie, subimmo poco meno di un milione di perdite, delle quali la maggior parte deve riferirsi agli antichi reggimenti, che furono sempre in prima linea.

Dall’inizio della guerra a tutt’oggi reclutammo 4 milioni di uomini tratti da venticinque o ventisei leve, ma di essi solo un milione e mezzo circa avevano prestato servizio in tempo di pace.

Quanto agli ufficiali, entrammo in guerra con 6.500 ufficiali inferiori, ai quali si dovevano aggiungere altri 42.000 tra subalterni od improvvisati in pochi mesi.

I primi 6.500 ei migliori ufficiali di complemento oggi non sono più a contatto diretto dei soldati, essendo scomparsi o passati ai gradi superiori.

E i 42.000 ufficiali di complemento o di riserva che si avevano sui ruoli in tempo di pace sono saliti a 150.000 con necessario scapito della qualità.

Per dirigere questa macchina occorreva quindi che dei 2.000 ufficiali superiori nessuno fosse allontano senza gravi ragioni:

invece furono rimandati dal fronte 217 generali, cioè quasi tutti i 150 esistenti prima della guerra e grande parte dei promossi dopo.

Vi sono reggimenti che in due anni di guerra hanno cambiato 14 colonnelli.

Si retrocesse al comando di un corpo d’armata chi aveva comandato l’armata;

si mise alla testa dei corpi d’armata qualche maggiore generale di fresco promosso, avente ai suoi ordini tenenti generali da cui il giorno prima dipendeva.

La pubblica stampa chiamava vili e traditori dei generali: l’oratore si domanda perché non siano stati processati.

Egli sostenne altra volta alla Camera che si doveva sopprimere il corpo di stato maggiore.

Questo, con le leggi di avanzamento, si assicurò il monopolio delle promozioni e si accentrò a Roma premendo sui pubblici poteri.

Venne la guerra, e l’ambiente degli arrivisti spezzò la fratellanza fra arma e arma, creò le clientele, sostituì alla disciplina l’ipocrisia.

Quadri inferiori improvvisati, quadri superiori sconvolti, alto comando minato da impazienze illegittime, ecco le origini della nostra sventura.

Anche ammesso che tali ferite esistano altresì presso i nostri nemici, esse sono però relativamente sopportabili, perché inferte in tronchi poderosi ed antichi.

Nel centro d’Europa la nazione armata si preparò da lunga mano, e non si improvvisò.

L’oratore cita dati comparitivi sugli eserciti tedesco e italiano, deducendone che se era logico per la Germania mettere in armi più centinaia di divisioni, era pazzesco per l’Italia salire da 25 a 66, di cui 56 al fronte veneto.

L’oratore, quantunque abitualmente alieno da citazioni, corrobora queste affermazioni con brani di corrispondenze intercedute fra lui ed alcuni dei sommi capi dell’esercito combattente.

Che pensava il ministro della Guerra per opporsi al nembo che si addensava sulle Alpi:

Pensava a nominare generale di esercito chi lo aveva comandato al Ministero.

L’oratore si domanda se dopo tutti questi fatti e queste citazioni si possano ancora cercare le ragioni dei nostri rovesci nel traviamento di soldati impazziti o pervertiti.

Questo sventuratamente vi fu, ma non costituì la maggior causa del male, e si poteva antivedere.

Quando la guerra è eccessivamente mobile, il duce supremo impartisce l’ordine alle armate e i rispettivi comandanti hanno la responsabilità dei propri settori, ma se la guerra ha periodi di crisi con lunghe pause, egli deve non solo dare ordini ma controllarne l’esecuzione, e quando sintomi gravi d’indisciplina si manifestano in tempi e luoghi diversi, quando errori di varia natura si accumulano, le responsabilità colpiscono il capo dei capi.

A Tolmino bastò il cedimento di qualche linea avanzata perché tutto precipitasse.

Il fatto fu aggravato dall’avere spedito in trincea il gruppo dei rivoltosi di Torino, concentrandovi individui pericolosi.

L’attacco era stato previsto dai comunicati di spionaggio, ma ad Udine lo si ritenne una fiaba, come avvenne nel 1916 a proposito del Trentino, e quando ne giunsero le impressionanti notizie, non si pensò che ad una ritirata precipitosa e disordinata.

Ciò non sarebbe stato possibile se al fronte vi fosse stata una organizazzione stabile, cioè se dietro alle prime linee ve ne fossero state altre di previdente difesa.

La fuga delle masse cagionò la perdita di grande numero di cannoni, e furono dati alle fiamme immensi magazzini col danno di più miliardi.

Così alla rotta tattica e strategica si unì quella logistica ugualmente grave.

I grandi maestri preparano i fatti, i mediocri li subiscono.

Se nell’Europa anglo-latina vi fosse stato un genio al principio del secolo in corso, si sarebbe prima operata la fusione dell’intesa armata e poi dichiarata la guerra;

invece l’alleanza si cementò durante la guerra.

All’inizio Londra non aveva esercito;

Parigi, quasi isolata, subì l’urto germanico;

Roma impiegò un anno a decidersi; Bucarest;

New York non è ancora pronta, e già Pietrogrado si ritira.

Ed alla condotta politica corrisponde la militare, giacché mentre dalla parte degli Imperi vi è un solo comando, un solo esercito, un solo teatro di guerra, dalla parte dell’Intesa quattro comandi, quattro eserciti, quattro guerre parallele.

Bisogna parlare alto ai nostri alleati.

Mentre l’Intesa credeva di poter risolvere tutto con la superiorità numerica, i nemici suoi alle eccessive schiere dei soldati sostituirono mitragliatrici e cannoni;

alla manovra che non si poteva più fare a piedi e vicino al nemico, essi sostituirono la manovra lontana effettuata con le ferrovie;

ad una sola linea ne sostituirono due, quella combattente in trincea e quella di riserva in movimento.

Se gli eserciti dell’Intesa avessero imitato simile mossa, l’Italia l’indomani di Gorizia volava a Trieste.

Sarebbe stato meglio che l’esercito italiano avesse manovrato subito nel 1914 con le sue 37 divisioni, anziché molto dopo con 66.

L’indice più appariscente della forza delle nazioni è dato dalla quantità delle rispettive popolazioni.

E qui l’oratore contrappone i dati relativi a quelle dell’Intesa e degli Stati nemici prima e dopo del ritiro della Russia.

L’equilibrio fu rotto specialmente a svantaggio dell’Italia, perché di tutto il fronte europeo la sua parte era quella più vicina ai centri vitali dell’Austria.

I precedenti comandi di stato maggiore quando avevano studiato l’ipotesi di una guerra italo-austriaca, erano partiti dall’ipotesi che l’Austria avesse preso l’offensiva:

era infatti da prevedersi come, libera nelle sue mosse, avrebbe seguito tale condotta.

Ed appunto in seguito ai rivolgimenti russi l’Italia doveva subito porsi in difesa.

L’oratore viene poi a parlare dell’assenza delle riserve, esponendo la necessità di una massa separata dalle altre.

Se a ciò si fosse provveduto, molti inconvenienti verificatisi durante la campagna sarebbero rimasti eliminati e si sarebbero potute evitare le conseguenze che oggi deploriamo.

Noi agimmo a ritroso e con mentalità ottusa:

la marcia su Trieste fu così imposta non come problema da discutersi ma come un principio di fede, ed ogni minimo dubbio espose a gravissime punizioni.

La mentalità retriva aggravò poi l’errore:

si fecero le incette e gli ammassamenti con il criterio delle guerre antiche, in cui l’estrema mobilità dei corpi ed il difetto di comunicazione consigliavano i lunghi convogli.

L’oratore enumera gli errori che hanno condotto al disastro, ma l’errore capitale, che tutti gli altri integra, risiede nell’aver confidato l’intera vita del paese nelle mani di un uomo la cui mentalità era stata seriamente discussa, nell’uomo che trasportò nella guerra la fede cieca in una condotta immutabile, la credenza del dogma che non si discute:

questo concetto dominante staccò il Comando dall’esercito.

Termina ricordando le parole di una apologista di Luigi Cadorna, secondo le quali la liberazione d’Italia doveva essere compiuta da lui come per un voto...

ed esclama:

il clima d’Italia è dolce per ogni coltura, i crisantemi dell’oblio crescono sul campo di tutte le responsabilità.

Di nudo, di scarno non c’è che il Carso con le croci dei nostri figliuoli morti per la patria.

Ma l’esercito è vivo.

Fate giustizia, punite i colpevoli;

questa sarà una riparazione dovutagli che gli infonderà coraggio e ci darà la vittoria.

VINAJ.

Fa i seguenti quesiti:

1) Come mai il Governo non si è preoccupato mai del gran numero di generali e comandanti di reggimento che venivano rinviati dal fronte e non ha obbligato il Comando supremo a dichiarare se tutti questi rinvii ed esoneri di comando erano dovuti a incapacità degli stessi od a sobillazioni di noti arrivisti, pretendendo che ne venisse volta per volta fatto speciale rapporto per la determinazione da prendere in riguardo loro:

Se i generali o colonnelli erano dichiarati incapaci, è chiaro che, anziché adibirli a servizi territoriali, dovevano essere mandati a riposo;

poiché un ufficiale, specialmente di grado elevato, che non sia capace di esercitare le sue funzioni in guerra, deve essere eliminato dall’esercito:

tanto più che il mantenere in servizio questi ufficiali finisce per costituire un aggravio finanziario enorme sul bilancio, e ciò è senza bisogno di dimostrazioni.

E la cosa era talmente grave, questa degli esoneri cervellotici, impulsivi, che oramai correva la voce fra gli alti gradi che il nemico più pericoloso fosse alle spalle.

Ciò naturalmente toglieva ogni serenità agli ufficiali nei momenti in cui questa era sommamente necessaria.

Aggiungasi che questa continua minaccia finiva per essere esiziale ad ogni spirito di iniziativa, una delle qualità più necessarie in guerra, e contribuiva a togliere alle masse combattenti la fiducia nei loro condottieri.

2) Come mai, pur sapendo quali danni faceva ed aveva fatto nel paese una deleteria propaganda disfattista, che tutti deploravano e che aveva già dato e stava dando tristi frutti, il Comando supremo, mentre lesinava le licenze agricole, continuava a concedere alle truppe le licenze invernali di 15 giorni, lasciando così che i soldati venissero a succhiare il veleno nella parte più agitata del paese, non abbastanza difeso da quel morale avvelenamento, e ne portassero i germi agli altri soldati al fronte:

E sì che certi fatti notori avrebbero dovuto aprire gli occhi:

3) Come mai i varii Governi che si sono succeduti durante il periodo della guerra non hanno voluto avere una esatta nozione del concetto che guidava il Comando supremo nella condotta della guerra, concetto che non si è compreso neppure dopo un periodo di più di due anni di guerra:

La condotta della guerra non è stata informata ad alcuno dei veri e sani principii della strategia.

Schieramento a cordone su di un enorme fronte:

puntate offensive qua e là senza che si mirasse ad alcun obbiettivo vitale del nemico.

Il Comando supremo si era lasciato influenzare dalla piazza, quando i suoi sforzi principali e più sanguinosi sono stati diretti verso Trieste, la cui conquista, se soddisfaceva l’orgoglio e l’aspirazione nazionale, non era però tale da portare la definizione della guerra.

Trieste sarebbe venuta nelle nostre mani come il frutto maturo delle altre operazioni vittoriose.

Eppure il saliente del Trentino è stato sempre il più minaccioso per l’Italia, e gli sforzi degli italiani avrebbero dovuto tendere essenzialmente a togliere questa minaccia;

ma non era certamente dalla punta del triangolo che l’azione avrebbe dovuto essere iniziata, ma si doveva tentare tutta sì ad oriente che ad occidente.

4) Come mai il Comando supremo nei varii colloqui avuti cogli alti Comandi dell’Intesa non ha cercato di far comprendere che la soluzione della guerra europea doveva cercarsi sul fronte italiano, poiché solo abbattendo l’Austria si poteva sperare di colpire nella sua parte vitale la lega degli Imperi centrali:

E ciò era pure stato dimostrato già da persone la cui competenza era indiscutibile.

5) Come mai dopo l’offensiva austriaca del Trentino non si sono cercate le vere ed alte responsabilità, che avrebbero forse consigliato un cambiamento nella direzione della guerra:

Si sarebbe così forse venuti a conoscere che il Comando supremo d’allora aveva trattato da visionario chi segnalava l’agglomeramento delle forze nemiche in quel pericolosissimo saliente e che divenne invece il capro espiatorio di quella deficienza del Comando.

Si sarebbe saputo che questo riteneva un bluff le segnalazioni multiple di questo pericolo che si veniva aggravando.

6) Come mai, pur essendo stato segnalato a più riprese e da diversi dei comandanti del settore il pericolo gravissimo che poteva venire dalla conca di Plezzo, il Comando supremo non prese le opportune provvidenze, neppure quando la chiusura della frontiera svizzera denotava i vasti movimenti nemici che prelusero alla loro offensiva non sufficientemente arginata:

7) Come mai proprio alla vigilia di questa offensiva si procedeva ancora a sostituzioni di alti comandanti, proprio nel settore più pericoloso, togliendo, proprio nel momento meno opportuno, il comandante che maggiore conoscenza doveva avere del pericolo e dei mezzi atti a scongiurarlo e almeno arginarlo in parte:

8) Come mai i Governi che si sono succeduti durante il periodo della guerra non si sono preoccupati della ormai chiara impulsività di carattere e della deficienza di serenità, che sono le qualità essenziali ed indispensabili di chi è rivestito del supremo comando e della grave responsabilità della condotta della guerra:

9) Come va che rimane tutt’ora a tenere posto eminente presso il Comando supremo un generale che, invece di rispondere a rilievi fatti in sede di discussione di bilancio provvisorio, mistificò Camera e Senato quando, come affermò il ministro della Guerra, il nemico aveva già con colonne imponenti invaso il territorio nazionale:

CAVAGNARI.

Dice che le condizioni del suo animo non gli permettono di intrattenere a lungo la Camera.

Egli si limita a rivolgere al Governo alcune domande.

Come mai abbiamo assistito ad un formoso eloquio fatto dal banco dei ministri, mentre il nemico sconfinava e calpestava con piede profano il sacro suolo della patria:

Che notizie aveva il Governo:

Egli aveva pronto un progetto di legge per una inchiesta, ma attenderà se le indagini verranno comunicate.

Noi abbiamo consumato uomini e denaro, ed è giusto che il paese sappia a chi si deve quanto è successo.

Al ministro Dallolio cita casi di imboscamenti, dove vi furono distinzioni inique; raccomanda eguale trattamento per tutti.

Chiude augurando che il nostro suolo sia liberato da tanta ignominia.

VACCARO.

Domanda all’onorevole Sonnino:

1) se esistano accordi tra gli alleati nel senso di assicurare all’Italia concessioni territoriali nell’Asia Minore, nell’Eritrea, in Libia e nel Somaliland ed in quale misura;

2) se tali concessioni siano subordinate alla condizione che all’Inghilterra ed alla Francia restino definitivamente attribuite le colonie tedesche ed altri territorii dell’Asia;

3) se, data tale attribuzione, l’equilibrio del Mediterraneo, che l’onorevole Sonnino vorrebbe mantenuto, non finirebbe con danno dell’Italia, la cui condizione verrebbe a peggiorare, malgrado i compensi a lei promessi;

4) se l’onorevole Sonnino, conoscendo l’importanza che la Germania dà alle sue colonie abbia preveduto, nello stipulare quel patto, che essa non vi avrebbe rinunciato se non quando fosse stata interamente schiacciata, schiacciamento che l’Intesa dice di non volere, e che in ogni modo non sembra potersi ottenere, malgrado ogni desiderio, a breve scadenza.

Ciò posto, chiede all’onorevole Sonnino se egli abbia, come spera, esaminato, quando stipulò quel patto, se i beneficî che l’Italia avrebbe eventualmente ritrovato dalle concessioni coloniali a lei promesse fossero tali da compensare i sacrifizi di sangue e di denaro che essa avrebbe dovuto fare per conseguirli;

5) se sia vero che l’onorevole Sonnino alla vigilia del nostro intervento, o poco dopo, abbia chiesto a Londra un prestito di 50 milioni di sterline, il che farebbe supporre che siasi allora ritenuto che la guerra, nella quale l’Italia entrava, sarebbe stata facile, breve e poco dispendiosa.

CANEPA.

Presenta il seguente ordine del giorno:

«La Camera ritiene necessaria ed urgente una inchiesta parlamentare sulla disfatta di Caporetto».

Ricorderà che le cause vanno distinte in cause d’ordine politico e d’ordine militare.

Le truppe erano stanche, e sulla loro stanchezza influirono la propaganda disfattista, i fatti russi e la proposta di pace del Papa.

Bisogna che ognuno porti sinceramente alla Camera la propria testimonianza.

Egli appartenne al disgraziato quarto corpo d’armata e dirà tutta la verità.

Quei soldati eccellenti ebbero trattamento iniquo e crudele: disagi infiniti, poco riposo promesso e mai mantenuto.

Dopo vari mesi rivide la sua brigata sul lago di Doberdò irriconoscibile per i patimenti sofferti.

Conobbe allora tutta la verità;

seppe di un processo fatto a soldati feriti fuori delle nostre trincee che si erano avvicinati al nemico per trovarvi conforto, che furono fucilati quantunque fosse stata ritirata l’accusa.

La sentenza non fu mai possibile ritrovarla.

Quella brigata in 4 mesi di trincea mai vide un generale.

Gli ufficiali ciò lamentavano ma invano.

Cita un discorso fatto l’11 novembre da un generale che depresse gli animi degli ufficiali.

Egli sapeva che i reclami erano inutili se fatti al ministero della Guerra, perché trattavasi di truppe mobilitate, e ne parlò a Sua Maestà ed a Sua Altezza il Duca d’Aosta.

Sua Maestà il Re fece il possibile perché le cose migliorassero, ma dopo poco tempo esse ritornarono come prima.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Invece di rivolgersi ad un personaggio che per il suo posto altissimo è irresponsabile, perché non si rivolse ai membri del Governo, del quale ella faceva parte:

CANEPA.

Risponde che i membri del Governo ne furono informati.

Egli sente il dovere della sincerità e vuol dir tutto.

Questi furono gli uomini che a Caporetto ebbero un momento di debolezza.

Egli non li difende, ma non bisogna dimenticare il loro passato, che ne fu la causa.

Ha veduto circolare copie di lettere del generale Cadorna, in cui lamentava gli effetti della politica interna.

Non entra in questo argomento, ma dice che ciò non deve servire come un diversivo.

Elenca molti fatti che bisogna indagare, fatti avvenuti alla fronte e nel paese.

Parla del sabotaggio della guerra, fatto con arte diabolica, dello spionaggio.

Quanto avvenne in Russia corrisponde esattamente a molte cose successe in Italia.

Bisogna vigilare perché l’opera tedesca che dissolse la Russia non si compia nel nostro paese.

Egli è sostenitore della guerra e di ciò assume tutta la responsabilità.

Dice che se l’Italia non è seconda ad alcuna nazione per la generosità e slancio dei suoi figli, ne è seconda per la decrepitezza dell’armamentario burocratico.

Il Parlamento non deve dare solamente la fiducia al Governo, ma deve deliberare una inchiesta, come fecero quelli francese ed inglese.

Ciò per evitare altri errori.

Il Parlamento deve assumersi questo compito;

esso ha dichiarato la guerra e deve invigilare sulla sua condotta.

SANDULLI. Propone che la Camera deferisca al Senato costituito in Alta Corte il generale Cadorna, il generale Porro e tutti i ministri presenti e passati.

Egli ha votato e voterà sempre contro la guerra.

La disgrazia dell’Italia è di avere avuto persone insostituibili come l’onorevole Sonnino.

Dice che il generale Cadorna aveva soltanto le forme esteriori della religione e che una volta obbligò giovani ufficiali a confessarsi e comunicarsi prima del combattimento: ciò qualifica l’uomo.

Colonnelli e generali non dicevano la verità per paura di essere silurati.

Al Comando supremo vi era il tenente colonnello Bencivenga che silurava i generali per crearsi il posto.

Domanda se è vero che, mentre avveniva il disastro, il generale Cadorna trovavasi a Roma.

Parla del bollettino di guerra censurato dal ministero dell’Interno e chiede se è vero che il generale Cadorna poteva divulgare i bollettini all’estero senza controllo.

Sostiene che Cadorna fu l’unico autore del disastro.

ALFIERI, ministro della Guerra.

Protesta dicendo che vi sono tante altre responsabilità.

SANDULLI.

Parla del generale Stasio che morì di crepacuore per essere stato allontanato dalla fronte.

ALFIERI, ministro della Guerra.

Dice che il generale Stasio era ammalato da tre anni e morì forse perché fu tolto troppo tardi dal servizio.

SANDULLI.

Parla delle condizioni della città di Napoli, che è alla vigilia della sommossa.

Il Governo deve prevenirla provvedendo i rifornimenti e non apparecchiando mitragliatrici.

Parla dei siluramenti avvenuti nello Stretto di Messina e tra i rumori della Camera rivolge alcune domande al ministro della Marina su ufficiali che egli dice imboscati.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Si alza commosso e dice:

Andremo pur tutti davanti all’Alta Corte, ma ora pensiamo che il nemico calpesta il suolo della patria e che i nostri figli muoiono.

(La Camera copre le parole del Presidente con un caloroso applauso).

SANDULLI.

Continua tra i rumori e dice che l’autorità militare deve essere sottoposta all’autorità civile.

PRESIDENTE.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle 14.

La seduta è tolta alle 19 e mezzo.

IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO MORELLI-GUALTIEROTTI MIARI COMITATO SEGRETO del 15 dicembre 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MORELLI-GUALTIEROTTI PRESIDENTE.

Comunica che l’onorevole Loero ha chiesto un congedo di tre giorni.

(È conceduto).

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

MARAZZI.

Sul processo verbale, non avendo potuto seguire il resoconto del suo discorso di ieri, dichiara che le parole da lui attribuite al Presidente della Confederazione svizzera sono invece di Wille, capo dello stato maggiore dell’esercito svizzero, al cui figlio fu padrino il Kaiser, e che i gruppi alpini a cui accennò sono il Sempione, il San Maurizio ed il Gottardo.

Dice che il Monte delle Scale è nostro, lo Stelvio (:) è occupato dal nemico.

PRESIDENTE.

Non essendovi altre osservazioni dichiara approvato il processo verbale.

GAMBAROTTA.

Dice che da due giorni assistiamo ad aspre critiche contro il generale Cadorna.

Crede che, come prima si sarebbe dovuta usare parsimonia nella lode, oggi debba conservarsi la misura nelle accuse.

Non è però la prima volta che si muovono attacchi contro di lui.

L’altra volta il presidente del Consiglio onorevole Boselli cercò di sopirli, perché si riteneva che il generale Cadorna non potesse essere sostituito.

Sta in fatto che credevamo di avere un grande generale e un grande esercito, e sono state lungamente prodigate delle lodi eccessive.

Ricorda però che il Cadorna disse una volta all’onorevole Barzilai di aver dovuto trarre l’esercito dal nulla.

E allora come si spiega che nel maggio 1915 lo si disse pronto:

Rispetto all’artiglieria accenna alla grande differenza fra il numero dei cannoni esistenti all’inizio della guerra e quelli che si resero necessari per munire i 700 chilometri del fronte.

Grande è la responsabilità del Governo che affrontò la guerra in queste condizioni.

Accanto all’insufficienza della potenzialità militare vi è poi quella finanziaria.

Come mentivasi dicendo che il generale e l’esercito erano pronti, così mentivasi esponendo la situazione finanziaria.

Era anche insufficiente la preparazione morale delle classi dirigenti.

Si permisero campagne perturbatrici del paese, senza tener conto degli onesti dissensi e dell’opinione pubblica, che meglio intuiva la difficoltà della impresa.

L’onorevole Giolitti ed i suoi seguaci furono fatti segno alle più feroci invettive.

Ora invece abbiamo sentito anche da uno degli attuali ministri che la guerra fu voluta da una minoranza: ora soltanto lo si riconosce:

(Rumori).

Noi eravamo perplessi, perché avevamo la convinzione che il paese non era pronto ad affrontare una guerra aspra e lunga, e sapevamo che lo spirito dell’Italia non poteva essere lo stesso spirito della Francia, stante la diversità delle circostanze.

Il Governo, oltre al permettere la diffusione di tutte le bugie propalate dai giornali, fece credere che la guerra fosse facile e breve.

Permise anche che fosse scatenata la piazza e che si preparassero i moti di maggio.

Assistiamo pure ad un ricatto continuato contro il Parlamento, che si intensifica ad ogni riapertura dei lavori.

Oggi occorre anzitutto che il Governo ristabilisca la legalità e la lealtà del funzionamento del Parlamento.

Ed è appunto a questo fine che l’oratore ed i suoi amici salutarono con fiducia l’avvento al potere dell’onorevole Boselli e quello dell’onorevole Orlando.

Occorre aprire un’era di giustizia, occorre che la verità sia saputa da tutti e specialmente dal Parlamento.

Non più discorsi di falsa apologia, di falsa retorica, di reticenti o false notizie.

L’oratore vuole sapere in quali condizioni militari, finanziarie, economiche ci troviamo, quali provvedimenti il Governo ha in animo di instaurare, quali sicuri e precisi aiuti militari ed economici abbiamo dagli alleati, e quali siano le intenzioni intorno alla pace.

Egli si domanda se il Governo si renda conto esattamente dello stato nostro di resistenza interna.

Si può fare una guerra senza fine:

Si è abbastanza sicuri di provvedere ad un sufficiente vettovagliamento:

L’ordine pubblico si potrà mantenere, e fino a quando:...

Ed allora voi mi chiederete se io voglio la pace senza condizioni, la pace separata:

Egli non sa rispondere, perché non sa ciò che sia possibile volere, ciò che sia lecito volere.

Ma appunto perciò occorre un Governo e specialmente un ministro degli Esteri, visto che la politica essenziale, che ha nelle mani la guerra e la pace e cioè le sorti del paese, la vita della patria, risiede appunto nella politica estera.

Essa deve dare affidamento di buone, sincere intenzioni, di adoperarsi perché l’Intesa si avvii alla pace, perché la nostra patria sia portata alla pace.

E si tenga presente che ogni giorno sorgono nuovi elementi di considerazione.

Occorre che il Governo e specialmente il ministro degli Esteri sia uomo che sappia considerare anche tali elementi, sia in condizioni di spirito che gli permettano di considerare, con tutti gli altri, anche questi.

Allora soltanto il paese sarà fidente, tranquillo, e potrà attendere;

e potremo chiedergli coscienziosamente altra resistenza;

allora soltanto l’esercito potrà fare altri sforzi eroici.

(Congratulazioni e rumori).

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA PRESIDENTE.

Comunica che il ministro di Grazia e Giustizia ha trasmesso una domanda di autorizzazione a procedere contro il deputato De Giovanni.

Sarà stampata e distribuita.

AGUGLIA.

A nome della Giunta generale del bilancio presenta la relazione sull’esercizio provvisorio fino al 30 giugno 1918.

PRESIDENTE.

Sarà stampata, distribuita ed inscritta nell’ordine del giorno.

FALLETTI.

Presenta la relazione sulla proroga dell’esercizio provvisorio del bilancio del fondo per l’emigrazione.

PRESIDENTE.

Sarà stampata, distribuita e inscritta nell’ordine del giorno.

ALESSIO.

Ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La Camera, ferma nel proposito della più assoluta lealtà verso gli alleati, non approva i metodi della politica estera del Gabinetto, e passa all’ordine del giorno».

Giammai vi fu una crisi in Italia più tragica della presente.

Enumera le perdite di uomini e materiali verificatesi nell’ultimo disastro militare, oltre quelle del territorio già conquistato e del nostro, su cui oggi scorazzano anche bulgari e turchi.

Crede che l’attuale discussione in Comitato segreto abbia prodotto una deformazione nella funzione della Camera, tramutata in Corte di assise.

Egli fu il primo, forse l’unico, che fin dal giugno 1916 prospettò i danni che potevano venire al paese dall’opera di Cadorna.

Ma non è solo costui il responsabile, e del resto non giova accanirsi contro un assente ormai già giudicato.

La Camera però deve sindacare le responsabilità politiche, non occuparsi di fatti e di imputazioni che hanno la loro sede in altro recinto:

altrimenti essa crea con le inquisizioni giudiziarie un facile fondo a chi ha da difendere delle responsabilità politiche.

La questione qui è ben diversa.

Trattasi di considerare alcune parti della politica del Gabinetto e dei Gabinetti precedenti per riconoscere se essi abbiano una qualche responsabilità nel disastro a cui abbiamo assistito.

E non può a meno pertanto di criticare la composizione del Gabinetto Orlando, nel quale, tra l’altro, non avrebbero dovuto rimanere alcuni dei suoi attuali membri, contro i quali si era acuita la discussione nelle sedute che precedettero la caduta del Ministero Boselli.

Ma questa discussione si svolse tutta sui criteri di politica interna da seguirsi durante la guerra;

gli avvenimenti disastrosi, di cui fummo Spettatori, non furono noti a Roma ed alla Camera se non dopo uno o due giorni dalle dimissioni del Gabinetto Boselli, che perciò fu sostituito indipendentemente da quegli avvenimenti e dalle responsabilità che ne derivavano.

Se questi fatti fossero stati resi noti alla Camera, o questa avesse potuto riconvocarsi appena avutane notizia, l’indirizzo dato al dibattito parlamentare sarebbe stato diverso;

si sarebbero discusse le singole responsabilità, ed altri uomini avrebbero avuto in mano le sorti del paese.

Quanto alla politica militare il Ministero, con molta abilità, ha fatto parlare il generale Alfieri, il quale ha riversata tutta la responsabilità del disastro sulla condotta tenuta dal generalissimo, nelle cui mani si erano lasciati i più sconfinati poteri, pure essendo stato il precedente Gabinetto più volte messo sull’avviso sugli errori del generale Cadorna.

Perché allora costui non fu rimosso, costui che del Comando supremo aveva fatto un organismo irresponsabile così di fronte al Parlamento come dinnanzi al paese:

Questo Gabinetto poi ha sulla coscienza un altro errore politico da emendare, l’aver chiamato cioè il Cadorna, dopo tutto quanto è accaduto, a far parte del Comitato militare degli alleati.

Certi espedienti.

si possono pur compatire nei rapporti interni di un paese, ma non possono certamente tollerarsi nei rapporti con l’estero.

E la difesa del ministro della Guerra non salva perciò l’attuale Gabinetto, ed in particolare gli uomini che appartenevano ai precedenti Ministeri, che devono rispondere alla Camera degli insuccessi del Comando supremo, quando questi sono ripetuti e diventano l’unico modo di giudicare gli avvenimenti nei rapporti tra il Ministero e il Comando medesimo.

In quanto alla politica estera, egli non dubita che l’onorevole Sonnino abbia potuto mettere tutta l’efficacia del suo intelletto di studioso a disposizione delle sue funzioni, ma non ha certo mostrato quella genialità e quella prontezza che occorrono in questo ramo dell’opera del Governo, che è un’arte anziché una scienza.

In Italia si conosce poco la geografia e si vive spesso in una atmosfera di soverchia idealità, pericolosa specialmente per un ministro degli Esteri.

Crede pertanto che l’onorevole Sonnino non abbia compreso le cause principali che avrebbe dovuto studiare meglio per non incorrere negli errori commessi.

A sua veduta, l’origine dell’attuale conflitto ha le sue basi nella tendenza imperialistica inglese, giunta al suo più alto sviluppo, in urto con la invadenza industriale e commerciale tedesca.

Ciò oltre le competizioni per le tendenze espansionistiche coloniali contrastanti, che sono una quasi necessaria conseguenza dell’urto principale.

L’Inghilterra ha interesse di condurre la guerra sino alle ultime conseguenze, perché si trova anche in migliori condizioni della sua rivale, per la sua assoluta prevalenza finanziaria, appena scalfita dalle spese fatte finora.

Molto ben diverse sono le condizioni dell’Italia, la cui poca consistenza in materia è purtroppo nota, e che non può certamente rimediarvi con i mezzi proprî.

Così essendo, egli domanda e chiede di sapere quali condizioni ha potuto ottenere l’onorevole Sonnino dagli alleati per riparare a questa nostra deficienza.

Quali dunque le condizioni dell’Italia già esausta, nella continuazione indefinita della guerra:

Una sola purtroppo, cioè che il nostro paese finirebbe per diventare una nazione tributaria delle potenze alleate.

Esamina la convenzione del 27 aprilc 1915 pubblicata dai massimalisti che sono al governo della Russia e ne critica il contenuto, il quale dimostra come l’onorevole ministro degli Esteri non abbia bene adempiuto al suo dovere di tutelare gli interessi del paese da lui rappresentato.

Critica la parte riguardante gli impegni assunti dall’Italia ed anche quella dei compensi promessi, consistenti nell’acquisto dei territori che dovevano essere strappati al nemico;

insomma il vero caso della solita pelle dell’orso.

Così anche per i compensi nelle colonie.

Non crede sia da querendarsi il fatto che tale convenzione sia stata firmata un mese prima della rottura con gli Imperi centrali;

ciò sarebbe stato necessario per premunirsi contro ogni prevedibile sorpresa, dato l’atteggiamento dell’Austria.

Deplora però che tutto quanto stabilisce quella convenzione, che poteva decidere delle sorti del paese, lo fosse stato senza l’intesa del Parlamento, alla sordina, quasi di sorpresa.

In quanto al problema dell’Adriatico, nei rapporti dell’Italia non può risolversi che inspirandosi al principio: con l’Austria contro gli slavi o con gli slavi contro l’Austria.

Ma l’onorevole Sonnino, mentre combatteva l’Austria, ha determinato una corrente ostile nei paesi slavi, la quale ha collocato l’Italia in una posizione poco simpatica, anche in conseguenza della formula adottata dalla Russia «né annessioni né indennità», contradditoria con gli scopi di guerra dell’Italia.

Una terza osservazione deve fare in ordine agli avvenimenti susseguitisi nello svolgimento della guerra e che non si sono saputi convenientemente tenere presenti.

Così per esempio le prime proposte di pace della Germania e la sconfitta, con la conseguente invasione, della Rumenia, che allargava le basi della resistenza tedesca.

L’onorevole Sonnino, nelle dichiarazioni fatte alla Camera nel dicembre del 1916, assicurava che non avrebbe respinto delle ragionevoli proposte di pace, ma i fatti hanno dimostrato il contrario, ed il paese ha avuto la sensazione di questa sorda, tenace resistenza alla pace da parte del ministro degli Esteri.

Parla della mancata cooperazione della Russia, cosa prevedibilissima, del resto, perché quella nazione ha quasi sempre tradito tutti ed ha sempre dato prova di grande debolezza.

Ricorda che anche per dichiarazioni di autorevoli parlamentari francesi, da lui personalmente raccolte, e non di recente, si poteva ritenere che non era possibile fare molto assegnamento sulla Russia anche quando c’era ancora lo Czar.

Avvenuta la rivoluzione le condizioni erano radicalmente mutate, e bisognava preoccuparsi positivamente della nuova condizione di cose derivatane.

Ciò che aumentava a dismisura le alee ed i pericoli della guerra, specialmente nei rapporti dell’Italia, esposta, di conseguenza, a sostenere il peso di tutte le forze dell’Austria, senza contare il possibile concorso, contro di noi, degli alleati della stessa, cosa che i fatti hanno purtroppo confermato.

Si rivolge alla Camera, a tutti i partiti, nell’ora dolorante che traversiamo ed ai quali ricorda le difficilissime e penose condizioni createsi per la nostra Italia in seguito alla mancanza della Russia.

Fa la rassegna delle forze nemiche che stanno contro di noi, circa un milione e mezzo di uomini, ai quali noi possiamo appena contrapporre circa 600 mila uomini di nostre truppe, oltre circa 90 mila uomini fra divisioni francesi ed inglesi.

E però anche questa è una situazione precaria, poiché purtroppo, in seguito alla pace della Russia, che egli crede sicura, nuove forze nemiche si accumuleranno contro di noi.

Or è qui necessario prevedere e provvedere in tempo opportuno al minacciato pericolo, cosa che deve saper fare chi è veramente uomo politico, ché diversamente non deve assumersi la tutela dei gravi interessi della patria in questi gravi momenti.

Ed accenna alla importanza della Valle del Po, la quale purtroppo può facilmente essere conquistata dal nemico, il quale dispone di così forti e poderosi mezzi che ha potuto facilmente occupare in parte il Veneto.

Quel Veneto, che per la sua condizione speciale, per i suoi molti ed importanti corsi d’acqua, non era stato mai conquistato da alcuno, tranne che dal primo Napoleone, quando ebbe di fronte generali austriaci imbelli e la Repubblica Veneta, che aveva proclamato la neutralità disarmata.

Con ciò non intende che si debba venir meno alla fede verso gli alleati, ma crede che il patto di Londra non possa più mantenersi nelle condizioni di prima, essendo venuta meno la Russia, il più forte dei contraenti per potenzialità dell’elemento combattente.

E pertanto bisogna tornar sopra a quanto con quel patto si era stabilito, ciò che non può certamente essere fatto dagli uomini che sono stati e sono tuttora al Governo.

Occorrono all’uopo degli uomini nuovi ed un Governo veramente forte e deciso.

Conchiude:

non intendo col mio ordine del giorno di favorire qualsiasi tendenza, che manchi agli accordi con gli alleati, a quelli già confermati dal Parlamento o a quelli nuovi che il Parlamento confermasse.

L’onore innanzi tutto:

la massima lealtà deve essere la regola della nostra condotta.

Ma intendo affermare che i metodi della nostra politica estera devono essere mutati.

Occorre nelle difficoltà del momento una maggiore elasticità nell’azione diplomatica, una minore rigidezza nei modi, adattamento degli espedienti dell’azione politica agli avvenimenti che sopravvengono.

D’altro canto le nuove situazioni politiche affacciano nuovi problemi e questi domandano uomini che non siano compromessi dal loro modo di vedere particolare, da preconcetti, da indirizzi che siano stati smentiti dagli avvenimenti.

Questa necessità è tanto più evidente in quanto fu manifesto in questi due anni e mezzo di guerra il contrasto fra l’energia della nazione e la debolezza dello Stato.

La nazione ha dato mirabili prove di sé:

nell’esercito essa ha infuso una forza nuova, giovanile, impreveduta, associando al valore personale degli individui l’azione di capacità e di esperienze tecniche prima non conosciute.

Nella preparazione e nella assistenza civile ha prodigato tutta se stessa, creando sempre più Vigorose iniziative, in cui lo slancio e l’assiduità dell’uomo si maritava alla delicatezza e alla pietà della donna.

All’opposto nello Stato la composizione dei Gabinetti non fu di rado subordinata alle competizioni dei gruppi e gruppetti:

nei momenti più difficili della nostra storia vecchi rancori e sospetti indegni hanno allontanato dal Governo uomini che avevano un profondo senso di patriottismo:

gli organismi burocratici dello Stato si son dimostrati sempre più pesanti, arrugginiti, inferiori alle difficoltà da superare:

gli organismi militari permanenti videro non di rado compromessa o allentata la loro azione dalle competizioni fra i capi e dagli arrembaggi dei subordinati, per cui la promozione era l’unico ideale da superare.

Occorre quindi un Governo nuovo e un Governo forte.

Forte contro tutti.

Forte contro coloro che denigrano la guerra e deprimono lo spirito dei combattenti:

forte contro coloro che costituiscono comitati di sicurezza pubblica in spregio e del Governo e del Parlamento:

forte contro chi intendesse giovarsi di momenti di panico o di strettezze per assicurarsi prevalenze incompatibili con la vita dello Stato:

forte infine anche contro se stesso in quanto non avesse il coraggio di affrontare l’impopolarità e la calunnia.

Signori, Annibale è alle porte, Attila invade e cavalca la bella pianura friulana, che egli tante volte ha percorsa e attraversata.

Occorre rinnovare noi stessi, occorre ricostituire anzitutto la nostra forza morale:

«Intra animum medendum est, nos pudor in melius mutat».

Se noi agiremo così, vinceremo, altrimenti no, e a noi vecchi, che abbiamo visto l’austriaco pavoneggiarsi, facendo suonare le sciabole in piazza San Marco, non resterà altro scampo, in mezzo all’incoscienza e allo scetticismo universali, che di sopprimerci per giungere il nostro sacrificio a quello di coloro che hanno dato la giovane esistenza per la salvezza della patria.

(Approvazioni, applausi e congratulazioni).

FALLETTI.

Presenta la relazione sulla domanda di esercizio provvisorio del bilancio dell’emigrazione per l’anno 1917 - 1918.

THEODOLI.

Si limiterà a fare le seguenti domande al ministro del Tesoro per sapere:

1) se durante la guerra siano stati regolati i prezzi in lire italiane dei cambi in dollari e lire sterline nelle varie operazioni di acquisto e di prestito fatte dall’Italia negli Stati Uniti ed in Inghilterra;

2) se questo non fu possibile nel passato, si desidera sapere come l’onorevole ministro del Tesoro intende risolverlo.

Al presidente del Consiglio e al ministro dei Trasporti e al Commissario generale dei consumi, per sapere quali patti, assicurazioni o convenzioni siano intervenuti ultimamente a Londra e a Parigi circa la quantità ed il trasporto del grano e del carbone indispensabili alla vita della nazione.

Al ministro degli Affari esteri per sapere:

1) se il ministro Di San Giuliano alla fine di settembre od ai primi di ottobre 1914 fece un accordo con la Rumania, in base al quale i due Governi s’impegnavano ad annunziarsi reciprocamente l’uscita d’uno dei due paesi dalla neutralità;

2) se questo accordo esisteva, si desidera sapere se il Governo d’Italia rispettò tale accordo allorquando fu firmato il trattato di Londra prima di dichiarare la guerra all’Austria.

MODIGLIANI.

Ha presentato il seguente ordine del giorno:

«La Camera constata il completo insuccesso della politica estera e di guerra seguita fin qui in Italia e passa all’ordine del giorno».

L’utilità del Comitato segreto egli la intendeva nel senso che qui si potessero dire delle cose accompagnate da una soverchia vivacità per una seduta pubblica, specialmente in ordine alla politica estera e di guerra, che erano maggiormente in questione.

Ma la cosa è andata man mano perdendo d’importanza.

Infatti, per quanto riguarda la condotta di guerra, dopo il chiaro discorso del ministro Alfieri, cui da tutti è stato reso il dovuto omaggio, il cammino è già stato definito e nettamente segnato.

Ma non è soltanto di ciò che si deve occupare la Camera, non essendo il Cadorna il solo colpevole dell’attuale situazione.

Ed egli non può non deplorare che oggi contro lo stesso Cadorna si siano appuntate le critiche di qualcuno, anzi di parecchi, che ne furono finora gli smaccati apologisti, e specialmente di chi si trovava al Governo quando avvenivano i fatti denunziati ieri dall’onorevole Canepa.

La responsabilità di quanto è avvenuto, e che si deplora dal popolo d’Italia, in grande maggioranza non entusiasta della guerra, è un po’di tutti, non esclusi i rappresentanti del partito socialista, ai quali domani, forse dalla gente di parte loro, quelli che adesso stanno nelle trincee, sarà chiesto se han fatto tutto il loro dovere per impedire il disastro abbattutosi sulla patria in conseguenza di questa guerra.

Si rivolge al ministro della Guerra, ed invoca da lui un profondo esame sul doloroso fenomeno delle fucilazioni per decimazioni, che è stata una delle cause che hanno spezzata la resistenza dei nostri combattenti, anziché la pretesa propaganda dei socialisti, inesistente e calunniosa.

Legge un ordine del giorno del generale Cadorna diretto al generale Lequio, dopo l’invasione dei piani di Asiago, così concepito:

«Il Comando supremo.

A S. E. il Tenente Generale Lequio comm. Clemente, comandante le truppe dell’Altipiano di Asiago.

Mentre nel resto della fronte le truppe si comportano ovunque valorosamente, in questi giorni, per parte di alcune unità del settore di Asiago, sono accaduti invece dei fatti oltremodo vergognosi, indegni di un esercito che abbia il culto dell’onore militare.

Posizioni di capitale importanza e di facile difesa sono cadute in mano di pochi nemici senza alcuna resistenza.

L’eccellenza vostra provveda le energiche ed estreme misure;

faccia fucilare immediatamente, se occorre, e senza alcun procedimento, i colpevoli di così enorme scandalo a quale grado appartengano.

Faccia appello altresì ai sentimenti di patriottismo e d’onore militare delle truppe e dica loro che sull’Altipiano di Asiago si salva l’Italia e l’onore dell’esercito.

L’Altipiano di Asiago, forte per buonissime posizioni di organizzata difesa, va mantenuto a qualunque prezzo.

Si deve resistere o morire sul posto.

26 maggio 1916.

Il Capo di Stato Maggiore f.to: CADORNA».

Questo documento rivela la mentalità di quell’uomo, che non seppe guidare le truppe alla vittoria, ma che non ebbe difficoltà di denigrarle, insieme alla patria, dinanzi al paese ed all’estero col famoso comunicato del 28 ottobre ultimo.

Rivolge un caldo appello al generale Alfieri, che ritiene uomo di cuore, perché voglia fare in modo che cessino queste esecuzioni sul campo senza giudizio.

Ricorda che i soldati italiani non sono dei barbari o degli esseri inferiori, incoscienti, e quando sono troppo ed ingiustamente percossi, reagiscono in tutti i modi.

Chiede poi all’onorevole Salandra perché, dopo aver fatto intravedere un possibile allontanamento del Cadorna dopo la sconfitta di Asiago, non seppe o non volle andare in fondo nelle sue determinazioni.

Desidera conoscere quali straordinarie e superiori influenze ne arrestarono il corso.

Passando alla politica estera, comincia dal dichiarare che riteneva l’onorevole Sonnino l’individuo meno pericoloso per l’espansione della guerra che andava necessariamente a scoppiare, dato il suo temperamento soverchiamente prudente e limitato.

Però deve riconoscere che il ministro degli Esteri, abituato alla solitudine del suo studio, non ha mai saputo rendersi conto di quel che avviene al di fuori.

Ricorda i diversi fatti avvenuti nei rapporti di lui ed esamina il contenuto della convenzione del 27 aprile 1915, firmata a Londra, sulla quale richiamò l’attenzione della Camera anche l’onorevole Alessio.

E rileva che mentre l’onorevole Sonnino veniva avanti la Camera il 20 maggio 1915 a chiedere il voto di fiducia per la guerra, egli si era già fin da un mese avanti impegnato a scendere in guerra contro gli antichi alleati, e ciò non più tardi di un mese dopo la data del 27 aprile.

Facendo ciò egli ha ingannato il Parlamento.

E ciò senza tener conto che, malgrado questo impegno, la dichiarazione di guerra alla Germania è seguita quasi ad un anno di distanza.

Tutto ciò indica la bancarotta della politica dell’onorevole Sonnino che ha deliberatamente tenuto all’oscuro di tutto il Parlamento seguendo un indirizzo personale equivoco e tortuoso, improntato alla più grande e deplorevole incapacità.

Al paese si fece credere che ci eravamo imbarcati in una facile avventura, di poca importanza, una guerra facile, di pochi mesi di durata:

e lo dimostra con diversi dati ed episodi che va esponendo.

Non può poi non deplorare le trattative prospettate nel libro verde pubblicato prima della guerra e dalle quali risulta che l’Italia è entrata nel conflitto col cartellino della mercatante sul petto, che negozia l’opera e la sua azione.

Viene quindi ad esaminare i risultati fino ad oggi della politica dell’onorevole Sonnino.

In Asia Minore l’Italia, secondo la succitata convenzione del 1915, non verrebbe ad essere trattata molto bene dagli alleati con la assegnazione, sì e no, del modesto distretto di Adalia, il quale, secondo i giornali inglesi, ha bensì il merito di essere adatto alla coltivazione del cotone.

Viene poi a parlare di una pubblicazione dell’importante giornale americano «New York Herald» dalla quale risulterebbe che l’onorevole Bissolati avrebbe ideato un piano che avrebbe avuto per conseguenza un radicale cambiamento nella condotta della guerra.

Questo piano mirava a stabilire che sul fronte orientale nostro, che si sapeva sarebbe stato ben presto attaccato da poderose forze nemiche, bisognava concentrare tutte le forze disponibili degli alleati, facendo sul medesimo un’azione decisiva che sarebbe valsa, pertanto, ad evitare il danno che ci ha percosso e che si è, purtroppo, tramutato in disastro.

Orbene si afferma che un tale piano dell’onorevole Bissolati sia stato, e non se ne comprende la ragione, fortemente osteggiato dall’onorevole Sonnino.

Ed allora come si spiega la continuata permanenza al Governo di questi due uomini, insieme, dopo quanto è avvenuto:

Parla del convegno di Stoccolma, del quale l’onorevole Sonnino si è vantato di avere impedito l’effettuazione, mentre l’onorevole Salandra aveva consentito che i socialisti italiani intervenissero a quelli di Zimmerwald e di Kienthal.

O la conferenza di Stoccolma era una cosa idealmente inutile e non valeva la pena di opporvisi;

od era un fatto attraverso il quale poteva aprirsi uno spiraglio di luce per la pace universale, ed allora è stato un delitto d’impedirla.

Ed ora anche i giornali francesi e inglesi si domandano se non fu un errore impedirla, mentre in caso diverso si sarebbe forse potuta evitare la rivoluzione russa che l’onorevole Sonnino, il quale non ha mai compreso quali conseguenze potesse avere per noi, si affrettò ad esaltare.

Egli difatti non si peritò a proclamare che quella rivoluzione era un bene perché giovava ad intensificare la guerra da parte della Russia contro i nemici dell’Intesa.

Rilegge quanto l’onorevole Sonnino disse nelle sedute del 9 e 21 ottobre dello scorso anno 1916.

E passa all’ultima parte del suo discorso, che è la più antipatica per il suo contenuto.

Riguarda il bilancio della guerra, che tuttora nessuno ha fatto.

Ricorda quanto avvenne alla vigilia della catastrofe militare, quando fu possibile a lui, ignaro di tutto come tutti gli altri deputati, di proporre il licenziamento di due classi anziane;

e ciò nello stesso momento in cui avveniva lo sfondamento del nostro fronte.

E l’onorevole Boselli, allora presidente del Consiglio, cui si dirigeva sul riguardo, nel giorno 20 o 21 ottobre, 3 giorni prima della rotta, gli rispondeva tranquillamente che della cosa era possibile discutersi.

Questa è incoscienza imperdonabile.

Il bilancio della guerra bisogna farlo sul serio, positivamente, di fronte ai fatti che avvengono e non alle platoniche aspirazioni.

Dando uno sguardo ai diversi fronti, rileva anzitutto l’occupazione di Gerusalemme e l’avviamento delle forze inglesi verso Alessandretta; ciò che potrà far piacere all’Inghilterra ed alla Francia, ma poco giova all’Italia.

Sul fronte occidentale la resistenza anglo-francese comincia [ a vacillare ], come lo dimostra la sconfitta di Cambrai, in seguito alla quale i giornali inglesi parlano già di una inchiesta.

Ciò indica l’enorme pressione delle nuove masse tedesche distratte ormai dal fronte russo, più inesistente, ed alla quale difficilmente si potrà resistere.

Sul nostro fronte siamo al punto che tutti conoscono.

Ed è inutile parlare di iniziative sul fronte macedone, oramai definitivamente immobile.

A proposito della situazione inglese, accenna alla lettera di Lord Lansdowne, alla quale, tranne che in Italia dove tutto si ignora, fanno di già adesione spiccate personalità inglesi e francesi di ogni classe.

Eppure se c’è un paese (dove, come ne sono manifesti i segni, comincia a mancare l’indispensabile alla vita) che abbia interesse di parlare di pace, questo è l’Italia.

Egli vuol sapere quali sono i patti che ci legano agli alleati.

Nella convenzione del 27 aprile 1915, già accennata, alla quale mancano ben 4 articoli, che ormai il ministro degli Esteri potrebbe far conoscere, non se ne fa alcun cenno.

E non si ha alcuna nozione del Patto di Londra, del quale solo si conosce che impedisce a noi di fare la pace separata.

Riesamina l’articolo uno della ripetuta convenzione, così concepito:

«Questa convenzione deve stabilire il minimo delle forze militari che la Russia deve mandare contro l’Austria-Ungheria, nel caso che questa potenza debba rivolgere tutte le sue forze contro l’Italia, e la Russia avesse pertanto a decidersi di attaccare principalmente la Germania.

La detta convenzione militare stabilirà ugualmente le questioni concernenti l’armistizio (o tregua d’armi) in quanto esso possa dipendere dal Supremo Comando delle armate».

Questo, a suo giudizio, allo stato di fatto attuale, presenta una via di uscita dalla dura posizione nella quale ci troviamo, essendone venuto meno il contenuto, perché è venuta meno la possibile cooperazione della Russia.

Egli non [ chiede ], non vuole che si manchi di lealtà verso gli alleati, ma ritiene che ci sia la via d’uscita, malgrado ciò, a questa difficilissima condizione di cose, ed è questa una via maestra e larga, cioè la revisione degli scopi di guerra.

Ma ciò non potrà essere fatto dall’attuale ministro degli Esteri, ma da un altro che non sia impegnato e pregiudicato come l’onorevole Sonnino.

Evidentemente l’Inghilterra non desidera una pace più o meno prossima, come lo dimostra il contenuto della lettera di Lord Buchanan, ambasciatore inglese a Pietrogrado, ma l’onorevole Sonnino è troppo compromesso con quella nazione.

Occorrono uomini nuovi che possano liberare il timone dello Stato dagli inciampi che possono riuscire di suprema rovina alla patria.

All’uopo occorrono sincerità e lealtà di propositi.

(Approvazioni all’estrema sinistra).

PRESIDENTE.

Il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

La seduta è tolta alle ore 19.

IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO MARCORA LIBERTINI COMITATO SEGRETO del 16 dicembre 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto un congedo:

l’onorevole Leonardi di giorni 15, l’onorevole Vicini di giorni 10.

(Sono conceduti).

LA PEGNA.

La Camera desidera udire dal Governo:

1) come è avvenuto il disastro di Caporetto, e come intendiamo ripararvi;

2) con quali mezzi fronteggeremo la defezione della Russia.

Il Governo finora non ci è stato preciso, perché il ministro della Guerra ha posto le premesse ma non ha concluso.

Vi sono state molte critiche al Comando supremo, alcune impulsive, egli ne farà di pacate e rivolgerà al Governo delle domande sulla politica militare:

a) È vero che il Comando dell’esercito non si limitò a comandare l’esercito mobilitato ma si sostituì al Governo e si sottrasse al dovere di sottoporgli i piani di guerra:

b) È vero che il generalissimo non comprese la guerra e sbagliò le sue previsioni prima di entrare in campagna, affermando che l’esercito italiano non avrebbe dovuto combattere la guerra in trincea che in circostanze assolutamente eccezionali:

c) È vero che lo schieramento a cordoni delle truppe sopra un fronte enorme di 570 chilometri, seguendo la linea svantaggiosa del confine, non poteva portare che ad un irrazionale disseminamento strategico della truppa e ad uno sciupio di forze ed a sacrifici non sempre necessari sul campo tattico:

d) È vero che non seppe assolutamente approfittare dell’occasione, e mancò quella decisiva ed improvvisa avanzata che ci avrebbe portato su quelle posizioni, che ci costarono undici sanguinosissime battaglie:

c) È vero che nell’autunno 1915 venne lanciata su tutto il fronte la grande offensiva dei 45 giorni, che non raggiunse alcun effetto militare e rese inoffensivo l’esercito per parecchi mesi:

f) È vero che nel Trentino l’offensiva nemica ci colse impreparati e che in quelle giornate fatali il Comando aveva già predisposto una ritirata sul Sile, che sarebbe stata la rovina dell’Italia:

g) È vero che l’occupazione di Gorizia fu un grave errore militare:

h) È vero che ogni posteriore avanzata strategica, facendo procedere la nostra destra, ci metteva in peggiori condizioni, sicché la occupazione della Bainsizza fu la causa principale della sconfitta:

i) È vero che la ritirata fu disastrosa per mancanza di ordini del Comando:

l) Quali affidamenti abbiamo avuto per un concorso di 500.000 alleati sul fronte nonché per lo sviluppo dell’aviazione e per la disciplina dei campi di concentramento:

Sulla politica estera:

a) se gravi errori di previsione militare (esercito di terra e di mare) non influenzarono sinistramente l’intervento dell’Italia, perché gli articoli 1 e 3 della convenzione con gli alleati mostrarono che s’ignoravano le forze del nemico e la condotta della guerra:

b) Perché la dichiarazione di guerra alla Germania fu ritardata, mentre erano stati assunti impegni formali al riguardo:

c) Perché fu ritardata la partecipazione alla spedizione di Salonicco:

d) Perché fu favorita in Grecia una politica dinastica, esaltata per bocca dell’onorevole Boselli, mentre Francia ed Inghilterra tentavano di colpire le mire germanofile di Re Costantino, che premeditò un assalto alle spalle dell’esercito interalleato:

e) Perché l’Italia fu tenuta assente dalla convenzione.

fra gli alleati nella primavera del 1916 1 per la Turchia asiatica:

f) Perché dopo la famosa dichiarazione di Parigi della primavera del 1916 del «fronte unico», e per colpa di chi, non fu data uniformità di ritmi all’azione militare, diplomatica, finanziaria e degli approvvigionamenti degli alleati:

g) Perché si arrivò alla dichiarazione della Repubblica di Koriza sotto il protettorato francese ed alla proclamazione dell’indipendenza albanese, mentre quattro quinti del territorio erano occupati dal nemico:

h) Perché furono messe in non cale le proposte di concorso e di azione comune sul fronte italiano, avanzate dal premier inglese ed illustrate ampiamente dal Cadorna:

i) Perché fu nel gennaio 1917 rifiutata una dotazione di 200 cannoni di grosso e medio calibro offerta dall’Inghilterra:

l) Se crede di dire una parola rasserenatrice, dopo il messaggio di Wilson e dopo recenti ed autorevoli manifestazioni dell’opinione pubblica inglese, da cui risulterebbe relegata in secondo piano o addirittura sottaciuta la questione delle rivendicazioni nazionali italiane e francesi.

Continua dicendo che bisogna in Italia invigilare e guidare l’opinione pubblica.

Tutti peccammo, ma più di tutti il Governo che non seppe unire gli animi.

Non basta invocare la concordia, ma bisogna esigerla con forza di Governo.

Tutto dobbiamo dare per la salvezza della patria.

LONGINOTTI.

Farà solo una domanda al ministro degli Esteri, che si riallaccia con una sua recente interrogazione, alla quale fu data una recisa risposta che non è lecito porre in dubbio.

Però egli non sarebbe sincero completamente se non rivelasse una sua perplessità derivante dal confronto della risposta avuta con quella data da Lord Cecil alla Camera inglese, che ammette che una clausola esista.

Ora egli chiede al ministro degli Esteri se esista una clausola diversa da quella contenuta nella rivelazione russa e, in caso affermativo, se essa rivesta carattere di decisione irrevocabile oppure non costituisca che un impegno di natura preventiva che assicuri all’Italia la solidarietà dei suoi alleati in caso che di quella clausola intenda valersi.

ALFIERI, ministro della Guerra.

Prendo le mosse da ciò che diceva ieri l’onorevole Alessio.

Si è detto che vi erano due questioni: una questione politica, una questione militare.

Ma in realtà per gran parte della discussione, contro la quale ieri soltanto si è avuta una reazione salutare, non si è parlato che della parte militare accentuandola con spirito aggressivo:

uno, due colpevoli da fucilare, magari senza quella forma di giudizio che, concordo pienamente, non deve mancare neppure nei casi più gravi.

E tutto il resto dimenticato.

Chi mi ha trovato una faccia umana (ciò che fa sempre piacere) avrà veduto quale dolorosa impressione di sorpresa abbia prodotto in me il sentire dire che la mia relazione attribuiva la colpa di tutto al generale Cadorna.

La mia relazione nulla dice di tutto questo;

essa è una narrazione critica ma obiettiva di fatti, espone qualche dubbio, non giudica, non stabilisce responsabilità, se ne rimette a chi dovrà giudicarle.

Relazione militare in ambiente politico, si estende necessariamente nell’esposizione degli avvenimenti per metterli in evidenza a chi non li conosceva che imperfettamente, con lo scopo, come ho detto, di fornire elementi di giudizio meditato, e non sommario, come quelli che sotto varia forma giungevano e giungono da qualche giorno al mio orecchio.

Tra le cause dei fatti alcune sono certamente militari, e la loro influenza si vedrà a suo tempo;

ma una parte relativamente lunga della relazione è dedicata, non bisogna dimenticarlo, alle cause morali, e posso oggi ripetere che queste non sono poche né lievi, e ricordare che la nefasta propaganda antipatriottica, in qualunque forma svolta, è stata da me bollata con un verbo che ben di rado deve apparire sui resoconti parlamentari.

Io non ho qui i documenti di ogni genere che la confermano, ma sono numerosi, autentici, accertati anche dall’autorità giudiziaria;

e l’indagine che, come ho detto, si deve portare su tutto e su tutti, accerterà anche quanta parte, e sarà indubbiamente assai grande, essa abbia avuto negli avvenimenti.

E del resto alcune forme di essa sono apparse anche in quest’aula l’altra sera, in un periodo della discussione che non si può abbastanza deplorare.

L’onorevole Modigliani, con molta abilità, accennando ad un discorso tenuto qui, e che ha durato a lungo, ne ha richiamato un punto solo, quello relativo alle condizioni di Napoli e alla necessità di impedire che una situazione grave abbia conseguenze più gravi.

Ed in questo siamo d’accordo.

Ma ha lasciato da parte, e, lui che lo poteva, ha fatto bene, tutto il resto:

le voci raccolte dapertutto e specialmente dove nulla si dovrebbe raccogliere, le accuse non controllate né meditate, le affermazioni calunniose a danno di persone che meritano tutto il rispetto e l’ammirazione per le prove luminose di valore, tutto ciò che può impressionare facilmente chi non ha modo di controllare come noi e di sceverare con sicurezza l’artificiosa apparenza dalla vacua sostanza.

In quei momenti dolorosi io ripensavo ai nostri soldati che, affratellati ai capi nella lotta e nel pericolo, si battevano eroicamente sul Grappa, nello stesso momento, contro il nemico che invano rinnova tentativi su tentativi infruttuosi per scuotere la nostra ferrea resistenza.

E la frase:

«ah, non per questo:» mi veniva naturalmente sulle labbra.

Ed un’altra impressione assai dolorosa ebbi l’altro giorno, quando da persona il cui patriottismo non posso mettere in dubbio, e ciò aggrava l’impressione, sentii dire che le greche non si erano mai vedute nelle trincee.

L’onorevole Canepa mi fa segno che ha accennato ad uno solo ma non ne ha fatto il nome, e l’impressione che si trattasse di un sistema è rimasta certamente in molti.

Onorevole Canepa:

Ho qui le statistiche: più di 40 generali feriti, più di 20 generali morti:

E non aggiungo altro a queste cifre che dicono tutto:

Dicono che i generali combattono e muoiono in mezzo ai loro soldati, ai quali sono di guida, d’incitamento e di esempio.

Dicono che le greche si vedono non solo nelle trincee ma anche sulle bandiere che coprono i feretri dei valorosi caduti.

Onorevole Canepa:

Siamo in un periodo di dolorose confessioni:

ella, che è generoso, riconosca di essere stato tradito dalla parola;

e non solo io ma la Camera e il paese le saranno grati di averlo nobilmente affermato.

(L’onorevole Canepa fa cenno di associarsi a quanto è stato detto dall’oratore).

Di quello che io pensi del generale Cadorna per quali motivi abbia largamente concorso a mandarlo a Parigi (e questo investe già un apprezzamento sulla persona) parleremo più tardi.

Veniamo alle domande.

A tutte non è possibile rispondere sia per mancanza del tempo necessario allo studio delle questioni, sia per altri motivi.

Risponderò a quelle per le quali la risposta mi sembra più urgente ed importante.

Ruini: relazioni tra Governo e Comando.

Politica.

Guerra.

Debbono completarsi uno con l’altro e avere continui contatti.

Consigli di guerra dei comandanti di armata.

Sono contrario.

Perché … Situazione nel 1915.

Non si era preveduto...

Chi aveva preveduto allora:

Neppure la Germania.

Questioni strettamente militari.

Strategia, tattica, ecc.

Non posso rispondere; non sono competente;

mi mancano troppi elementi.

E del resto di questo deve rispondere il Comandante supremo che deve, in base a quanto conosce e ai suoi criteri, disporre con piena libertà.

E se non si ha in lui piena fiducia per questo, si deve cambiarlo.

La Pegna:

a questo proposito ha accennato a molti punti dell’azione del Comando.

Se ne occuperà chi dovrà giudicare;

io ho già detto che non giudico...

Ha domandato come ripareremo, ed ha detto:

anzitutto con gli alleati.

No;

anzitutto noi..

Marazzi:

Ho ricercato invano nel lodatore dei tempi vecchi l’autore dello Esercito dei tempi nuovi.

Ha portato l’attenzione su punti che mi preme di mettere in chiaro.

Stelvio e Tonale ormai protetti dalla neve.

Ma il Monte delle Scale non è stato mai occupato dal nemico, che è sempre nelle posizioni che tiene da alcuni mesi, ed è sperabile che vi rimanga.

Per le Giudicarie so che il Comando non le dimentica.

Piave e linee retrostanti.

Lavori afforzamento continuano alacremente.

Altre domande minori:

Libertini:

relazione tra le truppe di due trincee opposte ce ne sono sempre.

Certo, però i tedeschi ne hanno approfittato.

Siluramenti.

Provvedimenti presi.

Aderirò solo a ciò che il Comando chiederà.

Soldati ammalati e feriti.

Invio alla fronte …

Malattie incontrate in servizio.

Licenze (Vinaj).

Arma a doppio taglio.

Imboscamenti.

Provvedimenti recenti.

Ed infine la questione più grave e più delicata: situazione sul Piave.

Non darò delle cifre.

Sono dati che vanno al di là anche del Comitato segreto, che non confido quasi neppure a me stesso, e che non potrei comunicare senza mancare ad un dovere di cui sento tutta la gravissima importanza.

D’altra parte sono dati soggetti a giornaliere variazioni e che ogni giorno migliorano.

E non dicono molto.

Il numero è un coefficiente importante, le posizioni sono un altro;

ma ciò che preme, ed una dolorosa esperienza ce lo dice, è il cuore saldo:

e sotto questo aspetto gli avvenimenti sono eloquenti abbastanza.

Si è resistito, ed io confido che si resisterà.

Confido, non accerto, ma in quanto dico vi è fede e fiducia.

E torniamo al generale Cadorna.

Quanto vi ho detto circa i fatti e il loro modo di svolgersi mi era noto fino dai primi di novembre.

E pur tenendo conto di questo, ho contribuito, ripeto, a mandare il generale Cadorna a Parigi.

Perché:

Intendiamoci bene:

io chiarisco, non difendo il provvedimento, e ritengo che, dopo averne fatte conoscere le origini, molti finiranno per associarsi alle mie considerazioni.

Non tornerò ad esaminare l’opera del generale Cadorna.

Può avere sbagliato;

anzi ha certamente sbagliato, ed i suoi errori sono stati aggravati dall’estensione che, per le condizioni stesse della guerra, hanno preso nel tempo e nello spazio.

Ma vi è chi conosce qualche comandante che non abbia errato:

Io non ne conosco nessuno.

In guerra non vi sono comandanti che commettono errori ed altri che non ne commettono;

vi sono comandanti che vincono o perdono, ve ne sono, con la guerra di oggi, altri che vincono e che perdono successivamente, pei quali si passa di colpo, e purtroppo anche dalle stesse persone, come ieri è stato giustamente rilevato, dall’osanna al crucifige.

Ed anche alcuni provvedimenti sono giudicati errori o sono ammirati a seconda dei risultati.

Accenno ad un esempio.

L’onorevole Grabau, che ha così acutamente analizzato alcuni punti della situazione, ha accentuato ciò che io avevo detto circa l’addensamento dei mezzi sull’Isonzo, addensamento eccessivo senza dubbio e di cui i fatti hanno purtroppo messa in dolorosa evidenza il pericolo.

Era una tendenza antica, non tanto del Comando supremo quanto dei comandi inferiori, molto inferiori, che questi mezzi assai spesso nascondevano;

era una tendenza contro la quale avevo lottato da intendente generale con l’appoggio deciso e necessario dello stesso generale Cadorna.

Supponga ora l’onorevole Grabau che, invece di ciò che accaduto si fosse avuta una vittoria, egli, che delle cose militari ha saputo mantenersi studioso anche nei campi della sua attività, avrebbe certamente letto a suo tempo nei libri di storia frasi di questo genere:

«Un ardito ma sapiente addensamento di mezzi verso la fronte aveva consentito di insistere nella azione fino alla vittoria e di sfruttare tutti gli elementi di questa».

E tutti si sarebbero inchinati al successo:

Non posso neppure escludere oggi che tra le nostre poche fortune nella disgrazia sia stata quella che il nemico abbia errato in senso opposto.

E potrei moltiplicare gli esempi di questo genere.

Ma non voglio tediare la Camera e vengo al nocciolo della questione.

Perché si possa giudicare del provvedimento relativo al generale Cadorna debbo riferirmi ancora al momento in cui la decisione fu presa, dopo quali preoccupazioni non occorre che ripeta, perché la mia relazione lo dice.

Si trattava di vedere se si dovesse applicare senz’altro la teoria degli uomini rappresentativi, che, al pari del capro espiatorio, scontano gli errori di tutti.

La teoria è facile, semplice, non è giusta, ma appaga molta gente, impressiona favorevolmente gli elementi più vivaci, ed è comoda, molto comoda, sia per un Governo sia per tutti coloro che dopo ciò possono trarre un respiro di sollievo.

Ma, ripetiamolo, non si trattava del Governo né di altro, bensì di qualche cosa che è molto al di sopra del Governo e cioè dell’esercito e del paese.

Si poteva dare a chi assumeva il Comando in quelle condizioni l’impressione, sia pure indiretta e lontana, che se le cose fossero andate non bene egli ne avrebbe potuto essere il responsabile:

Il generale Diaz, quando gli giunse inatteso l’ordine di assumere il Comando, disse una frase caratteristica, che cito volentieri perché dipinge l’uomo a chi non lo conosce, disse:

«mi avete dato l’ordine di combattere con una spada rotta;

va bene, combatteremo lo stesso».

Si poteva aggiungergli indirettamente l’avvertimento:

«guarda però che devi anche vincere, se no tua ne sarà la responsabilità»:

Questo non potevo e non dovevo fare.

Un altro richiamo ancora alla mia relazione.

Accennavo in essa alla difficoltà di modificare senza danno lo slancio di una massa in una determinata direzione.

Ora non bisogna dimenticare che fino a poco tempo prima Cadorna era, e doveva essere, per l’esercito, il generale, il comandante unico al quale le sue qualità e i suoi difetti davano una impronta spiccatamente personale;

e per il paese ed anche fuori voleva dire l’Italia.

La prima cosa era giusta, la seconda non lo era;

ma il fatto esisteva e il generale Cadorna aveva, ed ha ancora oggi, nell’esercito e nel paese, molte persone che gli sono sinceramente devote, del cui pensiero, del cui sentimento non si poteva non tener conto.

E bisognava ad ogni costo mantenere la compagine più stretta, evitare perfino le più lievi screpolature, che avrebbero potuto avere gravissime conseguenze.

E questo abbiamo evitato.

Ma vi era un punto in cui questa situazione era particolarmente delicata.

Io non posso essere sospetto di volere per ragioni personali sostenere il generale Cadorna, e perciò posso dire ad alta voce che rispetto l’uomo e che ammiro anche oggi le qualità del soldato.

Nei momenti gravi, gravissimi, della ritirata egli ha avuto la visione chiara e serena della situazione ed ha provveduto come doveva.

E penso quale dovesse essere lo strazio dell’animo suo:

E questa opinione, che avevo del generale Cadorna come soldato ho espresso replicatamente a lui, non nel momenti della facile adulazione, ma in quelli della sventura.

Ma quello che io discuto decisamente (o meglio forse non discuto) è il modo in cui si era circondato.

Troppe volte i suoi coadiutori lo hanno, senza che egli lo sapesse, militarmente e moralmente danneggiato:

La loro scelta non è stata sempre felice (vi sono anche in questo non poche ed ammirevoli eccezioni), e intorno al comandante ribolliva una serie di ambizioni malsane che molte, troppe cose danneggiavano.

L’uomo deve avere delle ambizioni;

se non ne ha è un santo o una persona pericolosa, e i santi oggi sono così pochi che sarebbe facile cadere nel campo opposto;

ma debbono essere ambizioni legittime, come è soprattutto quella di servire il proprio paese nella più larga misura consentita dalle proprie forze.

Ma se questo è un ambiente che si può deplorare, non lo si cambia da un giorno all’altro senza pericoli gravissimi.

In esso il nuovo comandante doveva vivere, di quei coadiutori si doveva servire nel periodo più delicato e più grave della campagna, e doveva averli coadiutori fedeli e soprattutto non preoccupati, per riflesso, di questioni personali.

Diamo ad ognuno ciò che gli spetta e diciamo che, in quel momento, questi coadiutori, persone capaci, guidati da chi li conosceva bene, hanno reso molti servizi.

Il che non toglie però che, con la necessaria prudenza, gradualmente per nulla compromettere, se ne effettui il cambio per parte del comandante.

In questa situazione venne la proposta del Comitato interalleato.

Tralascio di discutere questa istituzione, che è stata anche detta qui in contraddizione con le idee di Lloyd George.

Parlandone in Comitato segreto si può dire che è stata proposta e sostenuta da lui e da lui ne è stato compilato il programma.

È una istituzione che può essere un bene (parlo sempre del campo militare) se a quel programma si atterrà e se sarà retta con mano ferma e sicura.

Altrimenti non sarà forse male, ma... sarà inutile.

Tutto è questione di fermezza e di decisione.

E per mio conto personale ammetterei anche il generalissimo unico, purché ci facesse vincere, e purché il pericolo non venisse allora dai suoi coadiutori, poiché chi ha accennato a questo ha anche parlato di coadiutori riuniti in consiglio.

Io capisco il generalissimo, che pensa e ordina senza inciampi di sorta, capisco meno l’altro circondato da troppe cautele meticolose e pericolose.

Come vedete, sono di idee molto più avanzate o più retrogade, perché al principio del secolo scorso vi era già chi applicava questa teoria e l’applicava in larga e magistrale misura.

Si prese allora in esame la possibilità di destinare il generale Cadorna al Comitato interalleato.

Vi erano delle ragioni in favore.

Anzitutto Cadorna e Lloyd George, senza essersene accorti né l’uno né l’altro, anzi discutendone vivacemente, erano in realtà le sole due persone pienamente concordi nel riconoscere l’importanza che per gli alleati aveva ed ha il fronte italiano.

Questa tesi a mio parere doveva essere sostenuta ed energicamente sostenuta, e il generale Cadorna poteva farlo utilmente per due ragioni:

per la conoscenza completa della situazione, quale nessun altro certamente poteva avere, e per il suo stesso carattere.

Avevo bisogno di persona non troppo malleabile, né facile a cedere alle pressioni altrui.

E sotto questo punto di vista nulla avrei potuto desiderare di meglio.

Vi erano delle ragioni contro.

E tra queste la più grave era quella dell’impressione che tale destinazione avrebbe fatto sugli alleati.

E il Governo la sentiva;

ma essa si eliminò da sé, perché fu Lloyd George stesso ad accennare al nome del generale Cadorna.

Queste le condizioni in cui Cadorna fu destinato;

e se oggi mi trovassi a decidere di nuovo nelle stesse condizioni, farei lo stesso.

Fin dai giorni più gravi ho interrogato sempre a fondo la mia coscienza, ed essa non ha nulla da rimproverarmi.

Ma, detto questo, ripeto quanto ho detto oggi e l’altro giorno:

la ricerca delle cause deve essere fatta.

ma sarebbe ingiusto, troppo comodo, e pericoloso per il paese, fare una persona sola responsabile degli errori e delle colpe di tutti.

E il Governo terrà conto strettamente dei desiderii del Parlamento, ma lo farà con le debite precauzioni, nelle forme e nel tempo che le circostanze consiglieranno, per evitare un altro pericolo assai grave, quello di screditare di fronte agli alleati la politica propria e la serietà del paese.

MURIALDI.

Domanda al Governo gli accordi con gli alleati per gli approvvigionamenti.

Ha sentito parlare di diminuzione di tonnellaggio che impressiona.

Si occupa soprattutto di importazione di carbone, che non crede in quantità sufficiente.

Le ferrovie hanno diminuito i treni, ed il carbone manca per le industrie, cosa ben più grave.

Manca nei gazometri, negli stabilimenti.

Gli ultimi rovesci ci hanno privato di tre grandi centrali elettriche, e la grande siccità ha diminuito la potenza di tutte le altre.

Anche i trams elettrici poco possono circolare:

a Genova, per esempio, stanno fermi sette ore al giorno;

sospensioni più gravi si verificano altrove.

Il Governo ha preso qualche provvedimento, ma insufficiente.

Molto si adoperò al riguardo il ministero delle Armi e munizioni, ma occorre maggiore energia.

Il Piemonte e la Lombardia dividono le loro forze con la Liguria, che è più scarsa e deficiente di energia elettrica.

Sono necessarie 200.000 tonnellate di carbone almeno per assicurare la fabbricazione delle munizioni.

Ritiene che l’opera del Governo non sia stata all’altezza delle necessità del momento.

Il tonnellaggio tra gli alleati non è distribuito equamente, né si provvide abbastanza ad evitare le gravi conseguenze dei siluramenti.

Ricorda che si sono perduti due terzi della nostra marina mercantile.

GARGIULO.

Rileva la contraddizione dell’onorevole Alfieri tra le comunicazioni odierne e quelle dell’altro giorno.

Egli ha difeso la condotta del generale Cadorna ed il provvedimento preso in suo favore, mentre l’una e l’altro hanno fatto grande impressione nel paese.

Il ministro ha detto che il Cadorna aveva estimatori anche fuori dell’esercito.

Chi:

Il «Corriere della Sera»:

L’onorevole Alfieri ha detto che non aveva dei buoni coadiutori;

ma chi li scelse se non egli stesso:

Cadorna era testardo, lo ha affermato anche il ministro;

e pare a lui questa una buona qualità di stratega:

Rileva altre qualità negative e difetti del generalissimo nella condotta della guerra.

L’onorevole Alfieri ha detto che tutto si accerterà in seguito;

ma intanto era preferibile che il generale Cadorna non fosse rimasto in carica, sia pure non al Comando supremo.

Fu un errore dopo la disfatta di mandarlo a Parigi a rappresentare l’Italia nel Comitato interalleato.

Né per noi può essere lusinghiero che sia stato indicato da Lloyd George.

Presenta al banco del Governo alcune domande per le quali attende risposta.

È addolorato dalle recenti dichiarazioni del ministro, che non hanno fatto buona impressione.

Sulla procedura dell’accertamento delle responsabilità deve provvedere la Camera.

Termina con un augurio alle nostre armi.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Prende la parola per fare una comunicazione alla Camera.

Nel corso di questa discussione si è accennato ai rapporti tra il Governo ed il Comando supremo e ai modi onde fare le indagini sulle cause del recente disastro.

Ricorda che fino dalla seduta del 14 novembre dichiarò che il Governo intendeva regolare organicamente i rapporti predetti.

Il provvedimento è stato preso, e nella giornata di ieri è stato firmato il decreto che istituisce un Comitato di guerra.

Di esso fanno parte il presidente del Consiglio, i ministri degli Esteri e del Tesoro, ed i due capi di stato maggiore dell’esercito e della marina.

Sua funzione è decidere tutte quelle questioni nelle quali la competenza del Governo civile trovasi in rapporto con quella militare.

Attraverso questo organo si procederà alla ricerca delle cause del disastro;

questo insomma è l’organo responsabile attraverso il quale si compirà questa ricerca.

FEDERZONI.

Presenta il seguente ordine del giorno:

«La Camera delibera una inchiesta parlamentare sulle cause militari, politiche e morali del rovescio recentemente subìto dalle armi italiane».

Si riserva di svolgere questo ordine del giorno in seduta pubblica;

intanto si limita a rivolgere al Governo alcune domande.

Al presidente del Consiglio e ministro dell’Interno:

può egli dire se risponde al vero la notizia secondo la quale il generale Cadorna, fra il giugno e l’agosto 1917, inviasse quattro successivi rapporti sulle tristi ripercussioni della propaganda disfattista, impunemente esercitata nel paese, sul morale delle truppe combattenti:

Può dire quale conto ne fu tenuto:

E quale risposta fu data al generale Cadorna:

Al ministro della Guerra:

con le stesse riserve e cautele con le quali avanti ieri l' onorevole Modigliani produceva dinanzi alla Camera una Circolare che riteneva emanasse dal Comando Supremo, chiedo di poter dare lettura di copia di una circolare a firma dell’ex ministro Morrone al Comando supremo e ai comandi dipendenti in data 14 maggio 1917, e con la quale si avvertivano della esistenza e della organizzazione di una vasta trama disfattista, creata dal partito socialista ufficiale, e si raccomandavano vigilanza ed energia.

La circolare porta il n. 11380.

Chiedo se essa sia autentica e, in caso affermativo, chiedo se i provvedimenti del Governo si limitarono a diramarla ai comandi dipendenti.

Al ministro della Guerra:

può egli comunicare alla Camera qualche elemento sulle risultanze del processo svoltosi alcuni mesi ora sono a Pradamano (provincia di Udine) in confronto di numerosi militari di truppa:

Al presidente del Consiglio e ministro dell’Interno e al ministro della Marina:

voglia dire se risponda al vero la notizia, diffusa in ambienti militari e politici, secondo la quale la commissione inquirente sul disastro della Leonardo da Vinci ricevette dal capo di stato maggiore della marina un plico di documenti;

e se sia vero che in seguito a quella comunicazione la commissione avrebbe richiesto i poteri giudiziari, che le furono rifiutati, mentre i documenti furono ritirati dal Governo.

Voglia dirci quale uso ne fu fatto e, se può, almeno sommariamente, il valore di quei documenti.

Al presidente del Consiglio e ministro dell’Interno e al ministro della Guerra:

consta loro che nei pacchi postali diretti a militari in zona di guerra, e che, essendo rimasti inesitati, a norma del decreto luogotenenziale n. 334 del 12 marzo 1916, sono versati agli uffici doni delle armate, siano state rinvenute ripetutamente copie dei giornali «Avanti:» e «Il Grido del popolo», insieme con sostanze atte a produrre autolesioni e le istruzioni relative:

In seguito ai rapporti presentati dagli uffici doni, furono presi provvedimenti a carico dei mittenti:

Fu deliberata la istituzione della censura anche sui pacchi postali:

Al presidente del Consiglio e ministro dell’Interno:

consta a lui che la tipografia del signor Tommaso Palamenghi - Crispi, nella quale si stampò fino al giorno della nostra dichiarazione di guerra alla Germania il giornale la «Concordia» fu pagata con chèque a firma della marchesa Ricci, oggi in stato di arresto perché accusata di intelligenza col nemico:

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Dichiara che le domande dell’onorevole Federzoni avranno risposta al loro turno.

Egli, però, ha parlato di plichi che il ministro dell’Interno fa sparire e comparire.

Questo no.

Ecco come andò la storia per la parte che lo riguarda.

Avvenuto il disastro della Leonardo da Vinci, si nominò una commissione d’inchiesta composta di tecnici, di uomini politici e di un magistrato per la ricerca dei reati che si prevedevano.

Il magistrato incaricato dalla commissione di indagare procedette anche ad interrogatori di detenuti a mezzo dell’avvocato fiscale, ed in vista della gravità dell’avvenimento nessuna obbiezione fu mossa a ciò.

Un giorno il presidente della commissione si recò da lui a Palazzo Braschi dicendo che la commissione aveva compiuti i suoi lavori e che sarebbe stata estesa la relazione, che la causa del disastro era ritenuta dolosa, ma non si era riusciti a rintracciare il colpevole.

Qualche tempo dopo venne a sapere, come ministro dell’Interno e quindi capo della polizia, che una brillante operazione compiuta dal reparto del ministero della Marina che si occupa dello spionaggio, era riuscita ad impadronirsi di documenti importanti sullo spionaggio austriaco.

Egli disse subito che questi documenti dovevano essere rimessi alla autorità giudiziaria e mai li vide.

Quando la cosa si riseppe, il presidente del Consiglio gli comunicò che la commissione d’inchiesta aveva domandato poteri giudiziari per continuare le ricerche, ed egli allora manifestò il pensiero che, avendo detta commissione compiuti i suoi lavori, quei documenti, che rappresentavano la prova specifica di un reato, dovevano essere esaminati dall’autorità giudiziaria.

PIROLINI.

Alla commissione, quando fu costituita, fu detto che più tardi le sarebbero stati conferiti poteri giudiziari.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Poteri giudiziari vuol dire quelli necessari alla commissione per poter compiere le indagini inerenti al proprio mandato amministrativo e politico.

Una commissione può avere poteri giudiziari per fare le indagini, ma non per emettere giudizi definitivi.

Qui avevamo un giudizio penale che si era aperto e non poteva essere compiuto che dall’autorità giudiziaria.

Tutto, del resto, si riduce ad una opinione da lui espressa al presidente del Consiglio, che accettò la sua proposta, ed i documenti furono trasmessi alla autorità giudiziaria.

ORLANDO SALVATORE.

Ha chiesto la parola per fatto personale, facendo parte della commissione d’inchiesta.

Dice che la Commissione condusse a termine rapidamente i suoi lavori e che alla fine di novembre aveva pronta la relazione sommaria, che comunicò al ministro della Marina per quei provvedimenti che doveva prendere.

Tutti furono concordi nel ritenere che il disastro era doloso, e ciò data la situazione nella quale si trovavano le piazze marittime in fatto di spionaggio.

Vi si trovavano italiani che da venti anni erano impiegati in case austriache e continuavano a ricevere da esse la paga, altri con mogli austriache, ecc.

Il Governo aveva la responsabilità di non avere organizzato il passaggio dallo stato di pace a quello di guerra per quanto riguarda lo spionaggio.

Tutto ciò rendeva facili gli attentati.

Venne il fatto di Zurigo, e ci impossessammo di documenti per i quali venne in luce l’attentato, e la commissione chiese i poteri giudiziari.

Egli fu contrario, perché alla commissione mancavano i mezzi per impossessarsi dei colpevoli.

Più volte si era per mettere le mani su essi, ma sempre riuscivano a sfuggire.

Egli stesso consigliò di passare l’incarto all’autorità giudiziaria, alla quale era più facile raggiungere l’intento.

PIROLINI.

Parla per fatto personale.

Desidera raccontare alla Camera quello che seppe dal relatore della commissione, comandante Roncagli.

Quando la commissione fu costituita, il ministro Corsi le comunicò che a tempo opportuno sarebbero stati ad essa conferiti poteri giudiziari.

Avvenuto il fatto di Zurigo, i documenti vennero in mano del capo di stato maggiore della marina, Thaon di Revel, che ne avvisò la commissione.

Questa incaricò il membro giudiziario perché esaminasse i documenti, e questi ne fu tanto impressionato che propose di chiedere i poteri giudiziari.

La commissione si radunò ed a voti unanimi, meno quello dell’onorevole Orlando Salvatore, deliberò di chiederli.

Il ministro li rifiutò;

e la commissione, non potendo averli, unanimemente decise di chiudere i propri lavori.

Egli chiede al ministro Orlando, non chi abbia ragione sulla procedura, ma che cosa si è fatto quando il capo di stato maggiore della marina offrì il mezzo per porre le mani sui colpevoli del disastro della Benedetto Brin e della Leonardo da Vinci e se se ne è approfittato.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

La formula con la quale l’onorevole Pirolini terminò il suo dire, può essere anche da lui adottata.

Ed è dolente di vedere in ciò divisa la Camera, cosa che mostra quanto siano turbati gli animi.

La questione si riduce a sapere, se, essendosi rintracciate le prove di un reato, esse dovevano essere comunicate alla commissione o alla autorità giudiziaria militare.

Quest’ultima era l’unica che ne aveva la competenza, e offriva certo maggiori garanzie.

L’autorità giudiziaria militare ha proceduto ad arresti.

E se vi fu ritardo non è dato ora di conoscerne le cause.

Da galantuomo a galantuomini prega i colleghi di non sorprendersi troppo di tali ritardi, specialmente quando si tratta di questioni di spionaggio, dove purtroppo sono tanto facili gli errori.

MONTI-GUARNIERI.

Parlerà in uno stato d’animo angoscioso e si tratterrà specialmente su due argomenti, cioè sull’imboscamento e sui prigionieri nemici.

Dice che l’annuncio della sua interrogazione sull’imboscamento gli ha procurato 400 lettere, di cui farà la consegna al ministro della Guerra.

Si augura che questa volta il ministro agisca sul serio e non si limiti, come i suoi predecessori, a promesse non seguite dai fatti.

L’imboscamento ha contribuito anch’esso al disastro di Caporetto, perché i soldati, venendo in licenza, non potevano non restare malamente impressionati dagli esempi che vedevano specialmente nelle grandi città.

Cita casi di giovani professionisti tramutati in chauffeurs di colonnelli;

e ricorda Zalamor, il noto macchiettista cinematografico, stato dichiarato insostituibile; giornalisti, artisti di teatro, ecc.

non hanno prestato servizio in molti casi.

Lamenta che i prigionieri siano lasciati soli e si preoccupa di quelli che trovandosi fra Terni e Narni, cioè in una zona così importante per la produzione bellica.

Passa poi a parlare della aviazione e dice come la Germania avesse fondato 5 campi vicini al confine francese:

ora poi avrà utilizzato quelli preparati da noi sul nostro fronte.

Richiama l’attenzione sulla minaccia di incursioni aeree su Roma.

I giornali tedeschi accennano già a incursioni su città dell’alta Italia, e l’oratore chiede che si prendano in tempo i provvedimenti per la nostra difesa.

Ricorda che, secondo precedenti affermazioni, si sperava di avere nel prossimo marzo 3.000 velivoli mentre invece pare che potremmo contare soltanto su 1.200.

Elogia il generale Marieni, che ha reso segnalati servigi.

Fra l’altro ha fatto cessare le sorde ostilità che si agitavano fra i diversi centri di produzione:

ciò che si fabbricava a Torino non veniva collaudato a Milano, e così è avvenuto che per tali ragioni 500 0 1.000 motori non hanno potuto ottenere il collaudo.

Il Governo merita lode per avere individuato alla fine l’uomo adatto nell’onorevole Chiesa, di cui l’oratore riconosce la genialità, ammonendolo però della grave responsabilità che si è assunto e consigliandolo a guardarsi da facili lodatori e a bandire l’incenso.

Guardi alla nostra produzione, che è buona, e non faccia soverchio affidamento su ciò che potrà mandare l’America.

Prima si diceva che questa avrebbe inviato 100.000 aeroplani, poi si scese a 25.000, ma egli si contenterebbe se ne venissero in maggio anche 5.000 soltanto.

Non dimentichi poi l’onorevole Chiesa di far sorvegliare con le necessarie difese aeree i centri delle nostre produzioni di guerra:

gli addetti ai servizi contro aerei hanno offerto spesso mirabili prove di eroismo, in grande parte ignorate, e l’oratore li segnala all’ammirazione della Camera.

Termina dichiarando di aver detto quello che sentiva e si augura che il Governo vorrà interessarsi di quanto egli ha esposto.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Parla anche lui con animo esacerbato da grande dolore, crede però di avere dato esempio di disciplina, essendosi ispirato ai supremi interessi dell’esistenza stessa del paese.

La responsabilità del disastro subito dalle armi italiane non è soltanto militare, ma è anche politica.

Insieme con il Governo è responsabile anche la Camera, che non volle a suo tempo ascoltare e conoscere ciò che si veniva a dire anche qui dentro.

E ricorda che egli ebbe già a parlare e prevedere.

Crede che sia un vero miracolo se il generale Cadorna, dato l’ambiente che si era formato, non sia divenuto dittatore d’Italia.

Dominando la stampa riusciva a soffocare le critiche.

Ricorda che anche il Governo aveva avuto in mano documenti dai quali emergeva l’intenzione dell’Austria di procedere all’offensiva nei primi mesi del 1916, ma il generale Cadorna disse che era impossibile l’irruzione.

E anche a coloro che insistevano presso di lui sulle probabilità del fatto egli continuò ad oppore una negativa assoluta.

Quando poi l’avanzata si verificò, e indignazione e dolore scossero tutto il paese, la colpa fu riversata sui generali Brusati e De Chaurand;

questi però poterono agevolmente purgarsi dall’accusa, perché furono in grado di comprovare con documenti come essi giornalmente richiedessero al Comando supremo l’invio di rinforzi ed altri provvedimenti atti a fronteggiare la situazione.

Ma Cadorna, per la sua ostinazione, si rifiutò di aderire.

Le conseguenze furono che perdemmo un rilevantissimo numero di ufficiali e soldati.

L’onorevole Salandra riconobbe allora anche in questa Camera la deficienza del Comando supremo;

ma il Governo non ebbe il coraggio di gravare la mano sul responsabile.

Gli osanna della presa di Gorizia furono pagati a caro prezzo;

sarebbe stato necessario per assicurarne la difesa munire fortemente il Sabotino, Podgora, ecc.

ed altre alture, e conveniva costituire al più presto una resistenza centrale.

Con la dichiarazione di guerra alla Germania era altresì necessario metterci in grado di respingere l’attacco più forte, che dovevasi prevedere.

E quando si seppe del memoriale Douhet, ai deputati e ministri che s’interessavano della cosa Cadorna rispondeva di voler dar corso al processo, a meno che non gli si desse ragione anche di qualche ministro in carica, che egli riteneva favorevole al colonnello.

Era riuscito ad imporsi ad ogni Governo.

Espulse dalle zone di guerra i deputati che avrebbero invece potuto esplicare utilissima propaganda.

Così avvenne che nessun vincolo strinse più il paese al Comando, retto dal solo orgoglio.

Quando il generale Joffre si recò da Cadorna, il presidente d’allora, onorevole Boselli, chiese notizie del convegno, e Cadorna telegrafava di non aver nulla da dire né a lui né ai suoi colleghi.

BOSELLI.

Questo telegramma non esiste... DE FELICE - GIUFFRIDA.

Proseguendo dice che Cadorna non volle mai dare l’elenco dei morti e feriti come neppure si prestò a dare quello dei silurati.

Il popolo italiano ha sopportato la disfatta, ma il Governo deve riprendere tutta la sua autorità ed ha il dovere di andare a fondo;

giacché ha mostrato di volere l’inchiesta, deve indagare le cause del disastro, e l’oratore ne indica alcune; il siluramento di circa 1.500 ufficiali superiori, alcuni dei quali veramente distinti;

la mancanza di contatto fra il Comando supremo e i corpi, al qual proposito ricorda che quando padre Gemelli volle mettersi in relazione diretta con le truppe, dové constatare che i soldati non avevano più fiducia nella vittoria;

l’ineguale soppressione della indennità di guerra;

soverchi esempi di terrore, fucilazioni, ecc,;

eccessiva permanenza dei corpi nelle trincee, che si protraeva per molti mesi, mentre negli eserciti alleati dura soltanto per settimane, diffusione di opuscoli demoralizzanti, specialmente dopo la Nota del Papa.

Dopo questo fenomeno l’oratore non si meraviglia che quando i soldati videro degli automobili bianchi avanzare al grido di pace, abbiano deposto le armi.

Accennando all’ultima fase del comando del generale Cadorna, riferisce che nella Carnia a difesa di un punto importante eravi solo una compagnia di disciplina.

L’erroneo ordine relativo alla distruzione dei ponti produsse, nella ritirata, gravissime perdite di uomini e materiali;

spaventevole prova dell’assenza del Comando fu il subitaneo abbandono di Udine.

Ricorda poi che Douhet da anni segnalava la necessità di aeroplani ultra potenti per assicurare la vittoria.

Chiede al Governo di dissipare i dubbi catastrofici di Alessio e Modigliani sulle forze militari e sul vettovagliamento.

Sa che le condizioni non sono buone, ma vuole essere sicuro del pane.

Chiede ai socialisti se essi vogliano una pace separata.

(Voci all’estrema sinistra.

No:

No:).

Queste interruzioni, esclama l’oratore, accendono di fuoco l’animo mio, perché mi dimostrano che la Camera si solleva nell’unanime coscienza di resistere sino alla vittoria finale.

(Approvazioni).

IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO RAVA MIARI COMITATO SEGRETO del 17 dicembre 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE RAVA La seduta comincia alle ore 14.

Si dà lettura del processo verbale della seduta di ieri, che è approvato.

PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto un congedo, per motivi di famiglia, l’onorevole Giuliani di giorni 3, l’onorevole Landucci di giorni 3.

(Sono conceduti).

SOLERI.

Svolge il seguente ordine del giorno:

«La Camera, esprimendo la sua ammirazione agli eroici combattenti che arginano l’invasione nemica, confida che cesseranno completamente quei sistemi di inutile logoramento, di non necessari sacrifici, di minore giustizia di fronte agli estremi pericoli, che in passato poterono menomare l’energia morale dei soldati».

La presente discussione investe le responsabilità militari e politiche dell’avvenuto disastro.

Di esse io parlerò, non per intento di recriminare, ma perché siano tratti da quanto è succeduto gli insegnamenti e gli ammonimenti per l’avvenire.

La discussione militare si riassume e si conclude nella necessità di una inchiesta meno morbida di quella promessa dal ministro dell’Interno, di quell’inchiesta che si fa di fronte a qualsiasi disastro, e che tanto più si impone là dove furono distrutti i risultati di due anni di guerra, fu reso vano il sacrificio di tanta giovinezza, vennero invase due provincie, fu perduta tutta una attrezzatura dell’esercito, che rappresentava un gigantesco sforzo compiuto dalla nazione e ne rappresenta uno maggiore da compiere, che graverà per decenni sui contribuenti italiani.

Tanto più deve inquisirsi, in quanto il generale Cadorna ha tentato di infamare quei soldati del cui eroismo aveva pure per due anni intessuta la corona della sua gloria.

Non può il generale Cadorna rappresentare a Versailles quel nostro esercito che egli ha insultato.

Non lo può, di fronte anche ai disastrosi errori commessi, perché l’incarico non è puramente onorifico o decorativo.

Io non ho né amori né odi per il generale Cadorna;

non l’ho mai né incensato né vilipeso;

non lo conosco, ma so come ogni zolla fosse insanguinata di generosa gioventù italica.

Non si può porre la pietra dell’oblio — né mai succedette nella nostra storia da Ramorino a Persano a Baratieri — su quanto è succeduto, se non si vuole recare sanguinosa offesa alla giustizia.

Quando si è punito con la decimazione chi non ha peccato, e con la destituzione chi sentì nella coscienza sua la remora a sacrificare inutilmente reparti, nessuna impunità può concedersi.

Si inquisisca senza preconcetti ma senza privilegi.

E si mutino anche i sistemi, si tronchino gli arrivismi, stati anche deplorati dal ministro della Guerra.

Basta di quelle promozioni per merito di guerra, di quei conferimenti dell’ordine militare di Savoia, quando non di medaglie al valore, a chi vide troppo da lontano il fuoco, se non si vuole ancora recare offesa agli ufficiali combattenti, che con la morte o colla revoca dovettero finora aprire le porte all’arrivismo più sfrenato.

Accadde che vennero promossi per merito di guerra per l’azione di Gorizia ufficiali del Comando supremo, in data anteriore alla azione stessa.

Non citerò altri episodi, perché non può fare del pettegolezzo chi ha vissuto coi soldati le vigilie solenni e l’epico orrore delle battaglie, e sente pulsare nel suo cuore il rimpianto per gli inutili sacrifici e l’ammirazione per i purissimi olocausti.

Ma alle responsabilità militari del generale Cadorna si connettono inscindibilmente responsabilità politiche.

Il generale Cadorna era capo di stato maggiore di Sua Maestà il Re, per il quale rispondono i ministri, che perciò avevano diritto e dovere di controllo.

Orbene fin dall’inizio, col Governo dell’onorevole Salandra, il controllo non si esercitò;

si ebbero due Stati, due Governi sovrani.

Si disse che l’onorevole Salandra in una seduta del giugno 1916 lasciasse intendere il suo proposito di revocare il generale Cadorna.

Ma nella stessa seduta egli smentì qualsiasi consimile interpretazione delle sue parole.

I suoi amici non permisero mai che Cadorna fosse discusso.

I soldati d’Italia erano diventati i soldati di Cadorna.

Si seppe volere la guerra, e non si seppe volere che la si facesse bene.

Col continuo incensamento di Cadorna si indusse uno stato d’animo di errore negli uomini di buona fede sulla sua capacità tecnica.

Il Governo dell’onorevole Boselli tentò di rettificare le posizioni, ma non poteva cozzare contro un uomo di così tenace volontà nella difesa di ogni trincea politica conquistata, nella offensiva a quelle che rimanevano al Governo.

Fu nominato l’onorevole Bissolati ministro di collegamento fra Governo e Comando;

ed affidava la sua ferma energia, l’alta coscienza, e il saperlo non subiectus al Comando supremo.

Ed in principio egli esercitò il controllo più vigile, ma era perciò molesto al Comando.

A un tratto però apparve anch’egli vinto, soggiogato.

Cosa era accaduto:

Una persuasione:

Un fascino:

No, un’offensiva riuscita.

Era il processo Douhet, fatto in realtà non al colonnello Douhet ma al ministro Bissolati, sorpreso ad avere notizie da un colonnello, e per liberarsene.

Il dovere di difesa delle prerogative del suo ufficio imponeva al ministro Bissolati di non restare un giorno di più a quel posto, se quel processo si faceva.

Il ministro Bissolati non lo fece, sia pure per un senso di delicatezza.

Ma intanto il generale Cadorna, ottenuta la condanna di Douhet, scrisse che al ministro Bissolati non avrebbe permesso di ritornare in zona di guerra, e inibì ai comandi di comunicare qualsiasi notizia ai membri del Governo.

Il ministro Bissolati perdette ogni libertà d’azione, fu posto in condizione di non più adempiere a quell’ufficio che continuava a tenere.

Ed ogni controllo venne meno.

Le cose si aggravano ancora.

Attorno al Comando si forma una coalizione di posizioni politiche e militari con satellite una coorte di giornalisti, che esaltano ed incensano il Comando supremo, e lo segnalano alla nazione quale faro di salvezza fra un Parlamento vilipeso e un Governo debole.

Coalizione che disarma il Governo, dove pure esistevano serii dubbi e giustificate diffidenze sul valore del generale Cadorna.

L’audacia giunge fino al tentativo di porre a capo del Governo un generale, ottimo, ma comandato da Cadorna.

La tragedia d’Italia stroncò il torbido disegno.

Ma intanto il Comando supremo, da una parte fu distratto dalle sue cure, perseguiva chimere di dittatura, intesseva reti politiche, manovrava offensive non contro l’austriaco;

ed il Governo, dall’altra, era esautorato, e più non trovava, ad esempio, l’energia, dopo la defezione della Russia, di imporre al Comando di desistere dalle offensive logoranti per raccogliersi nella difesa più vigile.

Tutto ciò dovrà essere esaminato nella valutazione delle responsabilità.

E venendo ad altro, intendo di rivolgere una domanda all’onorevole Sonnino, premettendo che è mio pensiero che l’Italia debba rimanere sempre e ovunque fedele ai patti con gli alleati, non tanto per ragioni economiche e di vita da altri esposte, quanto per la religione dell’onore, che è il più nobile retaggio del paese.

Il 30 maggio 1917 fu stipulato un trattato franco-italiano, col quale si dosarono le importazioni italiane in Francia, e il 24 agosto 1917 venne concluso un trattato franco-inglese, col quale l’Inghilterra concedette alla Francia piena libertà di esportazioni in Inghilterra, in considerazione dell’eroismo, si dice, col quale la Francia ha sopportato il più pesante fardello della guerra.

Orbene perché questo trattamento non fu fatto all’Italia dalle due nazioni:

Il peso maggiore della guerra non sussisteva per essa nella sua minore ricchezza e resistenza economica, nel suo cambio, nelle asprissime oflensive del maggio e dell’agosto scorso:

Ed ora, di fronte all’invasione, ha chiesto l’onorevole Sonnino la estensione all’Italia di quel trattamento:

Lo confido.

Si propone di esaminare i punti essenziali in cui si riassume l’ormai lungo dibattito.

La prima questione riguarda la politica militare e le cause del disastro di Caporetto con le conseguenti responsabilità.

Dai discorsi dell’onorevole ministro della Guerra la Camera non ha appreso né l’entità delle conseguenze, né lo svolgersi degli avvenimenti né le cause precise di essi.

L’esposizione dell’onorevole ministro evita, nonché di risolvere, anche di proporre solamente il vero quesito che appassiona l’opinione pubblica:

le misure prese dal Comando, malgrado errori e deficienze, erano tali da proteggere i confini dall’invasione, come i comunicati annunziavano:

Gli errori del Comando furono tali che, senza la coincidenza di cause morali, il disastro si sarebbe ugualmente avverato:

Comprende le difficoltà di dare una risposta sicura nell’attuale condizione e cogli elementi d’informazione raccolti, né seguirà il sistema di portare alla Camera fatti anedottici e questioni personali o di addentrarsi in discussioni tecniche, nelle quali l’oratore e la Camera sono incompetenti, ed è facile cadere in contraddizioni, come allorquando qualche oratore ha accusato il Comando per le offensive di maggio e di agosto, e l’onorevole ministro ha lasciato in dubbio se non sia da criticarsi la rinuncia all’offensiva di ottobre.

Tuttavia l’onorevole ministro, per quel che disse e per quel che tacque, pose a carico del Comando una parte di responsabilità.

Sia essa preponderante o no, nelle tristissime conseguenze, basta per disapprovare che il generale Cadorna sia stato mandato nel Consiglio di guerra interalleato a Parigi.

Vi sono dei grandi errori che generano un piccolo danno, e vi sono dei piccoli errori che generano un danno enorme: per la sanzione i due casi si equivalgono.

Ma è da notare che qui si crea inavvertitamente un equivoco.

Non si tratta invero di affermare ora la necessità di punire il generale Cadorna, si tratta di giustificare il provvedimento per cui fu inviato, e ancora rimane, in un organo che controlla e coordina i Comandi dei vari paesi.

Devesi tener conto ancora che il generale Cadorna ha indubbiamente ridotto al nulla il servizio dello stato maggiore, non ha mai convocato Consigli di generali, ha annullato le funzioni e l’indipendenza del ministro della Guerra, che ha un compito ben distinto ed importantissimo, ha cercato di porsi sopra al Governo del paese.

In tali condizioni gli errori si intraprendono a proprio rischio e pericolo, gli errori diventano colpa.

Il ministro della Guerra addusse a giustificazione del provvedimento:

primo, che il generale Cadorna fu desiderato da Lloyd George;

secondo, che bisognava tener conto degli elementi devoti al generale Cadorna, i quali rimanevano nei comandi.

Ma tali argomenti non hanno alcun peso in materia così grave.

Se Lloyd George invocava Cadorna a Parigi, noi non sappiamo, ad esempio, se egli non volesse con ciò assicurarsi l’allontanamento definitivo di lui dal Comando italiano, o non intendesse deprecare la maggiore iattura dell’invio del generale Porro.

Quanto all' altro argomento, sono desiderabili delle spiegazioni, acciocché nessuno pensi che il Governo ha considerato la possibilità di atteggiamenti faziosi, che non bisogna né paventare né tollerare.

L’oratore accenna a taluni casi di rilassatezza e d’indisciplina, su cui invoca indagini e giudizio.

L’aver lasciato in sospeso il problema del Comandante supremo fu causa che l’onorevole ministro si contentasse di cenni vaghi e fugaci alla propaganda da lui giustamente chiamata infame.

Egli domanda al Governo di far conoscere le insidie della sobillazione e del tradimento, di cui non intende responsabili interi partiti, ma bensì i nemici filtrati o rimasti nel paese, e, per incoscienza o per passioni malvagie, elementi di qualche partito.

Domanda se è permesso di professare che la patria è una ideologia, quando la patria sanguina delle sue ferite, di proclamare che una classe sociale deve rimanere ferma sul terreno della lotta delle classi, mentre il nemico accampa sul terreno della patria.

Passa a toccare della questione della pace:

tanto più che si riconnette alla infausta giornata di Caporetto lo stato d’animo delle truppe, che non solo desideravano, come si comprende, la pace, ma credevano ad un’imminente realizzazione.

Critica la Nota dell’Intesa a Wilson sugli scopi della guerra, perché soprattutto, invece di andare incontro alle correnti dei paesi nemici, meno infatuate di imperialismo, dava buon gioco ad allarmare le popolazioni degli Imperi con lo spettro abusato della loro distruzione.

Ma sarebbe ingiusto ed odioso rovesciare sull’Intesa la responsabilità della prosecuzione della guerra.

La Germania non ha mai proposto la pace, ma ci ha intimato di andare ad implorare la pace a Berlino.

Sebbene i Governi nemici continuino a tenere il segreto sulle condizioni di pace, è certo che in nessun momento la Germania ha mai pensato ad un ritorno allo statu quo.

Ricorda il programma dei socialisti maggioritari tedeschi ed austriaci a Stoccolma:

eglino hanno esposto teorie apparentemente conciliative nella formulazione, mentre nell’applicazione dovrebbero dare alla Germania i territori invasi dell’est e mantenere le provincie di lingue straniere (Schleswig e Polonia) col pretesto che hanno mutato di possesso durante la guerra e dovrebbero consegnare all’influenza tedesca, secondo le aspirazioni pangermaniste, le coste dell’Africa col pretesto che quivi stanno popoli di antica civilità decaduta.

Con tutto questo il programma di quei socialisti tedeschi fu ripudiato dal Cancelliere in ripetute occasioni, e nessuno può affermare che sia il programma della maggioranza del popolo.

Gli è che il programma del Governo è ben più esteso, e non ammette neppure la ricostituzione del Belgio, se non con formule insidiose, che per altro non possono ingannare alcuno.

Il problema della pace deve essere presente sempre al Governo e al Parlamento.

L’oratore da tempo, ed invoca la testimonianza di due ministri del Gabinetto, opina per una revisione dei fini di guerra.

Dall’inizio della rivoluzione russa ad oggi, data dell’armistizio sul fronte orientale, gli scopi di guerra sono profondamente mutati;

alcuni non hanno più ragione di essere come la domanda russa degli stretti, abbandonata e condannata dalla rivoluzione, altri hanno assunto un diverso contenuto, come la questione polacca, altri sono attualmente rovesciati, come il destino delle provincie di confine, altri sono in via di risoluzione contrariamente alle nostre aspirazioni, come le domande della Rumenia, per forza aderente all’armistizio.

La revisione dei fini è imposta altresì dall’intervento dell’America, che non ha accettato il Patto di Londra e le cui manifestazioni sono meritevoli di attento esame.

Ma la revisione dei fini deve essere accompagnata dall’intensificazione dei mezzi.

Oggi, per quel che riguarda l’Italia, Czernin ha insolentemente notificato che l’Italia tutt’al più può tornare agli antichi confini, mentre l’Austria tiene il Lowcen e metterebbe sotto il suo dominio l’intera Albania.

Ora se c’è alcuno che crede la nostra situazione così compromessa da accettare una simile pace, si faccia avanti, e la sostenga a viso aperto.

Nessuno, a quanto pare dalle proteste, si accosta a simile idea, e perciò quello che più urge oggi è difendersi, appunto per raggiungere una pace giusta e durevole.

Bisogna andare adagio nel pretendere che l’Italia si faccia iniziatrice della pace.

In primo luogo con questo la possibilità di una pace separata, che sarebbe una vergogna e una rovina, sarebbe più prossima di quanto può apparire, poiché se può appartenere a noi di fare una pace, non è nella nostra volontà di farla in compagnia;

e allora, gli altri rifiutando, saremo costretti a farla da soli.

D’altronde bisogna guardare a questa eventualità dal punto di vista degli alleati e dal punto di vista del nemico.

Dagli alleati l’Italia ha, e deve avere, 30 milioni di quintali di grano all’anno, 60 milioni di quintali di carbone, almeno parecchi milioni di quintali di acciaio, un tonnellaggio imponente, che trova nel Mediterraneo i maggiori pericoli, cotone, ecc.;

ed infine prestiti ingenti e concorsi militari che l’onorevole Nitti richiede in 500 mila uomini.

Tutto ciò accade mentre la fronte sconfinata si restringe al Veneto e alle Fiandre;...

talché potrebbe venire un giorno, in cui agli alleati sembrasse più vantaggioso l’impiego di queste riserve sul loro fronte e nei loro paesi, per prolungare la lotta e sfuggire a condizioni troppo onerose.

In altri termini non è assurdo il pensare che gli alleati riconoscano che l’Italia, elemento di guerra e non di pace, non è più necessaria e nemmeno utile alla alleanza.

La coalizione anti-austriaca e stata battuta, mentre la coalizione anti-germanica rimane in piedi, e viene in soccorso all’Italia, che è la sola superstite dell’altro gruppo.

Non c’è bisogno di grandi parole per comprendere che, se gli alleati hanno necessità dell’Italia, l’Italia ha una necessità maggiore dei suoi alleati.

Infine il nemico è partito in una duplice offensiva, militare e politica.

L’esercito fa con sacrifici commoventi tutto il suo dovere;

noi non provvederemmo se fornissimo il modo di [... ] e di credere nella nostra disfatta morale.

Il nemico, intendendosi parlare proprio ora di pace, immaginerebbe senza dubbio che un altro sforzo militare avrebbe ragione dell’Italia annientandone la resistenza.

In ogni nostro atto dobbiamo aver presente che effetto sortirà nel campo nemico, che conclusioni il nemico sarà per trarne.

Da varie parti si è reclamato un mutamento nel ministero degli Esteri.

Chiedere al presidente del Consiglio che si separi dal ministro degli Esteri è vano ed assurdo.

Chi non segue la politica del Gabinetto, voti contro, Ma rifletta bene prima di disfare l’attuale situazione, perché l’onorevole Orlando, battuto oggi, non potrebbe domani accettare il potere per mandato di coloro che affettano per la sua persona e [... ] per la sua politica.

D’altra parte non è l’ora soltanto di indicare le responsabilità, ma piuttosto di assumerle;

non è l’ora di interregni o di delegazioni di responsabilità e di poteri.

Occorre ripeterlo, chi pensa che altra sia la via da percorrere, venga innanzi e lo dica chiaramente e senza sottintesi, come lo esige la gravità della situazione del paese, minacciato nella esistenza.

Per conto suo l’oratore ha da tempo rimproverato all’onorevole Sonnino i suoi errori e i suoi difetti:

anche quando si consente nei suoi obbiettivi, è forza dissentire dai suoi metodi di politica personale, che continua la tradizione di sottrarre al Gabinetto la politica estera.

Ma egli ha fede però nella lealtà dell’onorevole Sonnino;

ha fede nel senno e nel carattere dei suoi colleghi, nel presidente del Consiglio che ieri annunciava la costituzione del Comitato di guerra.

Conoscendo di quante amarezze e di quanti triboli sia sparsa la via dei valentuomini che hanno raccolto i destini d’Italia nel momento più tragico della sua storia, non egli vorrà rendere questa via più triste e più aspra con un assalto o con una imboscata.

Ed infine parliamo dei nostri soldati e dei criteri adottati per il loro impiego.

Molto fu fatto per logorarli e per deprimerne l’animo, ben poco per infondere ad essi l’energia morale per i maggiori sacrifici.

Il soldato che va in guerra, lascia interessi, legami, odi e amori;

entra in un mondo nuovo, di cui ritrae le impressioni, che ne plasmano l’animo.

Diventa capace di devozioni e di olocausti prima insupposti.

La disciplina deve essere ispirata al rispetto al cittadino che affronta i supremi rischi;

alla persuasione da infondere della necessità dei richiesti sacrifici, nella misura della necessità e coi mezzi adeguati per renderli efficaci, alla giustizia più assoluta.

Orbene tutto questo non fu ricordato abbastanza.

Quante offensive inutili non vennero compiute, con mezzi inadeguati:

Fu scritto che i reticolati si rompono coi denti:

Quante volte non si richiese, per rinunciare a proseguire un attacco, una percentuale di morti:

Quante posizioni, così dette di [... ] non furono tenute, a pochi metri sotto al nemico, dal Kukli a Plava, a Oslavia a Santa Maria, ecc. ecc., e per anni, colla perdita quotidiana di diecine di uomini per ciascuna, col logoramento di brigate e brigate:

Perché cambi e riposi non furono rispettati, e licenze invernali vennero negate:

Perché non si adottò il sistema francese della licenza ogni quattro mesi, che rappresenta una grande arma disciplinare, un minor danno civile ed un essenziale fattore morale:

Perché si permisero le decimazioni, che contrastano a tutta la civiltà, le tradizioni, la psicologia della nostra gente:

Perché non si mantennero talora le promesse di premio o di licenze fatte per operazioni ardite:

Perché non si riuscì mai a sanare la piaga dell’imboscamento, a introdurre la giustizia di fronte ai supremi sacrifici:

Tutto ciò è assurdo, e deve cessare, se non si vogliano riprodurre stati d’animo nei quali le propagande non hanno bisogno di venire di fuori ma trovano il miglior terreno per autogerminare.

E deve anche cessare per gratitudine a ciò che hanno fatto i soldati in quest’ultimo mese.

Non frasi retoriche, o signori, ma l’omaggio più puro e più reverente.

I nostri soldati, da soli, hanno opposto un argine non infranto su quella linea del Piave, che ha salvato città sacre all’affetto d’Italia, quando generali e ministri erano incerti se la si potesse tenere e chiedevano solo al loro eroismo qualche giorno per apprestare altre difese.

Essi, senza riposo, senza cambi, senza il presidio di riserve, senza l’usbergo di opere difensive, con negli occhi la visione delle popolazioni profughe e smarrite del Veneto martoriato, con nel cuore il pianto dei bimbi sperduti, col loro volere più saldo del furore teutonico, diedero tempo alle riserve di giungere, consentirono quella tregua che permise di migliorare la situazione.

Furono giorni terribili, i più angosciosi della storia d’Italia, nei quali l’ansia estrema serrava il petto di ogni italiano.

I soldati furono pari alla circostanza, magnanimi.

Questo l’Italia non dovrà dimenticare mai, ma deve ricordare oggi e pensare che i soldati sono dei cittadini, i più puri cittadini, che del loro petto fanno baluardo alle terre, alla storia, alle speranze d’Italia.

DE NAVA.

Per fatto personale.

Spiega che nell’accordo tra l’Italia e la Francia del 30 maggio 1917 fu stabilita la libera importazione in Francia di tutte le merci italiane:

ma solo per formalità furono determinati i contingenti nella misura massima di esportazione che si era verificata tra Francia ed Italia negli ultimi anni.

SOLERI.

Replica esponendo dei dati.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Si raccomanda all’indulgenza della Camera tanto per la forma quanto per la voce.

In questa discussione parlerà con molta calma cercando di rispondere alle più importanti fra le interrogazioni rivoltegli e alle numerose domande presentate (oltre 50):

ad altre non gli è consentito dare risposta, perché, per gli impegni assunti verso altre potenze, che debbono essere rispettati, sarebbe dannoso alla cosa pubblica manifestare notizie che riguardano difficili situazioni.

Il più attento spiatore di qualsiasi dichiarazione è il nemico:

è facilissimo fraintendere le parole, ed anche una semplice espressione formale può ingenerare dissidi fra gli alleati.

Per citare un caso recentissimo ricorda che il cancelliere germanico nel suo discorso di pochi giorni fa mostrò di avere completamente fraintese le parole pronunziate dall’oratore nella seduta del 25 ottobre sulla possibilità del disarmo.

Specie in questo momento, in cui si elevano giuste proteste contro le violazioni di segreti perpetrate da Lenin, è tanto più doveroso rispettare gli impegni presi.

Si difenderà da qualche accusa, e comincia dal rispondere agli onorevoli Ferri Giacomo e Modigliani.

Ricorda che l’Austria violò ripetutamente i suoi patti nel 1914, prima con l’ultimatum e poi con l’occupazione della Serbia senza preventive intese.

L’oratore per desiderio di risparmiare la guerra tentò negoziati, ma non fu possibile l’accordo.

E si riporta al libro verde pubblicato.

Con ciò la Triplice Alleanza veniva a cadere.

La Germania propose allora un accordo pel trattamento dei sudditi rispettivi nel caso che si entrasse in istato di guerra;

ma dopo la rottura delle ostilità con l’Austria questo accordo non poté durare, e fu denunciato.

Rispondendo all’onorevole Longinotti, ripete che non esiste la clausola secondo la quale la Francia, l’Italia, l’Inghilterra e la Russia avrebbero dovuto opporsi a priori a qualsiasi passo del Papa in rapporto alla conclusione della pace.

Smentì volentieri la falsa notizia pubblicata a riguardo, che offendeva una grande parte della nostra popolazione da cui erasi nobilmente fatto il proprio dovere.

Egli si è sempre adoperato a tutelare sotto ogni rapporto lo spirito della legge sulle guarentigie, ritenendo che ora ricorra la vera prova del fuoco della legge stessa lealmente osservata.

La guerra dimostra che l’internazionalizzazione della legge sulle guarentigie non avrebbe potuto fornire alcun maggior presidio al Papato, e ha provato invece quanto essa fosse rispettata dall’Italia.

Riguardo all’ultima Nota papale le potenze dell’Intesa hanno ritenuto che non fosse opportuno dare una risposta oltre quella di Wilson.

Si è detto che nel discorso pronunciato dall’oratore il 25 ottobre egli avesse mosso critiche alla Nota pontificia:

egli invece non si occupò se non delle caratteristiche della proposta in misura strettamente politica.

Avverte che una grande forza morale, appoggiata ad una propria distinta organizzazione, rappresenta anche una grande forza politica; e ciò non può essere indifferente al Governo.

Il Papato è pienamente libero nell’esercizio della sua missione spirituale, salvo la vigilanza dello Stato.

Per altro, smentendo una falsa notizia, non intende in alcun modo di pregiudicare la sua azione, riservandosi di esaminare l’ammissibilità alla Conferenza della pace sia della Santa Sede sia di Stati non belligeranti.

Torna ad accennare alla necessità dei segreti diplomatici.

Non vi è da farsi illusioni:

il segreto vi sarà sempre, quantunque i nuovi rapporti della vita lo abbiano di molto diminuito;

ma è evidente che se uno dei contendenti lo osservasse e l’altro no, ciò creerebbe una condizione di inferiorità.

L’atto commesso da Lenin e Trotzky basta a dimostrare come essi vogliano violare tutti i patti pubblici.

I segreti sono necessari per prevenire i conflitti come per mantenere le alleanze.

Balfour paragonò molte questioni diplomatiche a questioni delicate di famiglia, che sono tanto più facili a ripararsi quanto meno sono conosciute dal pubblico.

Dice che occorre il fronte unico diplomatico per ottenere unità d’azione.

Egli pertanto, anche per non intralciare trattative in corso, non potrà dare risposta precisa ad alcune domande rivoltegli.

Osserva che il ritardo frapposto alla dichiarazione di guerra alla Germania va addebitato a ragioni d’ordine militare e politico per mantenere la concordia nazionale.

Egualmente il momento di partecipare all’impresa di Salonicco dové essere scelto secondo le esigenze militari, ma già favorivamo lo sviluppo di quella impresa con la nostra spedizione a Vallona.

Quanto al giudizio sull’azione degli alleati in tale impresa non spetta a lui rispondere.

All’onorevole Medici dichiara che nessuno degli Stati dell’Intesa pensa a pretendere un cambiamento nella forma di Governo degli Stati nemici.

Ogni popolo regoli da sé i propri ordinamenti interni.

Agli onorevoli Artom, Cotugno, Corniani, Di Cesarò dice che il Giappone si mostra desideroso di entrare in azione;

ma le difficoltà sono rese molto maggiori dalle sue condizioni geografiche, dal momento attuale della Russia e dalla scarsezza del tonnellaggio.

La questione del tonnellaggio occorrente pel suo intervento è sotto l’esame degli alleati.

Le notizie dello sbarco giapponese a Vladiwostok sono molto dubbie.

L’oratore non vi presta fede, perché forse trattasi di una notizia tendenziosa sparsa dai massimalisti contro il Giappone.

Rispondendo agli onorevoli Libertini e Murialdi sugli approvvigionamenti, riconosce la massima importanza di tale questione.

Ma i provvedimenti da adottarsi, secondo i bisogni che giorno per giorno si manifestano, spettano ai ministri tecnici.

Assicura però che la Conferenza di Parigi si è occupata largamente di questo argomento e che si è fatto un grande passo innanzi per la sua sistemazione.

All’onorevole Theodoli dice che le nostre relazioni con la Romania sono cordiali ed ottime:

noi abbiamo sempre cercato di sostenere i suoi legittimi interessi.

Occorre pure tenere giustamente in conto la sua difficile condizione in seguito al suo abbandono da parte della Russia.

Ma il contegno di quel Governo è sempre corretto e leale, come è bella ed ammirevole la condotta dell’esercito.

All’onorevole Di Cesarò dichiara evidentemente priva di ogni fondamento la diceria che si va diffondendo circa una pretesa richiesta di garanzie da parte degli alleati sul porto di Genova e sulla ferrovia.

All’onorevole Artom espone che il proposito degli alleati di fronte alla Russia è di tenersi estranei alle sue vicende interne, non potendo per ora riconoscere l’autorità del Governo di Pietrogrado che procede anche a liberare i prigionieri, che viola i patti stipulati con grave danno degli alleati.

All’onorevole La Pegna, il quale ha affacciato il dubbio che non sia stata valutata a sufficienza la forza del nemico, osserva che il ritardo della dichiarazione di guerra alla Germania è prova del contrario.

Osserva poi che i dirigenti della politica inglese e francese hanno ripetutamente dichiarato di volere pienamente mantenere gli impegni assunti verso l’Italia, e lo attestano con l’invio di diecine di migliaia di soldati.

Voci.

Quanti:

Quanti:

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

La guerra fu ripetutamente approvata dal Parlamento:

il voto dato da esso non poté essere coartato;

siamo tutti uomini liberi che votano ed hanno stretto dovere di votare secondo la loro coscienza.

Non venite a dire che fu una minoranza quella che volle la guerra.

Voci.

Nitti:

Nitti:

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Egli assume la sua responsabilità nella sicura coscienza di non avere nulla trascurato nell’adempimento del suo dovere, inspirandosi agli interessi collettivi del paese.

Non pretende di avere preveduto ogni particolare.

Accenna poi alla Russia, alla guerra dei sottomarini, alla sconfinante propaganda antipatriottica.

Se ci è un momento in cui si è mostrata saggia la direttiva di sincerità della nostra politica estera, è stata la fedeltà dei nostri alleati che sono subito accorsi a prestarci mano, sebbene il venir meno della pressione russa avesse ripercussione anche sulle loro frontiere.

Quanto ai desideri di pace afferma che nessun italiano può sognare una pace separata.

Occorre una pace generale, che ponga fine alla feroce lotta.

Tutti la desiderano ma deve essere pace che duri, in modo che il sangue non sia stato versato invano e che essa segni veramente un passo innanzi nella storia della civiltà umana.

Necessita ora rinvigorire la condotta della guerra.

L’oratore dice che se il togliere la sua persona dal posto che occupa può essere un rimedio anche parziale, non si deve esitare a farlo, nessuno essendo insostituibile.

Ma per carità di patria non si renda maggiormente difficile l’azione del suo successore.

Colpendo l’oratore non si cerchi di colpire la prosecuzione della guerra.

L’unico modo di giungere dignitosamente alla pace è di mostrarsi più forti in guerra in un momento come questo in cui il nemico spera sulla divisione degli alleati e sull’accasciamento nostro.

L’esercito ci dà una splendida prova di energica ripresa morale, di calma e di risolutezza nell’azione, di uno spirito di illimitato sacrificio dell' io.

Seguiamo questo nobile esempio, e Dio benedica, anzi benedirà la nostra patria.

Voci.

Chiusura:

Chiusura:

PRESIDENTE.

Pone a partito la chiusura.

(È approvata.

La seduta è sospesa per 5 minuti).

DEL BONO, ministro della Marina.

Onorevoli deputati, le domande rivoltemi dagli onorevoli Ruini, Orlando Salvatore e Cotugno riguardano l’azione svolta dalla marina nell’aspra guerra che combattiamo;

io dirò di essa brevemente, col profondo convincimento che, nonostante manchevolezze (talune per verità messe in luce dalla comoda scienza del poi) la marina ne guadagnerà nella vostra estimazione e, per voi, in quella del paese.

Bisogna anzitutto riconoscere che alla guerra odierna noi non eravamo sufficientemente preparati, e le ragioni voi le conoscete meglio di me.

L’arte della guerra era una vera industria per gli Imperi centrali, ove tutto convergeva a rinsaldare le istituzioni militari, mentre da noi, per più larghe vedute democratiche, non fu mai così.

Citerò il servizio di spionaggio e controspionaggio per cui i nemici profusero milioni con indiscutibili vantaggi;

ricorderò la continuata unità d’indirizzo nella direzione della marina, che dal 1861 ad oggi ha avuto da noi 50 ministri, mentre sì l’Austria che la Germania ne hanno avuto quattro soltanto.

Ma, oltre all’ineguale preparazione alla guerra, due armi nuove, l’areonautica ed il sommergibile si sono affermate in modo veramente imprevedibile.

Ai più esse parvero utopie:

fin per la Germania fu una rivelazione l’odierno impiego del sommergibile, del quale si vale più di noi, perché le sue navi e le austriache, sia da guerra che mercantili, tranne che per brevi incursioni, non solcan più i mari.

Che cosa abbiam fatto per migliorare le nostre condizioni:

All’inizio della guerra non avevamo in servizio che 9 corazzate di linea, per 117.000 tonnellate e di esse una sola dreadnought, la Dante;

due nuove dreadnoughts avevano appena ultimato le prove, altre tre erano in allestimento più o meno avanzato.

Quattro super-dreadnoughts erano state ordinate;

ma di queste, tre delle quali già impostate sugli scali, fu subito saviamente sospesa la costruzione per concentrare ogni sforzo sull’ultimamento delle navi in allestimento.

Di maniera che durante il periodo della neutralità la nostra squadra di linea si accrebbe di cinque dreadnoughts per 113.000 tonnellate, con un aumento del 96 per cento del tonnellaggio di corazzate.

Avevamo tre soli esploratori per tonnellate 10.700:

ne abbiamo aggiunti altri 9, velocissimi, per tonnellate 12.300;

un altro potrà, fra pochi mesi, entrare in servizio, ed altri 5 sono stati ordinati, per altre 11.300 tonnellate.

I cacciatorpediniere erano 32 per tonnellate 15.000;

ne sono entrati in servizio 12 per tonnellate 9.000, ne sono stati ordinati 22 per tonnellate 17.600.

Le torpediniere erano 67 per tonnellate 10.600;

19 ne sono state aggiunte per tonnellate 2.800 ed altre 10 entreranno in breve tempo in servizio.

Avevamo 18 sommergibili per tonnellate 3.900 all’inizio della conflagrazione europea;

da allora 51 unità sono entrate a far parte della flotta, per tonnellate 13.800 con un aumento del 350 per cento nel tonnellaggio, e di altre 16 per tonnellate 9.300 si attende all’approntamento.

I 250 motoscafi armati che oggi possediamo sono tutti entrati in servizio dopo lo scoppio delle ostilità;

ed altri 100 ne sono stati ordinati:

ad essi è essenzialmente affidata la lotta contro i sommergibili.

Questo nuovo tipo di battello guerresco è molto discusso all’estero, ed ha avuto alterne vicende, derivanti dalle differenti condizioni strategiche dei mari ove debbono operare.

Per noi è risultato un tipo conveniente:

il recente affondamento della Wien lo prova luminosamente.

Durante la guerra si è pure creata una vera flotta di pontoni armati con cannoni dei più svariati calibri: dal 152 al 381.

Essi hanno fatto ottima prova nell’appoggiare l’ala destra dell’esercito così nello schieramento oltre Isonzo come ora sul Piave;

e qui, dove in sostanza si compie la difesa di Venezia, alla marina è essenzialmente affidata la resistenza della nostra linea nel tratto prossimo al mare.

Una ispezione da me testé compiuta mi permette di assicurare alla Camera che quella difesa è in buone mani.

Sorvolo sulla flotta delle navi minori, accennando solo a 280 dragamine, a 13 cisterne da nafta (per tonnellate 9.500), a 2 incrociatori protetti per tonnellate 6.400, prescindendo dalla quale e dal naviglio ausiliario, si può dire che il naviglio entrato in servizio dall’agosto 1914 ad oggi rappresenta il 64 per cento di quello allora esistente.

Questo aumento è tutto dovuto alle nostre industrie, poiché non ci vennero dall’estero che 15 sommergibili, 200 dragamine e dei motoscafi;

e ciò non è poco per noi non ricchi di industrie e poveri di materie prime.

Se per mezzi navali la marina fu provvida e solerte, debbo confessare che incertezze vi furono nella produzione dei mezzi aerei;

a questo però io mi lusingo di porre in breve radicale riparo, potendo anche contare sul valido aiuto del commissario generale per l’areonavigazione, onorevole Chiesa.

Quanto agli approvvigionamenti, debbo particolarmente menzionare i combustibili, dei quali la marina, con esemplare previdenza, seppe accumulare ingenti quantità precedentemente alla guerra a prezzi incomparabilmente inferiori agli attuali;

tanto che si è potuto, in periodi di eccezionale urgenza, sopperire ai bisogni di carbone del paese per non poche centinaia di migliaia di tonnellate.

Ho detto brevemente del materiale, vi parlerò ora del suo impiego.

Non è da nascondersi un senso di poca soddisfazione che è nel pubblico di tutti i paesi verso l’opera della marina.

Persino in Inghilterra la marina è criticata, ed anco in Austria e Germania, nonostante la severissima censura.

Ciò deriva dal fatto che soltanto i tecnici possono rendersi conto dei grandi ed imprevisti mutamenti sopravvenuti nella condotta della guerra navale, in cui l’avvento dei sommergibili impedisce per tutti il blocco ravvicinato.

Per quanto ci riguarda è nota la nostra inferiorità naturale in Adriatico, ove tutti i nostri movimenti, a differenza di quelli del nemico, debbono avvenire allo scoperto, esposti ad ogni insidia, come pure che l’orientamento politico dell’Italia per lunga serie di anni aveva imposto le maggiori cure alla preparazione bellica del litorale tirrenico.

Ciò nonostante, con le più vigili cure vennero rapidamente preparate basi navali e mezzi di difesa.

Se questo non fosse stato fatto, chi potrebbe impedire al nemico rapide e frequenti scorrerie sulle nostre coste, e sorprese nelle nostre basi, come quelle a noi riuscite ripetutamente nei suoi porti più muniti:

Sono le nostre instancabili esplorazioni dell’aria e dell’acqua;

sono gli agguati dei sommergibili tenacemente tenuti, e il continuo seminar di mine negli specchi d’acqua, innanzi ai porti nemici;

son le nostre attivissime crociere, son le nostre navi sempre pronte a prendere il mare, è il nostro ritrovato dei treni armati di cannoni, i quali rapidamente accorrono là ove la costa è minacciata.

E tuttavia la salda protezione è data dalla flotta.

Il grosso di essa pazientemente e silenziosamente attende la sua ora;

e non è lieve compito tenerne gli equipaggi allenati, pronti e fidenti nella vittoria.

Con orgoglio e vivissimo compiacimento affermo che i nostri marinai rispondono egregiamente a questo loro dovere, dimostrando di possedere doti di animo e di cuore, la cui mancanza negli equipaggi nemici ci è rivelata dagli ammutinamenti di Wilhelmshaven, dai rifiuti di Kiel ad imbarcar sui sommergibili, dai disordini e dalle defezioni di Pola.

Un arduo nuovissimo compito è stato, dalle mutate condizioni della guerra navale, affidato alla flotta;

la protezione del traffico marittimo dalle insidie sottomarine.

Ed io penso che gran parte delle critiche rivolte alla nostra marina dipende dall’imputare quasi esclusivamente ad essa le strettezze in cui trovasi la vita del paese.

Invece nessuna nazione ha provveduto meglio di noi alla difesa del traffico, tanto che i nostri metodi e le nostre direttive sono stati encomiati ed adottati dagli alleati.

Il sistema delle navi pattuglia sulle rotte consigliate, già adottato dall’Inghilterra, diede risultati assai poco confortanti.

Noi abbiamo creato sulle coste tirreniche e joniche 150 posti di rifugio convenientemente armati ed equipaggiati;

e gli specchi d’acqua antistanti sono vigilati da numerose vedette.

Sono 15.500 uomini con 600 cannoni, oltre a 400 ufficiali, che attendono a tali servizi.

Prescrivemmo speciali rotte costiere, dopo lunghi e pazienti studi degli specchi d’acqua minati, e noi per i primi facemmo navigare in convogli, scortati, le navi mercantili, ormai tutte armate.

Le nostre perdite, che dall’inizio delle ostilità a tutto l’ottobre scorso ammontano a 189 piroscafi per tonnellate 578.000, son presso a poco pari a quelle della Francia ed inferiori di gran lunga, non solo a quelle dell’Inghilterra (1.893 piroscafi per tonnellate 5.370.000), ma anche a quelle della neutrale Norvegia (piroscafi 486, tonnellate 771.000).

Certo le nostre perdite son gravi;

ma contro di noi si accaniscono in modo speciale i sommergibili nemici, assecondando il programma degli Imperi centrali di assestare all’Italia un colpo definitivo;

ma io posso in coscienza affermare che i danni sono stati ridotti, e più lo saranno tra breve, per lo sforzo continuo e gli accorgimenti della marina, intesi ad accrescere i mezzi di difesa specialmente aerea.

Tra breve potremo avere parecchie centinaia di velivoli, in aggiunta ai pochi attuali, e molti dirigibili da esplorazione e da scorta, dei quali i primi 6 son già in servizio ed altri 20 in costruzione saranno prossimamente consegnati.

Specialissime misure sono state adottate per assicurare il traffico dei ferry-boats nello Stretto di Messina;

esse furono riconosciute sufficienti da una commissione di cui facevan parte onorevoli rappresentanti della Camera.

Così pure è assicurata la polizia del mare pel traffico con l’Albania e la Macedonia con numerose pattuglie di siluranti, drifters, vedette, motoscafi, dragamine ed esplorazioni aeree;

l’insieme di tali provvidenze ha ridotto al minimo le perdite, in grazia anche del valore degli uomini.

Basterà a provarlo il rilevare che nel 1916 su 1.800 viaggi tra l’Italia, l’Albania e la Macedonia furono affondati 6 piroscafi;

nel 1917, su 1.700 viaggi compiuti a tutto novembre, si ebbero solo 3 piroscafi perduti.

Venendo a parlare delle persone, debbo dire all’onorevole Salvatore Orlando che la voce pubblica non può e non deve far norma per un giusto apprezzamento del personale, che solo può derivare dalla profonda conoscenza di esso.

Non voglio escludere, con ciò, a priori, che vi possano essere attualmente dei capi non perfettamente a posto, ma soltanto da cinque mesi ho l’onore di reggere l’amministrazione della marina e desidero agire a ragion veduta; pur senza esitazioni nel provvedere.

Troppi mutamenti negli alti gradi sono già avvenuti, perché io non debba esser cauto.

Quanto alle relazioni tra il capo di stato maggiore ed il ministro, non capirei che i larghi poteri che egli deve avere in guerra possano essere esercitati senza un previo accordo col ministro che, sentendo la sua responsabilità verso il paese, com’io la sento, è geloso custode delle sue prerogative.

Debbo a questo riguardo rendere innanzi a voi tributo di alto omaggio alle rare e non comuni qualità del capo di stato maggiore della marina ammiraglio Thaon di Revel ed alla instancabile attività che egli svolge serenamente e con grande senno.

La sua carica non gli impedisce di assumere eventualmente il comando della flotta quando egli lo giudichi necessario;

ché altrimenti sia la flotta che ogni suo reparto sono condotti dal comandante di ciascuno di essi, già fin d’ora scelti per questo compito.

Ad ogni modo, benché tale stato di cose, che è quello che ho trovato, non abbia dato sinora luogo ad inconvenienti, ho in corso provvedimenti diretti a modificarlo perché con sempre maggiore sicurezza possa rispondere a tutte le necessità della nostra situazione, che è mio dovere di prevedere.

Passando ad argomenti che dirò meno seri, rispondo ora alle critiche rivoltemi dall’onorevole Sandulli.

Io avrei imboscato nella mia segreteria particolare un ingegnere Alfieri con lauto stipendio.

L’ingegnere Alfieri, della classe 1880, è stato riformato ad ogni visita per miopia grave, e lo stipendio assegnatogli è quello stabilito da precise disposizioni regolamentari;

le sue molteplici capacità, poste da vent’anni a servizio di interessi collettivi e pubblici, m’han consigliato di valermi dell’opera sua.

Quanto alla sua attività di pubblicista so solo ch’egli era redattore capo della «Nuova Rassegna» dell’onorevole Ruini;

della sua fierissima rettitudine posson far fede parecchi di voi che lo conoscon personalmente da lunga data.

Io avrei imboscato in America, con missione lautamente pagata, un figlio dell’ingegnere Pantaleoni;

conosco solo un suo fratello, ingegnere, che da oltre trent’anni vive in America avendovi acquistato credito ed autorità negli ambienti industriali e politici, che ha dato a me, come ad altri colleghi di Governo, informazioni e consigli del tutto disinteressati.

Ho creduto mio dovere di pregarlo di giovarci ancora.

Ha oltre 60 anni ed è più che milionario.

Ma dell’ufficio speciale per la propaganda della marina in guerra io avrei fatto un mezzo d’imboscamento.

Non dirò qui della complessa e vasta opera condotta dall’ufficio stesso nel paese ed all’estero.

Osserverò solo che l’ufficio, fondato e costituito dal mio predecessore, ha perduto quasi la metà del suo personale, che era di una quindicina di ufficiali, e che io non ho ancora sostituito uno solo di essi.

Sorvolo sull’appunto mosso agli ufficiali della marina sull’eventuale rifiuto al servizio di scorta al traffico nello Stretto di Messina, affermando, senza riserva alcuna, che in Marina è ignoto il rifiuto a compiere incarichi assegnati.

Si è alluso poi ad infiltrazioni tedesche facendo il nome di stimatissimi ufficiali come il comandante Conz ed il tenente di vascello Gravina.

Per le benemerenze del primo, mi sembra più che sufficiente accennare che a lui devesi...

l’acquisto dei dossiers dello spionaggio austriaco ai danni dell’Italia, trafugati a Zurigo;

per il secondo che, se la sua famiglia è imparentata con tedeschi lo è anche l’ultimo ministro di Napoleone III, l’Ollivier, e che al disopra di queste considerazioni stanno le due medaglie al valore militare guadagnatesi con un entusiasmo ed un eroismo che debbono imporsi ai più scettici.

Che cosa resta delle accuse dell’onorevole Sandulli:

Assai poco, mi pare, per colpire me, ministro;

ma già troppo più di facile accoglienza verso pettegolezzi e calunnie forse non disinteressate di quanto non comporterebbero, in quest’ora tragica, la dignità e l’onore di rappresentante della nazione.

Onorevoli deputati, ho finito e vi ringrazio di avermi con benevolenza seguito, ben più grato se vi avrò convinti che la marina ha risposto al suo compito.

I suoi ardimenti non sono sminuiti per la snervante attesa, ed una prova l’avete appena avuta con l’episodio della Wien, affondata mentre sorgeva all’ancora sicura in un porto munito.

Marinai ed ufficiali sanno che ancora debbono essere astretti alla più dura disciplina, soggetti a fatiche intense e ad attese prostranti.

Ma essi instancabilmente perseverano, perché sanno che questa che il nostro paese combatte è lotta di vita o di morte, e orgogliosi sono che ad essi sia affidata l’azione nostra sul mare, sul quale sarà indubbiamente la fortuna avvenire d’Italia.

PRESIDENTE.

Avverte che l’ordine del giorno della seduta di domani alle ore 14 reca: continuazione del Comitato segreto;

indi si aprirà la seduta pubblica col seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo.

La seduta è tolta.

IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO MARCORA GUGLIELMI

COMITATO SEGRETO del 18 dicembre 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA

La seduta comincia alle ore 14.

PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto un congedo:

l’onorevole Di Saluzzo di giorni 5 e l’onorevole Rossi Gaetano di giorni 6, per ragioni di famiglia;

l’onorevole Borromeo di giorni 4, e l’onorevole Suardi di giorni 3 per ragioni di salute.

(Sono conceduti).

MIGLIOLI.

Parla per un fatto che non riguarda tanto la propria persona quanto l’intera Camera.

Pochi minuti fa fu aggredito da vari teppisti sulla pubblica via, che lo percossero e sputacchiarono, dicendogli che bisognava togliere dalla circolazione i deputati contrari alla guerra.

Intervennerro alcune guardie e un delegato, ai quali chiese di essere aiutato per proseguire la sua strada.

Il delegato voleva trattenerlo e condurlo in questura.

Intervenne allora in suo aiuto un signore, che seppe poi essere un giornalista, che lo aiutò a venire alla Camera.

Egli protesta contro questo fatto, che tendeva ad intimidire un rappresentante del popolo;

e lo ha riferito perché la Camera ne faccia il giudizio che crede.

PRESIDENTE.

Stigmatizza questo fatto che attesta una scarsa educazione politica.

Non può che deplorarlo e rivolgersi al ministro dell’Interno.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Non trova parole sufficienti per esprimere tutta la sua indignazione per questo atto, che qualifica criminoso.

Accerterà quali responsabilità vi siano.

Egli aveva dato disposizioni rigorose, e se responsabilità vi sono, punirà.

Questo fatto serva di monito perché non bisogna eccitare gli animi.

Il peggiore attentato contro gli interessi della patria è lo scatenare le ire di parte.

Da qualunque idea si sia mossi a ciò, è un tradire gli interessi della patria.

ROTA.

Non viene a difendere il generale Cadorna, tanto più che egli crede che dopo il maggio 1916 doveva essere sostituito, ma trova ingiusto che si voglia gettare la colpa sopra un uomo solo.

Bisogna esaminare tutte le cause con animo sereno e sgombro da passioni e preconcetti.

Egli per lunghi giorni percorse il Friuli e porta qui l’opinione precisa sua e di gran parte dei suoi conterranei profughi, che più che una disfatta militare sia stata una disfatta morale; l’anima della seconda armata era crollata.

Egli allora non avrebbe mai creduto che il nemico si sarebbe potuto arrestare sul Piave.

Il miracolo è stato compiuto:

i nostri soldati si battono in condizioni infinitamente peggiori e con mezzi infinitamente minori;

e ciò è una conferma del grande valore dei fattori morali sull’animo del soldato.

Ma sono appena passate poche settimane da quelle giornate tremende, il nemico è appena contenuto, e ci minaccia gravemente, i nostri fratelli sono ancora dispersi, ed abbiamo già ricominciato le meschine schermaglie parlamentari, e si cerca a scarico di responsabilità di gettare tutto il fardello sulle spalle di un uomo.

No, non questo attende da noi la patria;

non vendette, non ire infeconde, ma forti propositi perché vengano rimosse con prontezza tutte quelle cause che contribuirono alla disfatta di Caporetto, e perché col loro rinnovarsi le sorti della patria non vengano per sempre compromesse.

Egli porta qui la voce ed il dolore degli esuli, che una cosa conservano ancora:

la fede nei destini del loro paese e nel patriottismo dei rappresentanti del popolo d’Italia.

CHIESA EUGENIO, commissario per l’Aviazione.

Il Ministero con la istituzione del commissario generale dell’aeronautica e con i poteri che ad esso ha conferito, ha riconosciuto manifestamente la necessità e l’importanza di dare alla guerra aerea ogni maggiore impulso.

Ringrazio delle cortesi parole d’incoraggiamento dettemi da alcuni colleghi in questa discussione:

devo dire che più che audacia, è temerità l’avere assunto questo ufficio.

In altro momento l’ufficio poteva desiderarsi:

ora — ognuno l’intende — no.

Ma chi ha criticato, ha dovere di fare quando chiamato a porre in concreto, a tradurre in fatti il suo pensiero;

tanto più in questo momento tragico.

Soltanto questo senso del dovere e questa ansia di poter agire e riuscire, trova davanti a sé materia dove nulla si improvvisa, né le cose, né gli uomini;

bisogna preparare e le une e gli altri di lunga mano.

Dobbiamo per questo arrestarci:

Ciò che non è stato fatto, si dovrà fare:

ciò che fu fatto si dovrà integrare: e avanti.

Io non sono che un seminatore:

mi basterà di essere considerato un seminatore di buona volontà.

Debbo dire subito che l’atto del Ministero e del ministro delle Armi e munizioni di dare questo ufficio di indole militare — così come quello del collega Bignami — ad un civile ad un borghese, è atto che sarà parso alla Camera, non per me, ma per il ministro, coraggioso e di sana indipendenza.

Ed io, d’altra parte, debbo dichiarare che finora nell’ambiente militare, non solo non ho trovato difficoltà nell’adempimento del mio mandato, ma incoraggiamento.

Il problema è complesso:

quando si dice aeronautica, non si dice soltanto aeroplani, dirigibili, aerostati, ma si dice motori, armi, esplosivi, campi, hangars e piloti, motoristi, montatori, mitraglieri, artificieri, armaioli.

Il problema, come si vede, assume proporzioni grandiose.

Si noti che il commissario deve provvedere alla costruzione di apparecchi per la marina, per la difesa antiaerea, per la difesa oltre mare, per la colonia libica, per le scuole — numero ingentissimo e poco conosciuto — più ai suoi uffici e a dolorose questioni di persone.

C’è della temerarietà ad assumere tutto ciò.

Ad un qualsiasi dicastero si domanda un programma e un indirizzo.

Credo poco a quelli sulla carta;

penso che bisogna dare man mano tutto quello che si può, e si darà:

un programma immediato (per marzo) si è stabilito e non poteva essere che modesto;

un programma maggiore (per l’estate) dovrebbe raddoppiare il numero.

Tutto ciò è semplice:

io spero anche positivo.

Nello svolgimento di un programma vi sono però due sistemi.

Il sistema può essere quello di dire che bisogna fare molto grandiosamente e fare perfetto, oppure di fare quanto si può e come meglio.

Il primo sistema è quello che può riuscire o a dare risultati magnifici, o a non far niente ed a rovinare tutto.

Il secondo è più modesto ma, per me, più promettente.

Guardare al passato, non è il caso per ora.

Precisa linea di condotta guardare innanzi, togliere gli imbarazzi del passato senza violenze ma anche senza fiacchezza, e avanti.

Il passato ha avuto gravi torti, gravi colpe, gravi responsabilità.

Non potrei non constatarlo da questo posto.

Ma si tenga conto di tre cose;

era tutta un’arte nuova di guerra:

il ministero del Tesoro non dava: pochi ci credevano.

«La Vittoria sarà nell’aria», è la frase di moda.

Non esageriamo mai;

ci vuole anche il resto.

Non ci credevano:

Un generale (Spingardi) degli aviatori in Libia diceva:

«Ma io li ho mandati per soddisfare l’opinione pubblica:».

E un altro, dei maggiori:

«Ai miei tempi questa dell’aviazione era materia che non si studiava».

Il generale Pétain invece:

«On ne pourra pas faire d’action si on ne sera pas défendu par l’aviation».

Di questo indirizzo incerto da prima, di questa mancata credenza, ad esempio, nell’aviazione da bombardamento — contro cui non è ancora vinta in taluni la fobia — risente tutto l’indirizzo passato dell’aviazione.

Ora, apparecchi da caccia molti, moltissimi — apparecchi da ricognizione tutti quelli che occorrono — ma anche apparecchi di offesa;

ecco più che la diversità, il complemento d’indirizzo che io intendo.

Ebbene, come ci siamo preparati:

Quando si pensi che noi eravamo fino a ieri — dico ieri per dare una data precisa — in questo tipo principale da bombardamento — così nostro e così italiano - deficienti al punto che il tipo del quale su tutte le bocche sta il nome, non era definito:

soprattutto per chi li doveva montare, una cosa da niente che il più sovente si dimenticava di apprezzare.

Ho chiuso i cancelli — dentro — si deliberi, si definisca;

e si è definito con l’ingegno e la buona volontà di tecnici, di piloti, d’industriali, di costruttori.

Ma la Camera comprenderà che adesso bisogna aspettare la produzione.

E veramente questo invece si poteva fare prima.

Le capacità che confondevano le loro creazioni col compito di vigilare le altrui, e perciò si lasciavano guidare dall’errato criterio di tutelare soltanto il proprio, sono state tolte dove riuscivano ingombranti, faranno scuole o aiuteranno l’industria, ma sia ben chiaro che non sarebbero tollerabili sistemi errati che turbano il lavoro normale e creano sospetti, magari infondati, ma dannosi quanto altro mai.

La Camera sa che per dare una cifra, ad esempio, di 700 aeroplani permanentemente in azione sul fronte, bisogna contare e per consumi e per scuole e per perdite, sopra una produzione di almeno 500 apparecchi al mese:

500 mensili per 700 in opera.

Ora se la Germania ha fabbricato, come diceva l’onorevole La Pegna sulle cifre del «Times» 2.500 o 2.750 apparecchi, bisogna poi, per conoscerne l’efficienza vera, sapere quanti ne fabbrichi mensilmente;

per tenere un tal numero in linea, dovrebbe produrre almeno 2.000 apparecchi al mese.

Mi pare un po’forte e tuttavia guardiamo in faccia come se fosse la verità.

Da noi la produzione velivoli è crescente, lentamente crescente, ma dapertutto si sono eccitati gli spiriti fattivi.

La produzione, posso dire, aumenta;

sulla cifra di dicembre il gennaio cresce del 40 per cento:

su detta cifra, il febbraio di altro 10 per cento:

in totale, quindi, 50 per cento (506, 694, 745).

Quanto alla flotta aerea americana, la cifra di 25.000 sembra fantastica: è veritiera e la sorpasserà.

Questo ben inteso significa averne efficienti al fronte un numero di poco superiore a quello che si costruirà di tali 25.000 apparecchi, ogni mese;

e così supposto che l’America costruisca questa flotta, vorrà dire che essa potrà portare sul fronte 2.000 apparecchi efficienti ogni giorno, ed è colossale.

Ora il criterio dell’associazione fra gli alleati deve assumere forma concreta.

Il ministro Dallolio proponeva la conferenza interalleata, per coordinare gli sforzi degli alleati, fin dall’agosto 1917.

L’idea si è tradotta in essere a Parigi:

priorità dell’aviazione, Bureau tecnique interallié, Clearing house tecnica e d’importazione, con riunioni mensili periodiche.

Non è ancora la flotta aerea interalleata, ma è un principio che si doveva concretare anche prima d’ora.

Alla conferenza si è messo chiaro il criterio di standardizzare i tipi che gli americani hanno risolutamente abbracciati: ebbene non ha trovato il commissariato fuori di strada.

Io avevo deplorato il moltiplicarsi degli apparecchi:

ne avevamo fino a ottobre 21 tipi in linea con enorme difficoltà di rifornimenti e di materiale.

Tutto ciò per un numero esiguo di apparecchi.

Si sa, le esperienze, i tentativi, le speranze … e il resto.

Ma il concetto è oggi ben altrimenti:

questo è abbandonare i tipi invecchiati di fantasia non fermarsi sui varii S. P.; per gli apparecchi [... ]

non ci sarà dato un sol metro di cavo metallico né un tenditore.

L’America ha detto:

voi avete sperperato e non noi.

E tutti gli alleati: bisogna fissarsi su taluni tipi o su tipi equivalenti.

L’apparecchio individuale sparisce:

rimane l’audacia dell’individuo che sale al cielo, ma il mezzo è reso industriale, collettivo e così socializzato:

ne potrà sentire il nemico tutto il peso bellico.

Così indirizzati noi dobbiamo però avere materiale e carbone.

Io non posso che lodare il ministro del Tesoro;

egli ha dato autorizzazione a spendere una cifra ingente;

se si riesce a spenderla bene, io credo che egli avrà risparmiato al paese di più che non stiracchiando in un’opera dove non è possibile di limitarsi: o fare con quel che occorre, o non fare.

La cifra preventivata dal 1° novembre al 30 giugno è di un miliardo e di 200 milioni.

Non posso che indicare alla Camera alcuni criteri di impiego.

Il criterio intanto di suscitare e collegare e aiutare e facilitare tutte le energie industriali: bisogna pure un po’fidarcene.

D’altronde il ministro delle Finanze sta pronto col suo trombone del sopra profitto.

Aiutare dunque invece di osteggiare l’industria colle pratiche burocratiche;

contratti, contestazioni, garanzie, collaudi, facilitare, facilitare: ecco il criterio, pure stando cogli occhi aperti anche il mezzogiorno.

Scuole ed allievi piloti:

attualmente si hanno 15 scuole (comprese 3 di marina);

delle quali 8 in un mese verranno allargate;

sono poi in corso di costruzione altre 8 scuole;

5 si devono sistemare e 7 sono in corso di trattative, di modo che a breve scadenza si avranno ben 35 scuole.

Gli allievi piloti poi cresceranno con una proporzione di 2 a 5 pel momento e in futuro a 8.

Si avevano 21 campi che si dovettero abbandonare.

Gli hangars oggi esistenti saranno cresciuti del 100 per cento a fine di febbraio, le previsioni per l’avvenire sarebbero ipotesi più che verità concrete.

Reclutamento piloti:

oggi vi sono 19 scuole con circa 2.300 piloti.

Si istituì pure uno speciale corso accelerato per i militari delle armi combattenti ad aspiranti ufficiali di complemento piloti aviatori, e già si hanno 700 allievi a Caserta, si raddoppiò quelli destinati dal comando d’aeronautica aviatori.

Si invieranno allievi in Francia all’istituto presso Parigi delle scuole di caccia.

Inoltre vi saranno allievi americani e forse giapponesi.

Si tratterà inoltre col Comando supremo per semplificare la trafila del reclutamento in zona di guerra.

C’era una sola scuola di Caproni: ciò dimostra la tendenza antica.

Oggi che l’America ha adottato il tipo e che lo adotterà la Francia questa gloria del nome italiano, sapremo disporre, io spero, per tutta la considerazione che nel pubblico interesse egli merita.

Ma le scuole allievi piloti non sono che una parte dell’organizzazione.

Vi sono inoltre quelle del personale specializzato come motoristi, montatori ed elettricisti; di armi come i mitraglieri ed artificieri.

Qui si seconda l’iniziativa privata, si tende ad industrializzare l’istruzione come le scuole di Cameri Feltrinelli, e ne sorgeranno di nuove a Torino e Napoli, si fa a Roma una grande scuola di motoristi.

Cinquantamila uomini sono necessari per lo svolgersi di un programma che non è certo da megalomani.

Difficoltà grande è quella delle armi e degli esplosivi;

ne dobbiamo avere dagli alleati:

ne dobbiamo fare da noi: e si faranno.

Ma voi comprendete che numero enorme si richiede colla necessità che hanno oggi le macchine di essere difese in tutti i loro settori.

Il servizio dei dirigibili è meno affannoso di quello degli areoplani, ma anche qui abbiamo progresso e successi:

l’M. II (capitano Berardi del cantiere di Boscomantico) ha ottenuto il record da altezza con metri 6.200 l’8 dicembre 1917.

Per i modesti aerostieri va tributata parola di gran lode:

il loro servizio appare prezioso oggi che gli osservatori naturali mancano.

La nostra produzione dei motori è soddisfacente e soprattutto è in aumento notevole e maggiormente lo diverrà se non faranno difetto i materiali necessari.

Ma un vero voto della Conferenza interalleata invita l’Italia ad intensificare la sua produzione a motori dando carbone e materie prime per fornirne anche gli alleati.

Abbiamo in contratto motori americani Lapegne.

La difesa contro le incursioni aeree mi ha preoccupato dal primo giorno:

sono entrato nel pomeriggio al commissariato, la sera stessa facevo partire per l’Alta Italia una ispezione e ho nominato un delegato apposito per questo servizio, con tutta la buona volontà di svegliare i dormienti.

Certo diverso è l’occhio con cui si vedevano le difese antiaeree prima di ottobre e adesso;

l’onorevole Monti-Guarnieri fu tratto in errore quando parlò di un sol cannone a Terni;

ce ne sono assai di più e saranno ancora accresciuti tra breve, oltre le mitagliatrici, come ci sono più di 4 velivoli, lenti se volete, ma ciò dipende dal campo ristretto dove altri velivoli non andrebbero.

Sono già in corso le ricerche di altri campi presso Narni o Spoleto.

L’incursione del 27 settembre 1917 sugli aeroscali di Jesi fu dolorosamente maestra e vi è oggi una valida difesa di artiglierie e di velivoli.

A Narni c’è poco, ma è già disposta, e non da oggi, la postazione di ciò che è utile.

Avverto che dalla costa adriatica c’è sempre un preavviso.

Non posso elencare tutte le misure prese; le squadriglie per difesa diurna e notturna:

il concorso di tutte le scuole di aviazione;

la sostituzione graduale dei velivoli coi nuovi tipi (graduale in ordine di probabilità di incursioni nemiche);

assetto organico costituendo i gruppi di aviazione per difesa aerea.

In questi momenti potei avere 36 pezzi in più di quelli che c’erano un mese fa;

furono inoltre aumentati i proiettori, i mezzi acustici ed i telefoni.

Si addestrarono ufficiali con corsi speciali a Nettuno.

Furono creati delegati speciali, l’ingegnere commendatore Conti per la Lombardia, e l’ingegnere commendatore Ferraris per il Piemonte, si provvide all’oscuramento di città (Torino), a nuovi segnali d’allarme, a predisporre posti di rifugio, a porre dei nuovi posti di vedetta.

Le difese dipendono dai comandi di corpo d’armata e non ho esitato a sindacarle da vicino nella gente che le compone nell’interesse maggiore per la patria.

Per la difesa della Sicilia: imboscamento tutto abolito.

È in allestimento una forte quantità di materiale antiaereo, autocampale, che affluirà man mano e sarà installato secondo le necessità.

Ma intanto posso dire che per questo servizio sono già adibiti un numero notevole di difese con cannoni e mitragliatrici che spero serviranno a contrastare le vie dell’aria al nemico.

I casi Philipson non si ripeteranno al commissariato:

ho da più giorni pregato uno dei nostri più tenaci generali di fare una ispezione generale, è uomo che saprà disboscare.

Con ciò non bisogna credere che si debbano spazzare via tutti i tecnici:

se no la guerra tecnica come può prosperare:

Io ho bisogno di larghezza di esoneri dai comitati industriali;

se no, sarebbe impossibile di lavorare ad attuare un progresso qualsiasi.

La commissione mia parlamentare è costituita dai deputati Arcà, Somaini e Di Scalea; senatori Bettoni e Del Carretto; industriali Conti e Ferraris.

Stia sicuro l’onorevole Monti-Guarnieri che il commissariato non è la casa del sonno;

ci vedrà per lo meno un lume ad ogni ora.

È la veglia angosciosa che sta in tutti noi per giungere in tempo a fare una grande offensiva aerea interalleata così come fu vagheggiata, con metodiche quotidiane azioni, con comando unico, con unica organizzazione; è l’ideale.

Esige però tipi uniformi od almeno equivalenti ma esige pure una forte quantità di uomini e di apparecchi per i rifornimenti, quale sarebbe stato bene di avere accumulato da tanto tempo.

Io ho fede che possa giungere l’ora gloriosa.

Frattanto gli alleati hanno dato audaci squadriglie che si affratellano con le nostre: inglesi e francesi.

E noi diamo a nostra volta con ricambio cordiale ed apprezzato.

Ed intese maggiori sono in trattative dopo la conferenza di Rapallo.

Io confido nell’aiuto americano: esso [... ] cominciano che in materia l’alba è spuntata e ci si vede già chiaro;

tuttavia faremo con essi o senza di essi tutto il nostro dovere fin dove si può.

Il periodo delle illusioni, delle apologie, parmi che sia definitivamente tramontato.

Per parte mia cerco di conservare e di far conservare il silenzio nei ranghi, ma una sola schiera ha diritto alla esaltazione, quella che si batte, che dà la sua vita come un olocausto, di cui noi dobbiamo rendere il conto più stretto al paese.

Ebbene questa schiera si è fatta tanto più gloriosa quanto meno di mesi ha posseduto, in ragione, direi, inversa dei mesi rimasti a loro disposizione: dal 22 ottobre al 17 dicembre 76 apparecchi nemici abbattuti;

dal 25 ottobre al 25 novembre 44 azioni da bombardamento con tutti gli obbiettivi colpiti.

(Ciuffelli).

Il sacrificio delle vite perdute o di quelle sperdute è stato fatto pagare caro prezzo al nemico.

Da Baracca a Piccio, a Ruffo, Parvis, Ranza, al più modesto soldato.

Michele Vasta di Catania, che al 3° magazzino avanzato di Latisana, a guardia volontario del materiale aviatorio al Tagliamento, cadeva colpito da granata al posto stesso che si era prescelto.

Si ebbero poi 14 bombardamenti di dirigibili dal 24 Ottobre al 25 novembre:

i Dracken poi riuscirono utilissimi e valorosi.

Anche se i supremi poteri furono fin qui contrari all’istituzione dell’arma aeronautica, l’arma che invocava l’onorevole Monti-Guarnieri, verrà il giorno in cui si troverà il suo assetto insieme al suo trionfo.

Questo è il mio augurio per chi dà in essa la sua giovane vita.

e per la patria che spera di trarre da essa salute e gloria.

Io non posso che dare e darò tutto il mio fervore all’opera di preparazione che è urgente, necessaria, improrogabile.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, presidente del Consiglio.

Poiché la Camera ha voluto seguire una via diversa dalla prima del Comitato segreto, ma discutere solo alcuni argomenti riservando gli altri alla seduta pubblica, io mi riservo le dichiarazioni in questa.

Qui soltanto voglio dare risposte a domande come ministro dell’Interno e non come presidente del Consiglio.

Comincio dall’onorevole Federzoni, che ha chiesto se fosse vera una circolare Morrone, che lesse.

Dico che è vera.

Ha chiesto quali svolgimenti ulteriori ebbe.

Risponderà il ministro della Guerra.

Ha chiesto pure se la tipografia Palamenghi-Crispi, che stampava «La Concordia», fu pagata con cheques della marchesa Ricci.

Non posso né ammettere né escludere:

farò indagini più accurate.

L’onorevole Federzoni mi domanda pure se sia vero che il generale Cadorna diresse note al presidente del Consiglio Boselli, con cui denunziava propagande antibelliche dannose al paese.

Risponderà, se crede, per conto suo sua eccellenza Boselli.

Per conto mio io posso dire di sapere che tali note pervennero all’onorevole Boselli in seguito all’offensiva, svoltasi a fine maggio, primi di giugno, che ebbe eco anche in questa Camera.

Il Comando supremo, in seguito ai risultati di tale offensiva, fece la denunzia della suddetta propaganda dannosa alla compagine dell’esercito.

L’onorevole Boselli ne conferì meco in via ufficiosa.

Risposi in merito quanto dirò appresso, avendo avuto altra occasione di ripetere le stesse cose.

Qui rilevo di avere fatto presente all’onorevole presidente che quella questione era essenzialmente di Governo, sia perché la competenza del Governo civile veniva in rapporto col Comando militare, sia perché anche come Governo non poteva ritenersi una questione di sola competenza del ministro dell’Interno, ma impegnava tutto il Gabinetto, che era e doveva essere su di essa solidale.

Con ciò non intendevo attenuare, col suddividerla, la mia qualsiasi eventuale responsabilità, ma perché non potevo ammettere neanche l’ipotesi che io facessi una politica interna personale.

Quindi ritenevo che dovesse discutersi in Consiglio dei ministri, data l’importanza della questione;

e nel Consiglio doveva intervenire il Cadorna.

Di fatto il 28 settembre ebbe luogo l’adunanza del Consiglio dei ministri con l’intervento del Cadorna.

Questi espose come si era svolta l’offensiva, e fece allusione al morale delle truppe, rilevando che, specialmente nei casi del giugno, aveva lasciato a desiderare;

ciò attribuiva ad una perniciosa propaganda all’interno, che si ripercuoteva al fronte.

Io chiesi la parola e risposi al generale Cadorna parlando a lungo.

Riassumerò qui quello che dissi, e poiché erano presenti tutti i colleghi di quel Gabinetto, e sono essi ora presenti nell’Aula, io li prego di volere interrompermi se per caso la memoria mi tradisse nella riproduzione esatta dei pensieri allora espressi.

Io dissi dunque al generale Cadorna che riconoscevo con lui l’esistenza della propaganda antibellica e la qualificai nefasta.

Non potevo ammettere circa la repressione di essa una linea politica piuttosto che un’altra.

Era reato e come tale andava represso e punito, e che ciò costituiva un dovere preciso del Governo in generale e mio in particolare.

Dovevo bensì far presente che quella forma di delittuosa propaganda spesso assume forme variabilissime, di cui alcune inafferrabili, trattandosi di rapporti privati intersociali, di voci sussurrate, ecc. e come non fosse possibile al Governo di trovarsi sempre presente per mezzo dei suoi organi.

Dissi che non escludevo anzi ammettevo che, malgrado le difficoltà, l’azione dei funzionari potesse non essere stata pari al compito e che deficienze potessero esservi state.

In tal caso io avrei provveduto, cosi come sarei stato grato e riconoscente di qualunque opera in concorso colla mia, e tanto più ciò dicevo al generale Cadorna, avvertendo bensì che il valore di tale cooperazione, cosi rispetto ai fatti singoli che ad eventuali provvedimenti generali, era tanto più efficace quanto meno generiche fossero state le critiche e i rilievi.

Sempre allo stesso proposito io aggiungevo risultare a me, come del resto allo stesso Comando, che forme di propaganda esistessero fra le stesse truppe combattenti;

non solo, ma se alcune tra esse avevano nessi e rapporti con la propaganda fatta a scopi politici, alcune altre avevano caratteri tali da doverle ritenere come create dallo stesso ambiente, e in questo senso quella propaganda antibellica poteva qualificarsi militare.

E ciò io osservavo non per ritorsione verso l’autorità militare ma solo per dimostrare ancora più e meglio le difficoltà del Comando supremo a reprimere tale dannosa propaganda, essendo incomparabilmente maggiori i mezzi di repressione della disciplina militare, e in tempo di guerra, in confronto dei poteri di cui può disporre un Governo civile anche il più forte e il più severo.

Ammessa ad ogni modo l’esistenza di questa propaganda e il dovere di reprimerla, io passavo ad altro argomento, pregavo il generale Cadorna di tener presente che il morale delle truppe non dipende soltanto da quella propaganda esterna che, in nome di un partito politico, si può esercitare pro o contro la guerra, e che era pericoloso ridurre tutti i fattori alla sola propaganda politica.

Lo definii anzi un pericoloso scmplicismo.

I fattori del morale delle truppe, dicevo, sono molteplici e varii, e non solamente politici.

I fattori potevano anche essere puramente militari.

Un esempio di ciò potevasi riscontrare nella offensiva stessa del maggio - giugno, dalla quale aveva tratto argomento il generale Cadorna per fare le sue prime rimostranze.

Questo periodo passò per tre fasi:

la prima fu intorno alla metà di maggio (nostra offensiva contro l’Hermada) poi alla fine di maggio (assestamenti, offensive parziali, contrattacchi austriaci) e fine giugno (offensiva austriaca).

Nel primo periodo il morale delle truppe era elevatissimo.

Nel secondo (contrattacchi, ecc.) era meno saldo.

Nel terzo anche meno e si poté parlare quasi di defezioni.

Unico il settore ed eguale il momento.

Come poteva spiegarsi un contegno così diverso:

Il morale si cambiò quindi per ragioni militari.

(Commenti).

Ciò dicevo al Cadorna affinché rettificasse e contraddicesse.

Cadorna tacque e, dopo una battuta d’aspetto, Boselli levò la seduta.

Debbo aggiungere che per quanto chi tace consenta, ciò malgrado a seduta tolta mi avvicinai al generale Cadorna e gli dissi:

«Stia tranquillo che, pure tra grande difficoltà, le retrovie gliele assicuro».

«Sta bene — rispose — lei mi tenga sicure le retrovie, che ai soldati ci penso io».

Con ciò credo aver risposto ad una precisa domanda, non ho dato un giudizio.

Sui pacchi postali, ove si rinvennero giornali, polveri, ecc. denunziati dall’onorevole Federzoni, io non so nulla:

ho inviata la domanda al ministro della Guerra perché risponda lui.

L’onorevole Celesia ha sollevato la questione dello spionaggio circa i siluramenti delle navi sulle coste liguri.

Ho telegrafato al prefetto di Genova per chiarimenti ed eccitamenti.

Risponde che agirà con vigore sopra cittadini di nazionalità neutrale:

da accurate indagini e perquisizioni, riuscite negative, non risultò alcun fatto serio.

(Vedi lungo telegramma).

Non credo dovessi fare di più.

L’onorevole Celesia dia altri lumi ed agirò.

L’onorevole Medici ha parlato dello spionaggio dal punto di vista generale, reclamando reazione.

Io replico che sollecitamente ebbi la visione dell’organismo formidabile dei nemici, in materia di spionaggio, non appena presi possesso di Palazzo Braschi.

Vi dedicai tutta la mia energia ed attività.

Ogni uomo di Governo ha i dolori dell’ora.

Organizzai subito una difesa adatta, secondo quanto avevo esposto in una riunione al Consiglio di Stato.

Io non ritengo di aver provveduto conforme al pericolo e alla minaccia, perché l’organizzazione è tremenda e supera ogni fantasia.

Se ne vedono i terribili effetti anche in America, anzi noi non ne abbiamo avuto tanto danno.

lo faccio quel che posso contro un’organizzazione così terribile, ma tutti dovete aiutarmi perché la lotta è immane.

Io credo alla concordia nazionale, con che però tutti lavorino contro lo spionaggio e il disfattismo.

BOSELLI.

Conferma la narrazione fatta dal presidente del Consiglio.

Si è detto che egli non rispose alle note del generale Cadorna: non è vero.

Egli ha risposto per ben tre volte in merito.

Egli non poteva certo indicare i rimedi, ma conferì con i ministri competenti perché provvedessero.

Così si rivolse ai prefetti delle provincie più accusate di propaganda antibellica.

Di nuovo conferma il racconto dell’onorevole Orlando, specialmente nel punto che, interpellato il generale Cadorna se voleva o riteneva necessaria altra seduta nel pomeriggio per continuare la discussione, egli dichiarò di non averne bisogno.

Ed ora lasciate al vostro collega più anziano di dirvi che si faranno inchieste, che andremo tutti avanti all’Alta Corte, ma ora pensiamo ai nostri soldati, di cui anche l’odierno bollettino narra nuove eroiche gesta.

PRESIDENTE.

Avverte che alle 17,30 la Camera si radunerà in seduta pubblica per continuare la discussione sulle comunicazioni del Governo, ma ricordando che, per le dichiarazioni dei proponenti il Comitato segreto e del presidente del Consiglio, era stato convenuto che al Comitato segreto fossero riservate le questioni di politica militare ed estera, ed alla discussione pubblica in massima solo quelle di politica interna e di approvvigionamenti.

Si permette di raccomandare agli onorevoli colleghi inscritti per la discussione pubblica, di contenere questa nei limiti e sui temi su indicati.

La seduta è tolta alle ore 17.

IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO MARCORA MIARI

ORDINI DEL GIORNO ORDINI DEL GIORNO 1 [ 21 giugno 1917, svolto ]

«La Camera apre una inscrizione speciale di oratori sui punti da trattarsi in linea informativa in seduta segreta, riferentisi alla condotta della guerra, a materia di segreto diplomatico e ad eventuali argomenti di polizia di guerra;

consente nel concetto che le contestazioni ed osservazioni che sui detti punti avverranno in seduta segreta potranno formare oggetto di induzioni e riferimenti nelle successive sedute pubbliche, con quelle cautele e con quei riserbi che la coscienza del mandato suggerirà a ciascun oratore».

TURATI.

2 [ 21 giugno 1917, svolto ]

«La Camera delibera che la discussione sulle comunicazioni del governo si divida per materia: politica interna; politica estera; politica militare; politica annonaria;

che si segua per ciascuna materia l’ordine degli inscritti nella discussione generale e che ogni deputato possa inscriversi a parlare su ogni singolo argomento».

CHIESA.

3 [ 22 giugno 1917, svolto e ritirato ]

«La Camera, ritenuto che secondo gli articoli 3, 48 e 52 il potere legislativo è esercitato da Essa col Senato e per ciò il segreto delle sedute di ciascuna delle due Camere non può riguardare i componenti dell’altra, ammette gli onorevoli Senatori a presenziare dalla loro tribuna le sedute del Comitato segreto» CASSUTO, EUGENIO ROSSI.

4 [ 22 giugno 1917, svolto e ritirato ]

«Proponiamo che i Senatori, come membri del Parlamento, siano ammessi ad assistere dalla loro tribuna alle discussioni della Camera in Comitato segreto.

MOSCA TOMMASO, EUGENIO ROSSI, SERRA, RINDONE, PIETRIBONI, PERRONE, PANSINI, NUVOLONI, A. DRAGO, N. DE RUGGIERI, PARATORE, GIAMPIETRO.

5 (I) [ 23 giugno 1917, svolto ]

«La Camera convinta che alle ormai abituali declamazioni patriottiche in nome dei grandi supremi interessi della Patria debbasi ad ogni costo sostituire la sincerità con la fiducia vera profonda nella Nazione nostra consapevole e generosa, reclama:

a) con le modalità che saranno ritenute più convenienti:

notizie precise complete sulla situazione internazionale e bellica, e sulla difesa delle pubbliche libertà dalla minacciata dittatura militare;

b) un’azione di governo concorde, diritta, energica ed autorevole che assicuri il paese che nella sua politica estera e della guerra ha concordi gli alleati e all’interno non si alimentano le cittadine discordie;

c) una politica sulla produzione e sui consumi che non sia come fu fino ad oggi, 1 tardiva sempre, rovina delle industrie, impoverimento della produzione, dissanguante senza pietà le classi più bisognose dei lavoratori, impiegati pensionati piccoli proprietari;

d) provvedimenti militari più energici e coraggiosi per scovare i veri imboscati e senza disorganizzare i servizi specialmente quelli per le cure ai nostri valorosi feriti;

e) un’intelligente distribuzione della mano d’opera a garantire i lavori dei campi e delle officine perché il paese possa, con le sue industrie e con la sua produzione, resistere alle grandi necessità della Patria mentre forte e sicuro aspetta l’ora di una pace degna e duratura».

FERRI GIACOMO.

6 (2) [ 28 giugno 1917, svolto ]

«La Camera, udite le dichiarazioni del governo, le approva».

RAFFAELE COTUGNO.

7 (3) [ 28 giugno 1917, svolto ]

«La Camera rileva i pericoli derivanti e derivabili ai danni di una pace vittoriosa dalla politica dell’attuale Ministero Nazionale e ne afferma superata la necessità».

CIRIANI.

8 (4) [ 28 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera rinnovamento generale del sistema tributario e passa all’ordine del giorno».

TOSCANELLI.

9 (6) [ 28 giugno 1917, svolto ]

«La Camera — ritenuta l’urgenza di dare alla aviazione militare il maggiore impulso possibile — passa all’ordine del giorno».

MONTI-GUARNIERI.

10 (5) [ 29 giugno 1917, svolto ]

«La Camera udita la discussione, constata che la guerra si è rivelata incapace di conseguire i risultati di libertà e di giustizia che erroneamente ed illusoriamente le furono prestati, e passa all’ordine del giorno».

MODIGLIANI.

11 (7) [ 30 giugno 1917, svolto ]

«La Camera, riconoscendo che l’unione di tutti i partiti favorevoli alla guerra in un gabinetto è la prima condizione per mantenere integra e perenne l’efficacia di quella concordia, che anima l’esercito e il paese nel momento storico attuale, approva le dichiarazioni del Governo e passa all’ordine del giorno».

ALESSIO.

12 (8) [ 30 giugno 1917, svolto ]

«La Camera confida che il Governo, di fronte alla intensificata campagna dei sommergibili nemici nel Mediterraneo, saprà escogitare tutti i mezzi di difesa e di offesa per prevenire e reprimere la nefanda opera di distruzione».

GIUSEPPE TOSCANO.

13 (9) [ 30 giugno 1917, svolto ]

«La Camera convinta della necessità di perfezionare tutti gli elementi che devono condurre l’Italia e i suoi alleati alla vittoria, passa all’ordine del giorno».

MARAZZI.

14 (10) [ 30 giugno 1917, svolto ]

«La Camera esorta il Governo ad imprimere un più preciso indirizzo di uguaglianza di responsabilità e di equità alla giustizia militare».

GASPAROTTO.

15 (11) [ 30 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera confida che il governo provvederà con sempre maggiore intensità ai mezzi necessari per il conseguimento della vittoria definitiva e passa all’ordine del giorno».

COTTAFAVI.

16 (12) [ 30 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera ritenendo necessaria la costituzione di un governo che disciplini rigorosamente lo sforzo della nazione alla guerra passa all’ordine del giorno».

MARCHESANO. 17 (14) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera confida che il Governo vorrà usare la più scrupolosa oculatezza acciò siano osservate le disposizioni state date circa la concessione del carbone».

GAZELLI.

18 (16) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera convinta che è necessaria una più vigorosa politica di guerra e una più illuminata politica interna ed economica passa all’ordine del giorno».

L. MEDICI.

19 (17) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera, ritenuta la necessità di determinare con precisi criteri tutte le attribuzioni relative alla condotta della guerra, e ritenuta la necessità di aumentare la resistenza economica del paese, invita il governo a rendere nel doppio fine la propria azione più decisa e intensa».

DRAGO.

20 (18) [ 30 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera riaffermando la necessità di una forte politica di guerra passa all’ordine del giorno».

SILVIO CRESPI.

21 (19) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera, convinta che nell’ora presente, non giovi alla necessaria patriottica attitudine del Paese di fronte alla guerra, agitarlo con le preoccupazioni inevitabili in mutamenti che sarebbero più di uomini che di direttive politiche, confida in un’azione sempre più fattiva del Governo per la risoluzione dei problemi che il grande conflitto impone e passa all’ordine del giorno».

VINAJ.

22 (20) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera confida che il Governo saprà presidiare il fronte interno allo stesso modo che provvede per il raggiungimento dei fini della guerra e rinnovandogli la fiducia, passa all’ordine del giorno».

BOVETTI.

23 (21) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera confida che il Governo si varrà di tutte le energie intellettuali ed industriali del paese, per dare, colla maggiore rapidità, al servizio della aviazione, i mezzi potenti e copiosi, che si dimostrano ormai indispensabili per la risoluzione vittoriosa della guerra».

NAVA CESARE.

24 (22) [ 30 giugno 1917, svolto ]

«La Camera non convinta dell’efficacia dello svolgimento della politica interna, di quella dei consumi e di guerra fa voto per una più energica condotta di governo».

CARLO CENTURIONE.

25 (23) [ 30 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera invita il ministro della Marina a procedere ad una nuova inchiesta per le responsabilità del disastro della Regina Margherita».

EUGENIO CHIESA, PIETRO PANSINI, RAMPOLDI.

26 (24) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera, convinta che il prolungarsi della guerra, esigendo più intensa e più vigile nel Parlamento e nel Governo la tutela degli interessi del Paese, maggiormente imponga ai Partiti Nazionali quella solidarietà, onde ebbe vita l’attuale Gabinetto, esprime la fiducia che mercé l’opera del Governo il coordinamento di tutte le energie sia rivolto all’azione bellica pei fini supremi della guerra vittoriosa ed al futuro sviluppo economico del paese».

PANTANO, PIETRIBONI, SCIACCA - GIARDINA, CREDARO, DANTE VERONI, MAZZARELLA, GIULIO ALESSIO, FARANDA, ALBANESE, ROBERTO RAMPOLDI, SCALORI, NICOLA SERRA, ANGIOLINI, RAFFAELE COTUGNO, EMILIO GIAMPIETRO, OTTORINO NAVA, CANNAVINA, ATTILIO LOERO, ROBERTO GARGIULO, CAPORALI, FUMAROLA, ALBERTO LA PEGNA, N. DE RUGGIERI, DORE, SPETRINO, A. PARLAPIANO, F. ROTA, SIPARI, SALOMONE, AMATO, GIOVANNI AMICI, PAVIA, VICINI, VITO FAZZI, LO PRESTI, RINDONE, RUBILLI, PATRIZI, SAUDINO, SALVAGNINI, LEMBO.

27 (25) [ 30 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera invita il Governo a volere riordinare i servizi sanitari militari alla dipendenza di una direzione generale sanitaria autonoma ed alla reale e non assicurata dipendenza — almeno per lo restante della guerra — di un ministro tecnico responsabile.

La Camera augura che la riorganizzazione miri alla semplificazione burocratica, alla eliminazione degli elementi ingombranti od insufficienti, ad una maggiore valorizzazione degli elementi tecnici scientifici professionali, ad una revisione di tutti i regolamenti sanitari armonizzandoli colle moderne conoscenze scientifiche medico - legali».

BUSSI, BRUNELLI, RINDONE, PAPARO, MAZZARELLA.

28 (26) [ 30 giugno 1917, ritirato ]

«La Camera invita il Governo a prendere misure igieniche e curative atte ad impedire una maggiore diffusione del tracoma nell’esercito».

RAMPOLDI.

29 (27) [ 30 giugno 1917, non svolto ]

«La Camera, confidando che verrà maggiormente intensificata l’azione del Governo per le finalità della guerra e per la concordia del paese esprime nel Ministero Nazionale la propria fiducia».

MARCIANO, JOELE, CICCARONE, RENDA, DENTICE, VACCARO, ADINOLFI, CAO-PINNA, DI MIRAFIORI, MOLINA, N. LEONARDI, F. SOMAINI, MANFREDO MANFREDI, MAURO, CELESIA, LARUSSA.

30 (28) [ 30 giugno 1917, presentato dopo la chiusura della discussione generale ]

«La Camera riaffermando la necessità di un’azione di governo vigile e previdente da attuarsi con piena coesione e con tenace accordo di intenti e di opere nel seno del gabinetto, per meglio guidare il nobile sforzo del paese verso la pace vittoriosa e duratura, attende che il gabinetto voglia conformare il suo indirizzo e il suo ordinamento a questo scopo».

CICCOTTI, BEVIONE, GORTANI, NEGROTTO, PERRONE, LANDUCCI, G. AUTERI-BERRETTA, [ PALA ], BERENINI, E. ARTOM.

31 [ 13 dicembre 1917, svolto ]

«All’on. Presidenza della Camera.

I sottoscritti fanno istanza perché i membri del Senato siano ammessi alle sedute della Camera in Comitato segreto».

N. COLAJANNI, VALVASSORI-PERONI, GASPAROTTO, ALBERTO GIOVANELLI, CIMATI, ROBERTI, BRUNO, MANCINI, SCHIAVON, SCIACCA - GIARDINA, THEODOLI, C. RIZZONE, BONOMI PAOLO, MIGLIOLI, BOVETTI, MANGO, BELLATI, FAELLI, RAINERI, F. DELLE PIANE, SIOLI-LEGNANI, SPETRINO, NELLO TOSCANELLI, G. DE CAPITANI D’ARZAGO, FAUSTINI, G. CIANCIO, LIBERTINI, [ n.d. ], G. GOGLIO, APPIANI, F. ROTA, A. LA PEGNA, F. SALTERIO, CAPUTI, [ n. d. ], SALVAGNINI, TINOZZI, G. GIULIANI, [ n.d. ], JOELE, ROSSI GAETANO, VENINO, BOUVIER, A.

GAZELLI, MARZOTTO, GIORDANO, E. ARLOTTA, ARTOM, G. GERINI, LUCIFERO, VINAJ, GAUDENZI.

32 (2) [ 13 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera, riaffermando la sua fede nella vittoria, invita il Governo ad una politica decisamente di guerra e di riforme sociali».

RAFFAELE COTUGNO.

33 (8) [ 14 dicembre 1917, ritirato ]

«La Camera delibera di continuare la seduta odierna sino all’esaurimento della discussione del Comitato segreto sedendo se del caso in permanenza».

PIETRAVALLE, NEGROTTO, G. DE CAPITANI D’ARZAGO, FIAMBERTI, BENAGLIO, CASSIN, G. G. MORANDO, GIUSEPPE ROI, FRANCESCO CAVAZZA, VENINO, SOMAINI, G. CIANCIO.

34 (1) [ 14 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera, plaudendo ai soldati d’Italia che col senno e col sangue difendono la Patria, afferma la necessità di un severo controllo sulla condotta della guerra, che metta in chiaro tutte le responsabilità sia singole che collettive».

MARAZZI, GORTANI.

35 (5) [ 14 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera dichiara necessaria ed urgente un’inchiesta parlamentare sulle cause della disfatta di Caporetto».

CANEPA.

36 (3) [ 14 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera delibera di far procedere a rigorosa inchiesta per assodare i responsabili degli avvenimenti militari della fine di ottobre ultimo».

SANDULLI.

37 (9) [ 14 dicembre 1917, ritirato ]

«La Camera — riconoscendo gli estremi di un orribile delitto, lasciato sinora impunito, nei fatti denunciati dal deputato Canepa della fucilazione di otto soldati assoluti da un Tribunale straordinario di guerra — invita il ministro della guerra a comunicare alla Camera se gli constino i fatti denunciati e, nel caso, quali provvedimenti si siano adottati».

VERONI.

38 (10) [ 14 dicembre 1917, ritirato ]

«La Camera per accertare tutte le responsabilità degli ultimi eventi della guerra e per meglio provvedere alle esigenze avvenire delibera un’inchiesta».

CICCOTTI.

39 (6) [ 15 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera, ferma nel proposito della più assoluta lealtà verso gli alleati, non approva i metodi della politica estera del gabinetto e passa all’ordine del giorno».

ALESSIO.

40 (11) [ 15 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera constata il completo insuccesso della politica estera e di guerra seguita sin qui in Italia e passa all’ordine del giorno».

MODIGLIANI.

41 (13) [ 15 dicembre 1917, ritirato ]

«La Camera, sentite le dichiarazioni del Ministro della guerra, ritiene che per determinare le responsabilità degli ultimi avvenimenti militari, occorra di accertare anzitutto con una inchiesta parlamentare i fatti e le complesse cause che li originarono».

G. CIANCIO, ARRIVABENE.

42 (4) [ 16 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera, ritenuto che nessun soldato, abile alle fatiche di guerra, debba essere sottratto alla difesa della patria in zona di operazioni, ritenuto che purtroppo — insino ad oggi — nonostante i moniti ripetuti dalla Rappresentanza Nazionale — il Governo non abbia curato di compiere tutto il suo dovere per distruggere la piaga dell’imboscamento invita il Governo a prendere con la massima urgenza tutti i provvedimenti necessari perché la piaga dell’imboscamento sparisca una volta per sempre e passa all’ordine del giorno».

MONTI-GUARNIERI.

42 - bis (4) [ 16 dicembre 1917, non svolto ]

«Il sottoscritto richiama il Governo a più severe misure in riguardo al trattamento dei prigionieri austriaci e tedeschi in Italia e passa all’ordine del giorno».

MONTI-GUARNIERI.

43 (7) [ 16 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera invita il Governo ad eliminare con fermezza le cause dell’ultimo infortunio militare e a ricondurre l’Esercito e il Paese alla vittoria».

G. DE FELICE - GIUFFRIDA.

44 [ 16 dicembre 1917, non svolto ]

«I sottoscritti chiedono che il discorso odierno del ministro della guerra venga, come il precedente, allegato per esteso al verbale».

COLONNA DI CESARO, CARLO CENTURIONE.

45 (8) [ 16 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera delibera un’inchiesta parlamentare sulle cause militari, politiche e morali del rovescio recentemente subìto dalle armi italiane».

FEDERZONI.

46 (14) [ 17 dicembre 1917, ritirato ]

«La Camera afferma la necessità di una inchiesta parlamentare:

1) sulla condotta della guerra e in specie sulle cause prossime o remote, determinanti o concomitanti de’rovescii d’armi nel Trentino-Vicentino nel maggio 1916 e giugno 1917 e sull’Isonzo nell’ottobre 1917;

2) sul modo con cui furono esercitati dall’apertura delle ostilità in poi i pieni poteri conferiti dal Parlamento al Governo colla legge 22 maggio 1915, n. 671».

BOVETTI.

47 (15) [ 17 dicembre 1917, non svolto ]

«La Camera attende che siano presi gli adeguati provvedimenti in ordine alle responsabiltà e le misure necessarie per la difesa del paese».

RAIMONDO.

48 (16) [ 17 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera, esprimendo la sua ammirazione agli eroici combattenti che arginano l’invasione nemica, confida che cesseranno completamente quei sistemi di inutili logoramenti, di non necessari sacrifici, di minore giustizia di fronte agli estremi pericoli, che in passato poterono menomare le energie morali dei soldati».

SOLERI 49 (18) [ 17 dicembre 1917, non svolto ]

«La Camera confida nell’esercizio di una maggiore vigilanza sulle coste calabro-sicule contro le insidie dei sommergibili».

LARUSSA, DRAGO, TASCA, CASALINI.

50 [ 17 dicembre 1917, ritirato ]

«La Camera ferma nei doveri che sono oggi imposti dalla guerra nazionale aspetta dal Governo che la rassicuri che Egli ha la veduta completa di tutti gli interessi del Paese e possiede i mezzi per il loro pieno adempimento».

CALISSE.

51 (12) [ 18 dicembre 1917, svolto ]

«La Camera convinta che una delle principali cause del disastro che ha funestato le armate ed il popolo d’Italia sia derivata dall’aperto sabotaggio esercitato contro la resistenza del Paese senza un’adeguata difesa da parte degli organi responsabili invita il governo a più vigile energia».

ROTA.