Voci della Grande Guerra

Comitati segreti sulla condotta della guerra: giugno-dicembre 1917 Frase: #1772

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AutoreCamera dei deputati
Professione AutorePolitico
EditoreArchivio storico della Camera dei deputati
LuogoRoma
Data1967
Genere TestualeRelazione
BibliotecaBiblioteca di Area Umanistica dell'Università di Siena
N Pagine TotIX, 249
N Pagine Pref9
N Pagine Txt249
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COMITATO SEGRETO del 21 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA

La seduta incomincia alle ore 14.

PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto congedo gli onorevoli:

Salandra, di giorni due, per motivi di famiglia;

Ottavi di giorni 25;

Lucchini, di giorni 20;

Rubini di giorni 15 per motivi di salute.

(Sono accordati).

Comunica che l’onorevole Rubini è stato colpito da grave malore.

Si è affrettato ad assumere notizie a nome della Camera, e queste purtroppo non sono confortanti.

Tuttavia augura che abbiano ad essere migliori.

TURATI.

Domanda la parola sulla procedura della discussione.

Sostiene che si debba stabilire quali argomenti, con quale ordine e da quali oratori debbano essere svolti nel Comitato segreto.

Pensa che la politica interna e gli approvvigionamenti debbano essere trattati in seduta pubblica ed essere riservate al Comitato segreto la condotta della guerra, la politica estera e la polizia di guerra.

E tutto ciò dovrebbe essere determinato con uno speciale ordine del giorno.

Aggiunge che il resoconto sommario della seduta della Camera di ieri non è esatto, perché egli non disse che i suoi amici non avrebbero serbato il segreto.

Desidera che i verbali siano riveduti dagli interessati.

PRESIDENTE.

Osserva che ieri la Camera, respingendo la pregiudiziale del deputato Berenini, ha stabilito che la discussione avvenga sulle comunicazioni del Governo, sulle quali è già stabilito l’ordine di inscrizione degli oratori, e si augura che coloro che non hanno argomenti da trattare in Comitato segreto rimetteranno il loro discorso alla discussione dell’esercizio provvisorio.

Ad ogni modo osserva che in fine di seduta la Camera può determinare l’ordine della discussione della seduta susseguente.

Egli quindi deve dare la parola al primo degli inscritti.

BARZILAI.

Concorda in parte col deputato Turati.

Ritiene che bisogna trovare una linea di demarcazione fra gli scopi del Comitato segreto e la seduta pubblica;

quindi, mantenendo l’ordine degli inscritti, debbono parlare soltanto coloro che hanno argomenti riservati:

gli altri parleranno in seduta pubblica.

PRESIDENTE.

Osserva che il deputato Barzilai consente con quello che egli ha detto in precedenza.

Insistendo il deputato Turati, dà lettura del seguente ordine del giorno:

«La Camera apre una inscrizione speciale degli oratori sui punti da trattarsi in linea informativa in seduta segreta, riferentisi alla condotta della guerra, a materia di segreto diplomatico e ad eventuali argomenti di polizia di guerra;

consente nel concetto che le contestazioni ed osservazioni che sui detti punti avverranno in seduta segreta, potranno formare oggetto di induzioni e di riferimenti nelle successive sedute pubbliche con quella cautela e con quei riserbi che la coscienza del mandato suggerirà a ciascun oratore».

CHIESA EUGENIO.

Propone che la discussione sia divisa per materia.

MARANGONI.

Desidera che sia fissato l’ordine della presente discussione a seconda che si tratti di politica estera o di politica interna o di condotta di guerra.

BARZILAI.

Sostiene che sarebbe necessario che il Presidente interpellasse i varii oratori inscritti per sapere se gli argomenti che essi intendono trattare debbano essere svolti in Comitato segreto o in seduta pubblica.

PRESIDENTE.

Comunica che l’onorevole Turati insiste perché venga messa in votazione la prima parte del suo ordine del giorno.

Ne dà lettura:

«La Camera apre una inscrizione speciale di oratori sui punti da trattarsi in linea informativa in seduta segreta, riferentisi alla condotta della guerra, a materia di segreto diplomatico e ad eventuali argomenti di polizia di guerra».

(Dopo alcune osservazioni dei deputati Torre e Nava Cesare, il Presidente mette ai voti per alzata e seduta la prima parte dell’ordine del giorno del deputato Turati.

Il Governo dichiara di astenersi.

La Camera approva a maggioranza l’ordine del giorno del deputato Turati).

PRESIDENTE.

Alle ore quattordici e 45 sospende la seduta perché gli oratori che intendono partecipare alla discussione in Comitato segreto possano inscriversi.

(La seduta si riprende alle ore 15).

CORNIANI.

Ricorda le speranze destate nel paese dalla costituzione del Ministero nazionale e quindi la impressione suscitata dal dissidio sorto ultimamente nel seno di esso Ministero, i cui membri di parte più avanzata ebbero a pronunciarsi contro l’onorevole Sonnino, la cui opera invece ha riportato l’unanime approvazione della Camera, e contro l’onorevole Orlando, a torto accusato di eccessiva tolleranza verso i sabotatori della guerra.

Certo nessuna tolleranza contro i nemici della guerra può essere consentita;

ma occorre pur rilevare che dai comitati interventisti si irradia una campagna anticlericale e anticapitalista, entrambe esiziali alla tranquillità del paese.

Il Governo non deve lasciarsi imporre da nessuno;

deve mantenersi lontano dalla violenza come dalle debolezze;

tanto più che spesse volte chi assume di parlare a nome di una classe o di una città non rappresenta che una piccola minoranza.

Così non potrà dirsi davvero che l’onorevole Pirolini rappresenti l’opinione pubblica di Milano:

Una critica più fondata si potrebbe fare alla politica dei trasporti, a quella degli approvvigionamenti, alla politica agraria.

La nostra campagna merita maggiori riguardi nei prezzi di requisizione e nella questione degli esoneri per gli agricoltori.

Gli uomini di Governo non debbono far prevalere le loro speciali tendenze.

Così assolutamente inopportuno sembrò a molti l’intervento di due ministri al congresso socialista riformista e la promulgazione per semplice decreto luogotenenziale della nuova legge sulla importantissima materia delle acque pubbliche, fatta dal ministro Bonomi.

Tutti, governanti e cittadini, debbono essere animati da una fede sola: quella che muove i nostri eroici soldati.

RUINI.

Chiede venia alla Camera se ogni cosa che dirà non sarà una novità e una rivelazione.

Parlerà con maggiore libertà che in pubblico, semplicemente.

Prima questione: quella militare.

È chiaro ormai che l’Intesa non vince per fame, economicamente, il nemico.

Il blocco c’è;

ma i sommergibili, microbi del mare, distruggono ogni anno 10 dei 40 milioni di tonnellate del naviglio mondiale, e non se ne ricostruiscono che 5.

Il nemico è un insieme geografico che basta quasi a se stesso.

Ha un certo equilibrio per i cereali;

mentre l’Intesa ne ha bisogno quest’anno di 140 milioni dall’America.

Come acciaio il nemico ne produce il 20 per cento più di noi, e ci soccorre l’America che produce, sola, più che l’Europa intera.

Per fame non si vince il nemico.

Occorre la guerra militare.

Come si sostituisce la diminuita efficienza russa:

Come si utilizza bellicamente il concorso americano:

E meglio si può giovare l’Europa occidentale delle sue forze:

Non chiede dettagli;

ma l’assicurazione che un programma c’è, che dia seria previsione di poter sfondare su un punto che potrebbe essere il fronte italiano;

e noi manterremo la resistenza del paese finché occorra alla vittoria.

Si deve contare molto sugli aeroplani.

Bisogna considerare l’aviazione non come un mezzo secondario, ma come uno sforzo diretto a distruggere la superiorità del munizionamento nemico, che, ad esempio, per la parte siderurgica si svolge per il 60 per cento lungo il Reno.

Poco dirà della politica estera.

La guerra è sempre quella di principio:

non è una guerra nuova e diversa.

Ma si è venuta facendo una chiarificazione di scopi verso i principii essenziali formulati da Wilson.

Quando scoppiò la guerra, che fu voluta dal nemico, tutte le questioni internazionali furono messe sul tappeto, ed era giusto che l’Intesa tutte le considerasse;

ma or si vanno riducendo ad un minimo essenziale.

E l’onorevole Sonnino, mentre ha giustamente e con fermezza rievocato le nostre essenziali rivendicazioni, ha mostrato di sentire la concezione vasta, wilsoniana, di questa guerra.

Ma quale è la risposta d’Italia alla domanda della Russia di rivedere i patti, e quale è l’atteggiamento di fronte ad alleati nostri in questioni come la balcanica:

Sul terzo punto, la polizia di guerra, che riguarda la resistenza interna, occorre la concordia nazionale basata sulla corresponsabilità.

Non vi debbono essere né sottintesi né monopoli.

Non sottintesi, di chi desideri quasi l’insuccesso per giustificare le meno liete previsioni di un tempo;

non monopoli, di chi consideri la guerra come cosa sua, come modo di fare fortuna politica o personale, e diffonda veleno e voglia dividere ciò che deve essere unito.

Ecco perché non è favorevole a crisi;

perché teme aprano adito ad incertezze e deviazioni.

La linea della politica interna è buona, per quanto occorra rinforzare organi e fortificare esecuzioni.

Il problema della polizia di guerra è problema tecnico di organizzazione.

È difficile provvedere:

mancano 500 uomini nei posti direttivi, e il reclutamento nei bassi è deficiente.

Tuttavia occorre provvedere.

E sopratutto badate al cambio.

La Germania fa pagare le sue esportazioni alla pari e compra per le importazioni fornendo a prezzi speciali le sue ditte di valuta estera.

Ciò dimostra come il cambio può essere fronteggiato.

Il paese vuole fermezza ardita, ma vuole concordia.

CHIESA EUGENIO.

Rileva che le ragioni del dissenso della sua parte politica col ministro degli Esteri sono le stesse che ebbero a manifestarsi allorché si determinò la crisi che condusse alla formazione di questo Ministero.

La concezione della parte repubblicana rispetto all’assetto della costa adriatica nella zona d’Albania ha trovato una soluzione inaspettata ed improvvisa, della quale però ieri il ministro degli Esteri ha dato una versione molto attenuata e ridotta.

Nel discorso di ieri l’onorevole Sonnino si è imposto delle riduzioni, delle restrizioni, delle quali la stampa ed il paese hanno già mostrato di tenergli conto.

In sostanza la ragione del dissenso è qui:

la politica estera del nostro paese non può e non deve essere politica personale.

L’onorevole Sonnino con la sua proclamazione dell’indipendenza albanese, del 3 giugno, ha compiuto un atto che non può davvero essere riconosciuto come inspirato a criteri di serietà e di opportunità, sol che si consideri che tre quarti dell’Albania sono ancora nelle mani del nemico.

Quali confini d’Albania ha preteso segnare in quel proclama l’onorevole Sonnino:

Vi è un’Albania determinata nella sua estensione dalla Conferenza di Londra, ma si dovrebbe ritenere che quella dell’onorevole Sonnino è più estesa, più grande.

Se avessimo imitato i nostri generali, che nelle occupazioni territoriali che andavano compiendo inalzavano accanto alla nostra la bandiera albanese, nessuna opposizione, nessuna obbiezione si sarebbe potuto muovere all’opera nostra.

Ma il proclama di Argirocastro muta completamente la situazione:

non più occupazione a soli scopi militari.

No, oggi non è più questo:

oggi è protettorato.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Non c’è nulla di mutato.

La parola protettorato non è stata mai pronunciata.

Non ho avuto nessuna protesta dagli alleati, ai quali naturalmente ho dato i chiarimenti, che voi avete sentito, forniti alla Camera.

I confini di Albania saranno determinati dalle potenze che parteciperanno al congresso della pace.

CHIESA EUGENIO.

Ricorda la discussione avvenuta alla Camera inglese a proposito della nostra proclamazione sull’Albania;

e non ha alcuna ragione di nascondere che questo nostro atto è in aperto contrasto col Governo francese, e quindi, nell’attuale momento, non è inspirato ai veri interessi del nostro paese.

Egli del resto non può essere sospettato, perché come si è recato dall’onorevole Sonnino a denunciare atti del Governo francese compiuti in Albania ed in Macedonia non in armonia con gli interessi italiani, così egualmente non ha esitato a compiere lo stesso atto di protesta verso suoi amici, non membri del Governo francese.

Certo l’atto dell’onorevole Sonnino appare atto unilaterale, mentre avrebbe avuto bisogno della sanzione degli alleati.

Quale sarà la forma del nuovo Governo albanese:

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Lo decideranno gli Albanesi.

Lo deciderà l’Europa.

CHIESA EUGENIO.

Avete esclusa Vallona e la sua baia dal protettorato, ed avete fatto bene, perché essa deve essere cosa nostra.

Nessuno del resto, né gli alleati né Venizelos stesso, ce la contestano.

Ma non possederete Vallona se non possederete anche il suo hinterland, le necessarie tutele della sua difesa.

La vostra proclamazione di oggi pregiudica la necessità nostra di rivendicare domani quella zona che a noi sembrerà necessaria per la sicurezza del nostro possesso.

Il ministro degli Esteri anche per l’Albania deve inspirarsi ad una politica democratica.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Il principio democratico è: l’Albania agli Albanesi.

CHIESA EUGENIO.

È la sua parte politica che si è sempre inspirata a questi criteri, quando altri o non vi pensavano o deridevano l’azione nostra in Albania.

Ritengono alcuni che alla diffidenza dell’onorevole Sonnino di fare una politica di Gabinetto dia pretesto il grande numero dei ministri;

e che ora uno dei patti di concordia del Gabinetto ricostituito sia quello di non sottrarre la politica estera al controllo dell’intero Gabinetto.

L’onorevole Sonnino non è poi ben circondato:

egli ha ancora tra i suoi funzionari di Gabinetto dei triplicisti.

(Interruzioni).

Voci.

Barrère:

Barrère:

CHIESA EUGENIO.

Io non ho visto Barrère dal tempo della nostra neutralità;

quando, e l’onorevole Salandra lo sa, egli lavorava perché la neutralità fosse rotta.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Quando l’Italia era nella triplice, ero triplicista anch’io.

CHIESA EUGENIO.

Questo genere di antica diplomazia che il ministro mantiene anche all’estero, danneggia il paese.

Critica l’atteggiamento del ministro circa le nostre missioni in America ed in Russia.

Ricorda che dei colleghi andati in Russia due soli avevano il passaporto diplomatico ed uno, il Cappa, no.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

I passaporti diplomatici oggi non si danno più se non a coloro che hanno incarichi ufficiali dal Governo.

I nostri colleghi sono andati in Russia per incarico dei rispettivi partiti, col compiacimento sì del Governo, ma non per suo incarico.

CHIESA EUGENIO.

Desidera inoltre che il Governo dia comunicazione dei nostri impegni circa la spedizione in Palestina.

Non può approvare che risoluzioni di tale gravità non siano prese con deliberazioni di Gabinetto, ma restino iniziative individuali del ministro degli Esteri.

Domanda inoltre spiegazioni su quella che può chiamarsi politica di piccola concorrenza con la Francia in Albania.

Deplora ancora che tra noi e gli alleati francesi non si trovi una via d’accordo leale e cordiale per appianare difficoltà, chiarire equivoci, procedere d’amore e d’accordo.

Occorre prevenire e provvedere perché non si ripetano incidenti dolorosi come lo sgombro deplorevole delle nostre truppe da Durazzo, dovuto ad una errata concezione da parte del ministro degli Esteri della situazione nostra in quella località.

L’indirizzo della politica internazionale è stato particolarmente mutato dalla rivoluzione russa e dall’intervento americano.

La formula della risoluzione per noi non può essere che una: delenda Austria.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Io non ho mai dichiarato ciò.

Sarà, non sarà, non lo so:

io non l’ho mai dichiarato.

CHIESA EUGENIO.

Sarà bene dire chiaro la concezione nostra riguardo all’Austria.

Ai nostri ideali di Trento, di Trieste, della Dalmazia non si giunge se non attraverso la distruzione dell’Austria.

Il ministro degli Esteri dovrebbe formarsi una collettività direttiva per la politica estera.

Non può e non deve essere una persona sola, che può errare, come ho dimostrato che ha errato più volte.

La politica nostra nei riguardi della Grecia deve tener conto delle aspirazioni di quel popolo, al quale appartiene indubbiamente Corfù.

Così, stabilita saldamente la nostra occupazione a Vallona, non dobbiamo contrastare la riunione di tutto l’Epiro alla Grecia.

Né possiamo astrarre da Venizelos, il quale tornerà, perché rappresenta la tesi nazionale greca.

E non dobbiamo trattare i piccoli Stati come quantità trascurabili:

non la Grecia, non la Serbia, che deve essere considerata sopratutto come potenza nemica dell’Austria.

Qualche domanda deve rivolgere poi al ministro della Guerra.

Occorre dare alle truppe la sensazione che noi abbiamo tutto quello che è necessario per vincere.

Si dice che le ultime operazioni sul Carso furono arrestate per difetto di munizionamento.

Certo nelle ultime operazioni abbiamo avuto fatti deplorevoli, derivanti appunto da questo modo con cui le operazioni stesse furono arrestate.

Vi è stato un numero troppo grande di prigionieri nostri caduti nelle mani del nemico.

Occorre spiegare la portata della circolare 4 maggio 1917 del Comando supremo, che sospendeva le licenze per la Sicilia.

Occorre dirigere tutta la nostra attività all’aviazione.

Il ministro deve comprendere la necessità urgente della più rapida fabbricazione di grandi apparecchi da bombardamento.

Ed occorre far presto per assicurarci questa superiorità almeno, prima che il nemico ci possa raggiungere.

DALLOLIO, ministro delle Armi e munizioni.

Procederemo senza ritardi e senza esitazioni per conseguire gli scopi accennati dall’onorevole Chiesa.

CHIESA EUGENIO.

Desidera chiarimenti sulla questione di alcune promozioni di ufficiali superiori che sono al di là di ogni limite di merito.

Assistiamo a promozioni di ufficiali che eccedono infatti la normale possibilità;

ed esse riflettono sempre ufficiali addetti al Comando supremo.

Il caso del generale Tagliaferri è veramente tipico.

Gli ufficiali effettivi sono in troppo gran numero negli uffici:

in troppo pochi al comando di truppe nell’esercito operante.

Occorre infine che tra Governo centrale e Comando supremo si stabilisca una intimità di rapporti, che certo fino ad ora è completamente mancata, sì che uno pareva estraneo all’altro.

L’indirizzo della guerra deve essere compenetrato, deve formare un insieme inscindibile con l’indirizzo del Governo.

Questo vuole, per la vittoria, il Parlamento e il paese.

FAELLI.

Deve parlare dell’Albania che fu il punto oscuro di partenza della crisi attuale, alla quale egli ed i suoi amici furono estranei.

Non farà critiche acerbe, dovendo fare un elogio all’onorevole Sonnino per il suo diuturno lavoro patriottico.

Non crede che questo fosse il momento di proclamare il protettorato lasciando incerta la forma di governo che dovrà reggere quel paese.

Lamenta che gli alleati manchino di cordialità con noi.

Non crede allo spirito di indipendenza degli Albanesi:

in essi domina invece una tendenza alla anarchia dovuta alla orrenda dominazione turca.

Al protettorato, che rappresenta una umiliazione e che implica spese, preferiva l’amichevole penetrazione che era stata iniziata dopo la Conferenza di Londra.

Dà lettura di alcune sue impressioni su un viaggio fatto in Albania.

Il proclama di Argirocastro fu per tutti una sorpresa, compresi i ministri.

Desidera che il Consiglio dei ministri ed il Parlamento siano meglio informati e consultati.

Egli ed i suoi amici desiderano una giusta pace che reintegri la patria nei suoi giusti confini.

Per il suo conseguimento sapranno attendere ed operare;

ma vogliono che sia rispettato il regime parlamentare, che sapranno difendere contro tutti.

GRABAU.

Ricordando le comunicazioni del Governo, nota come l’applauso della Camera abbia ben marcato la sua approvazione alla politica dell’onorevole Sonnino.

Tale applauso è approvazione del programma, è plauso all’uomo di azione.

Egli nota però che tale programma preciso di azione manca specialmente per tutta la politica militare e la polizia di guerra.

Il Governo con la sua azione sconnessa, saltuaria, piena di ritardi, non giova alla resistenza del paese, che è la base della vittoria.

Occorre una propaganda a base di giustizia che ritorni ad imperare sui varii provvedimenti e sopratutto sugli atti dell’amministrazione della guerra.

Invece, non solo l’applicazione pecca per ritardi, privilegi, lacune, ecc., ma peccano spesso i decreti stessi, che costituiscono talora provvedimenti poco giusti.

Esamina varie circostanze riguardanti la chiamata sotto le armi delle classi 1874, 75, 98, 99 e ne denuncia gli inconvenienti.

È necessario che si senta nella polizia militare e nella politica interna un programma netto ed una linea di azione energicamente perseguita.

In questo vi è solo posto per gli uomini di azione, e perciò il popolo plaude a Sonnino, che è uomo di azione e di carattere, per le stesse ragioni plaude al generale Cadorna e vuole egualmente poter plaudire ad un governo che non parli ma faccia.

PRESIDENTE.

Propone che la Camera autorizzi la Presidenza a ricevere le relazioni ed i progetti di legge.

(La Camera approva).

La seduta termina alle ore 18,55.

IL PRESIDENTE MARCORA

IL SEGRETARIO VALENZANI

COMITATO SEGRETO del 22 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA

La seduta incomincia alle ore 14.

Si dà lettura del processo verbale della tornata di ieri, che è approvato.

PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto congedo:

l’onorevole Venino di giorni 8, per ufficio pubblico;

l’onorevole Celli di giorni 30 per motivi di salute.

(Sono accordati).

Comunica un telegramma di ringraziamento dell’onorevole Soleri per la dimostrazione fattagli dalla Camera per essere stato ferito e decorato sul campo di battaglia.

Comunica che il prefetto di Milano gli ha telegrafato che le condizioni di salute dell’onorevole Rubini permangono gravissime.

Prima di dare la parola all’onorevole Mosca Tommaso, che l’ha chiesta, avverte che se egli intende parlare della ammissione dei senatori al Comitato segreto nella loro tribuna, egli deve premettere che il provvedimento preso di escluderli fu concordato col Presidente del Senato.

MOSCA TOMMASO.

Insiste perché i senatori, come membri del Parlamento, siano ammessi ad assistere dalla loro tribuna alle discussioni della Camera in Comitato segreto.

Di ciò presenta formale proposta, firmata pure dai deputati Eugenio Rossi, Rindone, Pietriboni, Perrone ed altri.

MODIGLIANI.

Si associa alla proposta del deputato Mosca.

CASSUTO.

Ritiene che secondo gli articoli 3, 48 e 52 dello Statuto il potere legislativo è esercitato dalla Camera col Senato e perciò il segreto delle sedute di ciascuna delle due Camere non può riguardare i componenti dell’altra.

Propone quindi che siano ammessi i senatori a presenziare dalla loro tribuna le sedute del Comitato segreto.

CHIMIENTI.

È invece d’avviso che la materia debba essere regolata esclusivamente dai Presidenti delle due Camere.

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Richiama l’attenzione della Camera sulla delicatezza della questione sollevata, che deve essere risolta solo dalla Presidenza delle due Camere anche per non creare precedenti che potrebbero essere invocati in avvenire con danno della libertà di discussione di ciascuna di esse.

Fa notare che il regolamento del Senato all’articolo 70 stabilisce che solo i Ministri del Re hanno diritto di intervenire nel Comitato segreto.

(I proponenti dietro invito del Presidente ritirano le loro proposte.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo).

ROTA.

Ricorda che più volte si è parlato nel paese della necessità della propaganda all’estero sull’azione spiegata dall’Italia in questa guerra e sui motivi che l’hanno decisa ad intervenire.

Trova che questa propaganda è fatta con mezzi insufficienti ed ha diverse manchevolezze.

Crede che l’opera del ministro Scialoja, preposto a questa propaganda, dovrebbe integrare e coordinare quella degli organi militari a ciò delegati.

Dovrebbe inoltre iniziare una propaganda nelle classi dirigenti dei varii paesi, creando nelle capitali estere degli uffici incaricati di spiegare le ragioni del nostro intervento, le difficoltà della nostra guerra ed i risultati conseguiti.

Cita opinioni completamente sbagliate diffuse all’estero sull’Italia.

Crede che una propaganda fatta bene influirà a nostro favore anche sulle trattative di pace.

Confida che il Governo saprà svolgere in avvenire un’azione più intensa nel senso da lui patrocinato.

PIROLINI.

Vorrebbe che fossero istituite delle Commissioni parlamentari per collaborare col Governo, dal quale vuol conoscere quali sono le previsioni e le intenzioni per la buona condotta della guerra sotto tutti gli aspetti.

Bisogna rendersi conto della realtà della nuova situazione, turbata dalla mancanza della Russia, ciò che ha sollevato un gravissimo problema avanti agli alleati dell’Intesa, che devono sopportare uno sforzo maggiore per l’aiuto venuto meno da parte di quell’altra alleata.

Si è commesso un errore costituendo un Ministero nazionale, con una specie di delegazione dei partiti, ciò che non giova per aversi una energica condotta della guerra.

E questo fatto è stato aggravato dall’aver messo a capo di questo Ministero uno tra i più rispettabili membri della Camera, il decano della stessa, la cui grave età non consente lo sforzo necessario alla energica condotta della guerra.

Vorrebbe un Ministero di guerra.

Si preoccupa dell’azione delle forze contrarie alla guerra nell’interno del paese;

e ciò anche in rapporto all’azione del Governo, pel quale egli finora ha sempre votato.

Egli però non può fare a meno di tener conto delle correnti e delle manifestazioni interventiste, e delle inquietudini manifestatesi in seno a quei partiti coi quali l’oratore ha creduto doversi tenere in contatto, difendendo anche l’opera del Governo.

Riferisce alcuni episodi avvenuti nel Milanese prendendone argomento per dimostrare l’azione dei partiti contrarii alla guerra e la poco efficace azione del Governo.

Fatti simili sono anche accaduti in altre parti d’Italia, ed il fenomeno è gravissimo, perché rivolto non solo contro quelli che vollero la guerra ma anche contro coloro che han dato i loro figli alla patria.

(Interruzioni, commenti).

Il moto di Milano non può dipendere dal partito socialista, al quale egli conviene sia sfuggito, bensì dagli incitamenti e dalla subdola propaganda dei nemici, che anche tra noi si esercita intensamente.

Il fenomeno è dovuto al disagio che necessariamente deriva dalla lunga durata della guerra.

Nessun partito organizzato ha in mala fede sabotato la guerra, come nessun partito l’ha potuto creare.

Lasciamo le recriminazioni sul passato, non offendiamo noi stessi dicendo che la guerra fu imposta dalla piazza.

(Avviene un tumulto, in seguito al quale il Presidente leva la seduta).

PRESIDENTE.

Fa un caldo appello alla calma ed alla tolleranza dei colleghi ed al rispetto di tutte le opinioni, raccomandando all’oratore di non venire a rievocazioni del passato.

PIROLINI.

Riprende il suo discorso dicendo che il Governo non può essere chiamato responsabile della situazione attuale, sconvolta dal mancato concorso della Russia.

Viene a parlare della politica interna e, dopo avere elogiato l’onorevole Orlando pel suo brillante ingegno, constata che egli ha voluto fare una politica realistica, perché il Governo ha tenuto presente la conservazione dell’equilibrio tra i partiti, reso più necessario dal bisogno della maggiore resistenza del paese per il prolungarsi della guerra.

Ritiene che la Russia, pure attraverso un periodo laborioso, rientrerà nell’arringo della guerra, come lo dimostrano gli ultimi avvenimenti colà verificatisi e le dichiarazioni di quella democrazia.

D’altra parte bisogna contare sull’entrata in guerra degli Stati Uniti e sulla ferma volontà dell’Inghilterra, abituata a vincere le guerre che ha fatto.

Ed ormai sia per l’Italia che per le altre nazioni, compresa la Russia, ogni eventualità di pace separata è sorpassata.

Bisogna quindi avvistare ai mezzi per continuare efficacemente la guerra sino alla vittoria, combattendo tutte le manifestazioni che tendono a deprimere lo spirito pubblico.

Ed a proposito dei numerosi imboscati, afferma che ve ne sono pochissimi nel Mezzogiorno, dove non esistono fabbriche ed officine, mentre sono numerosi nel Settentrione per il fatto inverso.

(Applausi).

Ritorna alla politica interna, che chiama di compromessi anche verso i partiti contrari alla guerra.

Difende l’azione degli interventisti, che non sono un partito ma una affermazione di ordine nazionale.

Tra questi ed i neutralisti vi era lo Stato, il quale, invece di contemperare l’azione di queste due manifestazioni, ha mostrato di inclinare verso i neutralisti.

Accenna al processo, per alto tradimento, contro Archita Valente e compagni.

Lamenta il mancato internamento dei 4 mila tedeschi della Riviera Ligure e precisamente di San Remo.

E cita altri fatti che dimostrano la poca energia del Governo di fronte all’audacia dei nemici, i quali per questa acquiescenza credono di potere agire in Italia come in casa propria.

Lamenta la infida neutralità della Svizzera e ritiene che il Governo abbia tollerato una larghezza eccessiva verso lo spionaggio.

Ritorna a parlare di Archita Valente, che presiedette il comizio neutralista della Sala Picchetti;

a costui, vecchio e pessimo arnese di polizia, il direttore generale della pubblica sicurezza credette dovere affidare una delicatissima missione in Svizzera.

Il Valente tradiva il nostro paese, come si poté constatare, ma solo quando l’onorevole Orlando si decise a impiantare un ufficio speciale per la caccia dello spionaggio, diretto dal cavalier Gasti, allora si venne finalmente all’arresto del Valente e si iniziò il processo che oggi volge alla fine.

Questi ed altri fatti dimostrano la debolezza che vi è stata nella politica interna:

Il Governo ci darà al riguardo le sue spiegazioni e noi le apprezzeremo.

Volge un inno alla forza ed alla resistenza del popolo italiano, superiore ad ogni aspettativa;

occorre però non venga depresso dalla propaganda dei socialisti e dei preti, che troppo spesso pronunziano la parola pace.

Bisogna contrapporre propaganda a propaganda per non far crescere lo scoramento e l’abbandono.

Non vuole le mitragliatrici in piazza, ma bisogna convincere il popolo della necessità della guerra, coi fatti più che con le parole.

Bisogna fare appello alla borghesia perché non dia ai nostri soldati che tornano dalla trincea lo spettacolo del lusso confermando la credenza che questa guerra sia fatta per arricchire i signori, mentre la povera gente versa il suo sangue per la futura grandezza della patria.

Bisogna che anche i signori facciano la guerra e, occorrendo, rinunzino al loro reddito.

Questi provvedimenti si imporranno col prolungarsi della guerra.

Ed allora bisogna cambiare l’organizzazione del fronte interno, tanto più quando si dovrà far sapere al paese che occorre continuare la guerra per un altro inverno.

Deplora gli eccessi della censura, mentre poi si meraviglia come si sia lasciata passare la pubblicazione del manifesto repubblicano dei socialisti.

Polemizza con i socialisti e con Turati e fa appello ad essi perché convincano le loro masse che la guerra non può essere spezzata e che era necessaria, perché la neutralità avrebbe ridotto l’Italia come una Grecia in grande e ne sarebbe riuscita avvilita ed anche affamata.

Ha fiducia nella vittoria, che diventa sempre più probabile per noi.

Attende che il Governo dia l’esposizione di un programma concreto e chiaro perché si abbia una energica e sicura condotta della guerra.

Spiega i telegrammi scambiati con Cadorna, nei quali si parlava anche dei nemici interni, e dichiara di non aver mai pensato ad una dittatura militare.

Il Governo può sempre mutare lo strumento del Comando supremo, ma deve anche mutare la sua azione in tutto l’indirizzo della guerra.

Su una cosa dobbiamo essere tutti concordi e ciò nell’affermazione e nel voto che i nostri soldati, tornando vittoriosi, abbiano a constatare che il Parlamento ed il paese sono stati all’altezza del sacrificio da loro compiuto.

(Applausi e congratulazioni.

Molti deputati vanno a stringere la mano all’oratore).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, ministro dell’Interno.

Dichiara che prende la parola soltanto per dare chiarimenti su qualche punto del discorso del deputato Pirolini, il quale, in fondo, non ebbe che pochi spunti contro la politica interna.

Quanto ai fatti di Monza e di Sesto San Giovanni, egli non trova nulla di più odioso di irridere a chi ha perduto dei figli in guerra, anche nella semplice ipotesi che un atto simile si sia avverato.

Le notizie ufficiali consentono ogni interpretazione:

se vi fu qualche manchevolezza od errore da parte di funzionarii della pubblica sicurezza, ciò non tocca la politica interna.

Del resto quei funzionarii furono sostituiti.

In certi circoli si ha l’abitudine di rendere responsabile il ministro delle colpe di qualche suo dipendente.

Analogamente si è fatto per la pubblicazione del noto manifesto socialista in cui si inneggiava alla repubblica:

allora egli era a Londra, e, tornato, non mancò di muoverne rimprovero alla censura.

Dichiara che si informerà sullo sbarco di San Remo, che gli pare una favola, probabilmente suggerita da una specie di suggestione collettiva nei riguardi dei tedeschi della Riviera Ligure; a proposito dei quali dichiara che l’allontanamento di essi fu deciso molto tempo prima che l’onorevole Pirolini comunicasse l’ordine del giorno votato per il siluramento narrato dallo stesso.

Del resto egli nota che la fobia dello spionaggio, da parte dei tedeschi che si trovano in Italia, si basa sul presupposto che i tedeschi si servano dei loro connazionali per esercitarlo;

mentre invece l’organizzazione dello spionaggio tedesco si serve di persone di nazionalità ambigua ed anche purtroppo di italiani.

L’allontanamento quindi dei tedeschi non serve per sradicare lo spionaggio.

Venendo al processo Valente, egli può dare in Comitato segreto qualche chiarimento.

Il criterio decisivo per la scoperta non può essere esposto, ma egli può dire che l’elemento di convinzione non venne precisamente dai fatti come gli espose il deputato Pirolini.

Rimane solo che la polizia italiana si è servita di quel cattivo arnese;

ma egli è convinto che non vi sia spia professionale senza che vi sia una controspia, ciò non tanto per avidità quanto per necessità di mestiere.

Fa osservare che resta il fatto che fu il commendator Vigliani che fece arrestare il Valente e forse lo farà fucilare.

L’argomento che tocca il commendator Vigliani è veramente grave, perché si tenta attraverso ad organi non responsabili di premere su un ministro perché si disfaccia di un suo alto funzionario.

Si deve lodare un ministro che a questa tendenza resiste.

Ogni giorno il ministro ed i suoi alti funzionari sono oggetto di una nuova menzogna.

Il commendator Vigliani ritiene che contro di lui si sia ordito un odioso complotto.

Una donna detenuta perché convinta e confessa di spionaggio, dopo 15 mesi di detenzione, agli ultimi dello scorso aprile, avrebbe detto al giudice istruttore che, dopo dichiarata la guerra tra l’Italia e l’Austria, essa sarebbe venuta a Roma portatrice di una lettera del principe di Bülow per il commendator Vigliani:

la detenuta avrebbe messa come condizione al giudice di non mettere a verbale questa dichiarazione;

il giudice avrebbe ciò accettato.

Essendo la notizia trapelata, il commendator Vigliani chiese all’avvocato generale fiscale di accertare il fatto.

Mentre si procedeva all’indagine, il commendator Vigliani domandò al ministro se poteva restare nel suo ufficio.

Egli rispose di sì, perché non poteva ammettere che la deposizione di una spia confessa potesse influire sui pubblici uffici del Regno d’Italia.

Dopo una rapida istruttoria l’avvocato fiscale comunicò che quella donna sarebbe stata consigliata a far deviare le indagini dallo spionaggio nel campo politico.

Che avesse detto il falso lo provò la circostanza che l’intermediario proprio nei giorni da lei indicati si trovava sotto cura per una grave operazione chirurgica.

Il commendator Vigliani, non soddisfatto, vuol procedere per calunnia, e per delicatezza domanda di essere esonerato dall’ufficio.

Sopra a questa istanza il ministro si è riservato di decidere.

Il ministro non può in questi momenti sopra accuse di comitati irresponsabili procedere contro i proprii funzionarii.

In relazione alla necessità della dichiarazione di guerra, nota che fu la grande massa del popolo italiano a volerla.

Egli fu tra quelli che la vollero.

Se fosse stata anche una minoranza, egli sarebbe orgoglioso di avervi appartenuto;

ed è sommamente fiero del suo passato.

Nel maggio 1915 poté essere utile l’esplosione del sentimento del popolo italiano, ed egli la glorificò;

ma i tempi mutano;

nell’ora che volge, in questo terzo anno di guerra, più di tutto è necessario serbare integra la compagine dello Stato.

PRESIDENTE.

Avverte che il Presidente della Giunta del bilancio ha presentato la relazione sull’esercizio provvisorio e sul bilancio dell’emigrazione:

è pertanto aperta l’iscrizione.

Il seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo è rimesso a domani alle ore 14.

La seduta termina alle ore 18,30.

IL PRESIDENTE MARCORA

IL SEGRETARIO PAOLO BIGNAMI

COMITATO SEGRETO del 23 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA

La seduta incomincia alle 14,10.

Si dà lettura del processo verbale della seduta di ieri, che è approvato.

PRESIDENTE.

Annunzia che hanno chiesto un congedo gli onorevoli:

Calisse di giorni 5 per motivi di famiglia;

Pastore di giorni 15;

Rosadi di 4;

Dore di 6, per motivi di salute;

Queirolo di giorni 3, per ufficio pubblico.

(Sono accordati).

Comunica telegrammi del prefetto di Milano, il quale fa sapere che le condizioni di salute dell’onorevole Rubini si mantengono sempre gravi, e rinnova caldi auguri di guarigione.

Dà la parola al deputato Pallastrelli, inscritto a parlare sulle comunicazioni del Governo.

PALLASTRELLI.

Ritiene opportuno di parlare per esporre chiaramente quale sia lo stato d’animo di gran parte delle popolazioni delle campagne che è ben diverso da quanto si può credere.

Ciò facendo non vuol dire che si tenti di indebolire la resistenza nazionale per la guerra.

Appunto perché non si vuole la pace ad ogni costo, appunto perché si comprende come sia necessario resistere per raggiungere quanto è nell’ideale di ogni buon italiano, bisogna dire la verità.

Gli oratori che lo hanno preceduto hanno parlato di polizia di guerra, di guardie, di carabinieri, di spie e di controspie, cose tutte della massima importanza, ma non meno importante è il fatto che oggi si presenta lo spettro della fame per molte delle popolazioni di campagna.

Parla delle condizioni di questa gente, di quelle dell’agricoltura e delle gravi ingiustizie del differente trattamento fatto alla gente di campagna, e specialmente di montagna, in confronto degli operai delle città.

Accenna al lusso, allo sperpero della vita cittadina, e da questo trae la conclusione che il problema, più che come problema di politica di guerra, si presenta come problema di finanza e di agricoltura.

Invoca provvedimenti che mirino ad aumentare la produzione, a liberare i piccoli proprietari dalle requisizioni militari, dalle tasse, ad aumentare i sussidi.

Chiede che la tassa per la preparazione civile sia una tassa statale, perché possa avere efficace utilità.

Con questo, e non con la propaganda a mezzo di conferenze, si può creare nel popolo la tranquillità;

e non solo nel popolo, ma anche in chi combatte e che ha il diritto di sapere che ai proprii parenti non mancherà il pane.

Egli pensa che tutto questo saprà fare l’attuale Governo;

perciò ritiene inutile parlare di cambiamento di uomini, e pensa che il Governo deve mirare a sentirsi forte, più che per il voto che il Parlamento non gli negherà, per la fiducia che gli verrà dal paese, fiducia che solo si può inspirare con una saggia e previdente politica di guerra.

AGNELLI.

Dice che parlerà in Comitato segreto della propaganda all’estero, perché sotto certi aspetti è materia molto delicata.

L’argomento che la miglior propaganda è la vittoria non è più di moda.

La guerra è essenzialmente dialettica.

Più dura, più si trasforma, più si estende, più abbraccia diversi paesi, più diventa dialettica.

Non si intratterrà a lungo sulla propaganda, per così dire, materiale.

Essa però è molto utile:

diffonde la notizia del nostro sforzo, dei nostri sacrifizi, delle difficoltà militari che si sono superate ed anche, in modo indiretto, dei grandi progressi industriali, agricoli ed intellettuali del nostro paese.

Raccomanda siano dati incoraggiamenti e franchigie postali, mezzi di diffusione ed altro alle iniziative del Touring Club, della Dante Alighieri, dell’Unione insegnanti, ecc.

Loda l’Istituto italiano a Parigi e l’opera sagace di Savio Lopez.

Raccomanda il coordinamento di molti uffici (guerra, marina, Comando supremo).

Riconosce giusto e conveniente che il Governo agisca per interposta persona, poiché ciò che ha il bollo ufficiale è sospetto.

Crede di gran lunga più importante, ed ormai urgente, una propaganda propriamente politica.

Bisogna rendere europea la questione italiana.

Questo seppero fare i nostri esuli nel periodo del Risorgimento, gli emigrati in Piemonte nel 1848 e nel 1859.

E questo fece Cavour al Congresso di Parigi nel 1856.

Eppure allora, salvo che per la Francia nel 1859, si trattava di un non intervento, di simpatie quasi solo platoniche.

Oggi la convinzione deve diffondersi, perché occorre solidarietà e cooperazione attiva, efficace soltanto se vi sia il soccorso della opinione pubblica.

Bisogna persuadere che i nostri fini di guerra sono giusti in se stessi; discreti e temperati nei rapporti dei nemici; vantaggiosi alla pace ed al giusto assetto futuro d’Europa.

Domanda che cosa si è fatto per correggere il falso concetto che diffondono i nostri nemici, i quali ci trattano da traditori, per incoraggiare le tendenze separatiste delle singole parti dell’Impero austriaco, per esempio a favore degli czechi e dei polacchi, e che cosa per gli jugoslavi.

Molto più bisogna agire sui neutri.

Cita ad esempio la Svizzera, che l’oratore crede lealmente neutrale anche nella sua parte tedesca e nonostante incresciosi fatti recenti.

Ogni uomo politico svizzero comprende che uscire dalla neutralità sarebbe il suicidio della Confederazione.

Entra in dettagli tecnici circa il modo di redigere gli articoli, i commenti e le notizie.

Bisogna rendere popolare la nostra causa:

per esempio nel programma di Stoccolma se ne erano completamente dimenticati.

L’oratore vi avrebbe lasciato andare i socialisti, perché il massimo di concessione dei socialisti tedeschi è ben lontano dal minimo di domanda dei socialisti francesi;

ciò dava la prova della necessità della guerra.

TURATI.

Se fosse stato così, avremmo marciato anche noi coll’Intesa.

AGNELLI.

Prendo atto di questa adesione e spero non sia un altro infortunio sul lavoro …

Infine più necessaria ancora la propaganda fra amici e alleati, specialmente in Francia.

L’oratore si diffonde a parlare dello stato degli animi ancora un po’diffidente e geloso dei nostri fratelli latini.

Ne indica e ne analizza ragioni prossime e remote;

ma crede che l’interesse reciproco per una unione fra noi sia tale che convenga affrontare serenamente le difficoltà e penetrando nella stampa, nell’opinione delle persone colte e del popolo, mutare questo stato a nostro vantaggio.

In Francia non siamo conosciuti né apprezzati, ma quando si parla di rivalità insanabili, bisognerebbe ricordare che lo stesso fu per secoli tra la Francia e l’Inghilterra ora saldamente unite.

Chiude augurando che alla propaganda non manchi né la sapiente direzione né i mezzi, e non mancherà allora neppure l’esito, perché se a qualche cosa giungono anche col falso e con la menzogna i nostri nemici, noi possiamo basare l’opera nostra sulla verità e sulla giustizia della causa che sosteniamo.

SCIALOJA, ministro senza portafoglio.

Desidera rispondere subito alle osservazioni riguardanti l’opera del comitato di propaganda, tanto più che due interpellanze sono state presentate sull’argomento.

La propaganda nostra all’estero fu sempre trascurata, e quando il presidente del Consiglio si rivolse a lui perché lo aiutasse in questo compito, egli accettò come un buon soldato accetta qualunque missione, anche la più umile.

Ma l’essere un ministro a capo di questo servizio non deve lasciar credere che si sia data una disponibilità di mezzi paragonabile a quella di altre nazioni.

Così l’ardua difficoltà di quest’opera non deriva solo dal fatto che da sette mesi appena essa fu iniziata, ma anche da tutta la politica e la tradizione nostra, tradizione che ci attrae verso le nazioni estere, mentre queste (a differenza forse della sola Germania per i suoi interessi) non conoscevano affatto noi.

Tutte le nostre pubblicazioni, ad esempio, non pervenivano che scarsissimamente presso gli stranieri.

La propaganda ha alcuni scopi determinati: accreditare l’opera dell’Italia in guerra; i sacrifici che il nostro popolo sostiene per la guerra; spiegare gli scopi della guerra che l’Italia combatte.

Egli ha avviato l’opera della propaganda nostra in queste direzioni, che possono considerarsi divise in tre categorie: la propaganda scritta, la orale, la grafica.

Per la prima ricorda la illustrazione, a mezzo di telegrammi, del contenuto del comunicato del Comando supremo.

E ricorda ancora di aver cercato che il maggior numero di giornalisti stranieri venissero a vedere gli eroici sforzi del nostro esercito al fronte.

Per accreditarci, del resto, noi non abbiamo bisogno che di essere conosciuti.

Quanto alle pubblicazioni, egli ha cercato di valersi delle istituzioni già esistenti.

Per la propaganda verbale si è giovato di conferenze tenute da oratori italiani e stranieri, che hanno nelle diverse nazioni illustrato gli scopi della nostra guerra, i progressi e le vittorie italiane.

La propaganda grafica, la riproduzione cioè dei fatti col mezzo del cinematografo, delle fotografie, delle diapositive, ha avuto il più largo sviluppo.

Il divieto ai privati di rilevare i fatti della guerra, che sono oggi presi esclusivamente ad opera del Comando supremo, ha assicurato la più assoluta serietà a quest’opera, che dà oggi documenti veri e reali della nostra guerra.

Ed i risultati ottenuti incoraggiano a proseguire su questa via.

Dal punto di vista politico ha curato che, a mezzo di pubblicazioni e di opuscoli, fosse riconosciuta all’estero la santità degli scopi della nostra entrata in guerra, e la dimostrazione della italianità dei territori che noi rivendichiamo all’Italia.

E per la parte polemica della propaganda si è valso di coloro che, per i loro studi e le loro attitudini, più erano indicati a sviluppare le tesi da noi sostenute.

E per quest’opera, così complessa, l’ufficio di propaganda ha mezzi così limitati che rappresentano forse un cinquantesimo di quelli impiegati dalla Francia.

Ed in questo ufficio non ci sono imboscati, il che forse non può essere detto da alcuna altra nazione.

E tutti i fondi, tutti, sono stati impiegati realmente alla propaganda della nostra guerra di rivendicazione e di libertà.

FERRI GIACOMO.

Dà ragione del seguente ordine del giorno:

«La Camera, convinta che alle ormai abituali declamazioni patriottiche in nome dei grandi supremi interessi della Patria, debbasi ad ogni costo sostituire la sincerità con la fiducia vera, profonda nella Nazione nostra consapevole e generosa,

reclama:

a) con le modalità che saranno ritenute più convenienti: notizie precise, complete sulla situazione internazionale e bellica, e sulla difesa delle pubbliche libertà dalla minacciata dittatura militare;

b) un’azione di governo concorde, diritta, energica ed autorevole che assicuri il paese che nella sua politica estera e della guerra ha concordi gli alleati e all’interno non si alimentano le cittadine discordie;

c) una politica sulla produzione e sui consumi che non sia, come fu fino ad oggi, tardiva sempre, rovina delle industrie, impoverimento della produzione, dissanguante senza pietà le classi più bisognose dei lavoratori, impiegati, pensionati, piccoli proprietari;

d) provvedimenti militari più energici e coraggiosi per scovare i veri imboscati senza disorganizzare i servizi, specialmente quelli per le cure ai nostri valorosi feriti;

e) un’intelligente distribuzione della mano d’opera a garantire i lavori dei campi e delle officine perché il paese possa con le sue industrie e con la sua produzione resistere alle grandi necessità della Patria mentre forte e sicuro aspetta l’ora di una pace degna e duratura».

L’oratore rileva che la seduta di ieri ha dato dei risultati significativi.

La Camera sottolineò la notizia del telegramma del generale Cadorna all’onorevole Pirolini, accennante all’esistenza di nemici interni, manifestando apertamente col trionfo decretato all’onorevole Orlando, designato come la vittima necessaria, la condanna di ogni idea di preordinata dittatura militare, ogni possibilità di ritorno a metodi di violenza e di persecuzione, quali erano stati instaurati dal passato Gabinetto, presieduto dall’onorevole Salandra.

L’attacco a Giolitti ha avuto, prima dal banco del Governo, poi dalla dimostrazione della Camera, la mortificazione che meritava.

Ormai si può ricordare quest’uomo, che egli ha sempre politicamente combattuto, ma ha amato, ama e stima, come un grande patriotta, un grande italiano.

La ragione principale del Comitato segreto non può essere che una: avere delle spiegazioni sulla crisi politica che ha determinato variazioni nella compagine ministeriale.

Può il Ministero che si dice nazionale, modificarsi o trasformarsi all’infuori dell’Assemblea nazionale:

Quali le ragioni della sostituzione dei ministri militari, che non può essere ragione politica, ma non può non essere una ragione molto importante e grave:

L’onorevole Sonnino, che merita rispetto perché figura retta e tutta d’un pezzo, quale parte ha assunto e continua ad avere nel Gabinetto:

Quella forse di accentrare in sé tutta la politica estera italiana, non informando nessuno, né il Gabinetto, né il Presidente, né Udine, di quanto egli fa, di quanto egli si propone di fare:

Abbiamo dunque un Gabinetto che nulla sa, che non partecipa alla politica estera, la quale del resto da tre anni non potrebbe essere più disgraziata per il nostro paese.

Ma l’onorevole Sonnino non ha saputo salvare neppure la dignità dell’Italia, quando ha permesso che Francia e Inghilterra svalutassero l’atto di proclamazione eseguito dal Governo italiano sull’Albania.

Quali sono le condizioni del Patto di Londra:

Deve essere ancora mantenuto occulto al Parlamento il fatto che ci costringe ancora alla guerra:

Deve ancora perseguirsi nel sistema di mantenere il paese all’oscuro sulle perdite nostre:

questo paese che tutto dà, che si sacrifica nobilmente, eroicamente:

I nostri soldati hanno scritto pagine mirabili del più strenuo valore;

ma perché non deve dirsi al paese la verità, tutta la verità, sugli episodi dolorosi del Trentino, di Gorizia, del Monte Santo:

Il malcontento per una guerra, che il popolo non sentiva voi fate ingigantire con questa persistente politica di tutto nascondere, di tutto sottrarre al controllo della pubblica opinione: con questo vostro permettere le ruberie e le angherie ai danni del povero popolo, che lasciate indifeso, e dal quale avete tratto però 4 milioni di combattenti.

Tutto il popolo nostro è degno di sapere, e vuol sapere:

il numero dei nostri morti gloriosi, quello dei feriti, dei mutilati, dei ciechi, e, materia più delicata e dolorosa, dei traditori, dei fucilati, dei passati al nemico;

perché la verità, anche la più dolorosa, è necessario guardarla in faccia, per provvedere, per prevenire.

La lotta contro gli imboscati deve essere condotta con criteri più pratici e ispirati a veri e reali sentimenti di giustizia.

Perché non pubblicare il luogo ove prestano servizio i figli dei ministri, dei deputati, dei senatori:

E tanti ve ne sono in primissima linea:

Perché, salvo i sacerdoti che prestano il loro ufficio di assistenza religiosa negli ospedali, voi mantenete in sanità tutti i preti e i frati che, robusti e sani, non dovrebbero avere privilegi che ormai sono un anacronismo:

La politica agraria si è completamente ispirata a criterii di protezione dei latifondisti e dei grandi proprietari.

Essa ha costituito e costituisce un vero tradimento nazionale.

Allo stato delle cose, quando intorno a noi tutto è incertezza, è naturale che da parte nostra si invochi un governo presieduto da chi sappia e possa raccogliere in sé l’autorità necessaria per emanare e attuare provvedimenti che modifichino in bene lo stato attuale di disagio e di miseria, e preparare il passaggio allo stato di pace, quando ritorneranno i milioni di uomini, che ora tutto sacrificano sull’altare della patria.

MONTI-GUARNIERI.

Per fatto personale, dichiara che il suo unico figlio è in primissima linea, e ricorda i colleghi che hanno perduto i loro figli in combattimento.

GIARDINO, ministro della Guerra.

Ha chiesta la parola perché la Camera non rimanga sotto l’impressione inesatta di talune parole e di taluni fatti.

Fu pronunciata la parola defezione:

ma occorre pensare alle circostanze nelle quali questi fatti dolorosi avvengono.

Su posizioni conquistate ma non rafforzate, con il tiro di interdizione alle spalle, può darsi che una truppa con la testa bassa irrompa contro il nemico e raggiunga l’obbiettivo;

può darsi che un’altra truppa, in circostanze specialissime, che non è dato apprezzare, non trovi la forza di fare irruzione, e sia catturata, vinta dal nemico.

Gravissimo fatto che va bollato a fuoco; ma che può anche essere considerato come una sventura; e che può non costituire defezione.

Nel caso specifico, poi, vi sono stati anche errori, che sono stati già duramente espiati.

Il 149° fanteria non era costituito soltanto di siciliani;

ed egli che, comandante la 48a divisione, ha avuto ai suoi ordini una brigata di siciliani, che al San Marco dié mirabile prova di valore, protesta contro certe deduzioni che dal doloroso episodio sono state tratte.

E, passando ad altro argomento, rileva che lo sdegno contro gli imboscati non potrà mai essere più fortemente sentito da altri che da coloro che scendono giù dalle trincee.

Ed egli assicura la Camera che contro gli imboscati condurrà una lotta spietata finché la mala pianta sia un buona volta sradicata.

FEDERZONI.

Osserva che il Ministero si è ripresentato senza dare spiegazioni intorno alla recente crisi;

ma ciò non impedirà di discutere la politica estera, interna e militare del Gabinetto.

Le direttive della politica estera hanno lasciato perplessi l’oratore ed i suoi amici, i quali, se votarono un anno fa contro l’onorevole Sonnino, approvano oggi i due atti più recenti di lui: la proclamazione della indipendenza albanese e la Nota di risposta alla Russia.

La Russia, nuova o vecchia poco importa, è legata all’Intesa da un vincolo d’onore:

prima combatta;

poi, se mai, discuterà.

L’oratore esamina il valore effettivo del Patto di Londra dopo la defezione russa, affermando che per ognuna delle potenze alleate vi è un solo modo di non fare la pace separata, ed è fare la guerra insieme con gli altri Stati dell’Intesa.

Venizelos è l’esponente delle aspirazioni panelleniche, che la vecchia mentalità diplomatica francese ed inglese ha ancora il torto di fomentare per un tenace spirito di diffidenza verso i vitali interessi dell’Italia.

Occorre persuadere gli alleati che l’Italia è fra essi, per i sacrifici sostenuti e il contributo apportato, in una perfetta eguaglianza di diritti e che come eguale deve essere sempre trattata, nell’interesse suo proprio e di tutti.

Venendo a parlare della politica interna, l’oratore nota che l’azione dell’onorevole Orlando fu difettosa, ma riconosce che non è possibile isolare la personale responsabilità di lui da quella dell’intero Gabinetto, anche per la necessaria connessione della politica interna con la militare, economica, finanziaria, annonaria, ecc.

Il torto del Governo per la politica interna è quello di non imporre a tutti il rispetto rigoroso della legge.

I reati rimangono impuniti.

Solo una campagna giornalistica, con il conseguente giudizio per querela di diffamazione, ottenne che fosse messo fine all’inconcepibile scandalo di Genzano di Roma, ove il municipio socialista aveva tranquillamente organizzato la diserzione e il banditismo, sotto gli occhi dell’autorità acquiescente.

L’oratore accenna pure al gran numero di disertori appartenenti alla mala Vita che passeggiano indisturbati per tutte le città, commettendo ogni sorta di reati comuni.

Discutendo del discorso dell’onorevole Orlando esprime il parere che la difesa del direttore generale della pubblica sicurezza non resista all’analisi più sommaria in base agli elementi acquisiti nella sentenza odierna del processo Valente - Gerlach.

Per la politica militare manifesta l’augurio che i due nuovi ministri sappiano riparare agli errori dei rispettivi predecessori.

Conclude affermando che le manchevolezze dell’opera del Governo riflettono una causa comune: l’assenza di una energia coordinatrice ed unificatrice.

Fa voti perché nella presente situazione, piena di preoccupazioni e di pericoli, un Governo autorevole e forte sappia efficacemente condurre il paese alla meritata vittoria.

PRESIDENTE.

Dichiara che il seguito di questa discussione è rinviato a lunedì.

La seduta termina alle ore 19.

IL PRESIDENTE MARCORA

IL SEGRETARIO VALENZANI

COMITATO SEGRETO del 25 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE ALESSIO

La seduta comincia alle ore 14.

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

NASI.

Sul processo verbale, dichiara che non è stato soddisfatto della risposta del ministro della Guerra relativa ad una circolare letta dal deputato Chiesa circa i provvedimenti presi contro militari siciliani.

GIARDINO, ministro della Guerra.

Dichiara che nelle parole da lui pronunciate non ha inteso di rispondere sull’argomento accennato dal deputato Nasi.

Si riserva di rispondere in proposito a suo tempo.

PRESIDENTE.

Non essendovi altre osservazioni, dichiara approvato il processo verbale della seduta precedente.

Comunica che hanno chiesto congedo i deputati:

Sioli-Legnani e Borromeo di giorni 4 per motivi di famiglia;

Arrigoni De gli Oddi di giorni 2, per motivi di salute;

De Capitani di giorni 2, Stoppato di 4, Di Giorgio di 15 per ufficio pubblico.

(Sono conceduti).

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo.

LIBERTINI GESUALDO.

Si limiterà a chiedere dei chiarimenti.

Si era detto, all’inizio della guerra, che essa avrebbe avuta la durata di non più di 5 o 6 mesi e che con trecentomila uomini saremmo arrivati a Vienna.

Non eravamo invece preparati;

mancava tutto, specie per l’artiglieria, le munizioni ed i rifornimenti.

Tra l’altro si credeva che l’aviazione non servisse a niente.

Siamo andati contro i reticolati con tubi di gelatina e forbici.

Per i mezzi insufficienti che avevamo, abbiamo subìto perdite gravissime.

Per difetto di preparazione nostra, il nemico poté irrompere nel Trentino ed occupare forti posizioni, catturando circa 40.000 prigionieri ed impadronendosi di circa 400 cannoni;

poté arrivare fino alla pianura.

GIARDINO, ministro della Guerra.

Là lo abbiamo, però, saputo arrestare e ricacciare:

LIBERTINI GESUALDO.

Replica che non vi doveva arrivare e che non sappiamo ancora di chi sia la colpa, poiché non venne preso alcun provvedimento contro i due generali indicati come responsabili delle deficienze lamentate.

Venendo all’ultima avanzata, nella quale abbiamo fatto notevoli progressi, nota che le perdite avute furono straordinariamente elevate, almeno a quanto si dice, anche senza credere ai 180.000 combattenti in complesso perduti secondo le affermazioni del nemico.

Chiede se vennero prese tutte le misure necessarie per ridurre al minimo le perdite, che secondo informazioni attendibili ascenderebbero a circa 100.000 uomini con più di 1.000 ufficiali.

Si ebbe confusione nei reparti attaccanti, al punto che anche mitraglieri e bombardieri dovettero andare all’attacco.

Male pure procedette il servizio sanitario (interruzioni del deputato Ciancio), e si afferma che mancarono perfino i mezzi di trasporto per i feriti.

Nella confusione, ad esempio, militari feriti di una divisione non vennero accolti dai sanitari addetti a posti di medicazione dell’altra divisione.

(Interruzioni del ministro della Guerra).

Passando alle licenze ed agli esoneri per l’agricoltura, nota che il modo con cui furono accordati generò molto malumore.

Basta citare la circolare n. 542 del 1° settembre 1916, che venne prima emanata e poi ritirata.

Venendo ai fatti già accennati, dà lettura di una circolare del Comando supremo in data 4 maggio 1917, nella quale venivano sospese le licenze a militari siciliani per le diserzioni avvenute in Sicilia da parte dei militari tornati dal fronte.

Questa circolare era firmata dal generale Porro e terminava con frasi poco riguardose verso quella regione, che non merita certo un simile trattamento.

Ritiene che il firmatario non l’abbia letta.

(Commenti).

Con circolare del 7 maggio successivo si ribadiva ai corpi il contenuto di quella circolare, che venne revocata il 25 maggio, a causa, probabilmente, della pessima impressione che aveva fatto fra le truppe siciliane.

In tutto, però, nelle quattro provincie occidentali non ci sono che 1.500 disertori; in quelle orientali nessuno.

Non è pertanto né degno né giusto inveire contro una regione che tanto ha fatto per questa guerra.

Così addolorati e indispettito, si capisce come alcuni reparti si siano arresi.

Occorre che si facciano turni regolari, in modo che non siano sempre gli stessi reparti quelli che rimangono a lungo in trincea;

ciò produce una depressione nella psiche dei soldati, che così mal resistono nelle gravi contingenze della guerra.

Occorre inoltre che per gli esoneri si proceda con criteri di massima giustizia, evitando gli imboscamenti, dei quali non approfittano certo gli ufficiali di complemento e di milizia territoriale.

Sullo svolgimento delle azioni di guerra in avvenire, nota che dai fatti finora svoltisi si debbono trarre le previsioni per il futuro.

Si disse, ad esempio, che la nostra entrata in guerra e poi quella della Rumania dovevano abbreviare la guerra, mentre invece l’hanno estesa senza effetti vantaggiosi per gli alleati.

Ed anzi l’invasione della Rumania ha dato in mano ai nemici nuove risorse che hanno permesso il prolungamento delle ostilità.

Se noi dovessimo riprendere le posizioni perdute e conquistare quelle alle quali giustamente aspiriamo, con la stessa velocità con la quale abbiamo proceduto finora, occorrerebbero non meno di 4 o 5 anni ancora di guerra.

Abbiamo avuto una vera ecatombe di generali e precisamente di circa 112.

CIANCIO.

Centocinquantuno:

LIBERTINI GESUALDO.

La guerra non si risolverà sostituendo un generale ad un altro:

Non crede si siano raggiunti notevoli risultati nei riguardi dell’affamamento del nemico, anche a quanto hanno di recente affermato prigionieri tornati da Mathausen.

Occorre anche tener calcolo che i popoli degli Imperi centrali sono assai disciplinati ed organizzati, sicché resistono a difficoltà di approvvigionamento.

Noi poi abbiamo i gravi danni portati dai sottomarini.

Non possiamo neppur contare sull’aiuto della Russia e neppure su quello degli Stati Uniti, almeno per un anno.

I mezzi della vittoria noi dobbiamo trovarli in noi stessi, senza sperare in chimeriche difficoltà del nemico.

La marina da guerra ci ha dato delle pagine gloriose per quanto riguarda l’azione del naviglio sottile:

non così si può dire per le grosse unità, delle quali abbiamo perduto cinque senza combattere, di cui due (Leonardo da Vinci e Benedetto Brin) in porto, saltate in aria per cause tuttora ignote e che è necessario conoscere, tanto più che sono state fatte delle inchieste.

La Regina Margherita è poi andata perduta, dicesi, per colpa di un nostro ammiraglio che impose al comandante la partenza da Vallona di notte con mare pessimo;

e andò pertanto su una delle nostre mine, che la fece colare a fondo.

Venendo alla politica estera, osserva l’importanza che la nostra entrata in guerra ha avuto per gli alleati e per la Francia ispecie, sebbene tale azione non sia adeguatamente apprezzata.

È necessario veder chiaro nella situazione balcanica, e sarà bene evitare che tra gli alleati attuali possa avvenire quanto si verificò tra gli alleati balcanici...

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Mi pare che lei si ingegni a creare quelle condizioni che sta deprecando.

LIBERTINI GESUALDO.

Continua dando lode all’onorevole Sonnino per la proclamazione dell’indipendenza albanese, che è stata censurata soltanto nella stampa francese.

La Grecia segue l’attuale linea di condotta solo per entrare nella conferenza della pace ai danni nostri, coadiuvata dalla Francia, che inventò perfino il trucco del Governo di Salonicco.

Non crede alla realtà della abdicazione del Re Costantino.

Da ultimo chiede come si è provveduto e come si provvederà ai mezzi pecuniari per la guerra, che ora costa circa un miliardo e mezzo al mese al nostro paese.

Coi sistemi adottati fino ad ora si tormenta il contribuente a colpi di spillo, e intanto il cambio è arrivato a 139,60.

Chiede informazioni sulla progettata riforma tributaria, che vorrebbe sollecitata.

Solo dicendo la verità si potranno approntare i mezzi per la vittoria.

VACCARO.

Dichiara di voler rivolgere alcune domande all’onorevole Sonnino e chiedergli alcuni schiarimenti per metterlo in grado di far conoscere alla Camera l’opera da lui spiegata nell’interesse del paese.

Il Parlamento ha manifestato più volte la sua piena fiducia nell’onorevole Sonnino, ma qui non si tratta della solita responsabilità ministeriale, ma di qualche cosa di più grave, l’esistenza dell’Italia.

Oggi quindi non è il caso di pensare a piccoli interessi politici e parlamentari, ma ad unire tutte le forze per assicurare la comune vittoria e trarne i maggiori possibili vantaggi.

Loda l’affermazione dell’onorevole Sonnino che l’Italia non ha aspirazioni imperialistiche, perché l’imperialismo fu la causa profonda della conflagrazione mondiale.

Spera che la dolorosa e terribile esperienza, che scaturisce dal presente immane conflitto, indurrà tutti i popoli, grandi e piccoli, a rinunziare per sempre alle aspirazioni imperialistiche ed al sistema dell’equilibrio delle potenze.

Siccome però l’onorevole Sonnino accenna nel suo discorso all’equilibrio, l’oratore vorrebbe sapere come sarà possibile ottenerlo.

Fa l’inventario dei pegni che finora si è assicurata l’Inghilterra nel mondo.

Espone le due antiche aspirazioni dell’Inghilterra: quella di unire il Capo al Cairo, e l’altra di unire l’Egitto alle Indie e all’Australia.

E dimostra che l’uno e l’altro sogno l’Inghilterra è sulla via di realizzare, con l’annessione dell’Egitto, con la conquista delle colonie tedesche dell’Africa, con la parziale occupazione della penisola del Sinai, con la conquista della Mesopotamia, ecc.

Ricorda il Congresso di Londra e l’intervento dei rappresentanti dei Dominions col ritorno al protezionismo.

Di fronte a questa grandiosa azione dell’Inghilterra l’onorevole Vaccaro dichiara di restare scettico sulla efficacia di quella che l’Italia vuol preparare in ordine al dopo guerra.

Passa poi ad esporre quello che si ripromette, a guerra finita, di ottenere la Francia e all’atteggiamento della stampa francese verso l’Italia, la quale, dopo tutto, non desidera che la rettifica delle sue frontiere per essere sicura in casa propria, e di potere mettere in valore le sue colonie della Libia, della Somalia e dell’Eritrea.

Chiede infine quello che l’Italia possa sperare, dopo il convegno di San Giovanni di Moriana, nell’Asia Minore;

se cioè saranno dati all’Italia i porti di Smirne, Adana, Mersina e Alessandretta, oppure soltanto il tratto che va da Smirne a Mersina.

Spera che l’onorevole Sonnino si guarderà dalle insidie dei Greci.

Confida che egli, dopo gli enormi sacrifizi fatti dall’Italia, saprà assicurarne gli interessi, onde essa non rimanga soprafatta nelle future lotte per l’esistenza;

perché in tal caso il popolo italiano e i nostri gloriosi soldati avrebbero il diritto di chiederci conto dei sacrifizi e del sangue inutilmente versato e di scagliarci sul viso la loro maledizione e la loro rampogna.

PAVIA.

Esordisce dicendo che presenterà un progetto di legge per una indennità di sortita da darsi per tre mesi dopo la guerra a quei soldati che si troveranno disoccupati.

Accenna ai moti avvenuti in maggio ultimo nelle campagne lombarde e nota il fenomeno che proprio in quelle campagne vi erano altissimi salari.

Domanda se il Governo ha notizia delle cause di tale fenomeno.

Egli espone quelle che a suo credere ne furono il movente.

Espone quanto sarebbe opportuno fare in proposito, ma esclude una politica di reazione.

Loda la politica dell’onorevole Orlando, di rispetto alle norme statutarie, perché anco la politica contraria alla guerra avesse lecita discussione.

Oggi non più la mano di ferro occorre, ma quella di velluto.

Critica la mastodontica legislazione dei consumi.

Crede che possano farsi ancora economie sul lusso femminile, non sul carbone, specialmente per quello del riscaldamento.

Critica quanto disse il ministro Scialoja sulla propaganda.

Crede che di troppe cose si tiene all’oscuro il paese, dando agio al dilagare delle esagerazioni ed alle menzogne.

Queste sono le ragioni principali dei moti lombardi, soprattutto fra le donne.

Dimostra che i passi giganteschi fatti dal proletariato fino ad oggi aumenteranno nel futuro, ed i reduci dalle trincee pretenderanno di avere parte più attiva nella direzione della pubblica cosa e vorranno discutere molti di quei problemi che sono stati diffusi nell’interno durante la guerra: socializzazione delle terre, monopoli di Stato, compartecipazione agli utili industriali.

Per tutto ciò occorre inspirarsi ad una politica di conciliazione che eviti di alimentare odi, e questo con varii accenni invoca dal Governo.

SCALORI.

Richiama l’attenzione della Camera e dei ministri competenti sui gravi incendi avvenuti a Mantova nel 28 aprile ultimo, che, ad onta dell’opera coraggiosa dei pompieri e militari di Mantova, Verona e Vicenza, si propagarono ai proiettili di cannone, alle bombarde ed ai depositi di esplosivi.

Crede gli incendi opera dolosa, come lo dimostrerebbero gli incendi della Benedetto Brin e della Leonardo da Vinci e gli incendi di Spezia e di Capua.

Attende dal ministro delle Armi una parola che attesti che detti incendi non abbiano diminuito la efficienza bellica del nostro strumento militare.

Loda alcune alte autorità che furono sollecite ad accorrere sul luogo del disastro.

Cita varii fatti che dimostrano la poca vigilanza e la poca cautela onde era sorvegliato il forte.

Si aggiunga che l’autorità municipale di Mantova aveva ripetute volte richiamato l’attenzione dell’autorità militare su queste manchevolezze e sulla necessità di provvedere ad un servizio speciale di pompieri.

I tecnici ritengono che se nel forte ci fosse stata un’auto pompa, l’incendio sarebbe stato domato all’inizio.

Non è forse dannoso mettere alla direzione di cose tanto delicate persone ritenute insufficienti nelle operazioni al fronte:

Domanda quali furono i risultati delle due inchieste militare e giudiziaria e perché in dette inchieste non furono interrogati il prefetto, il sindaco ed i deputati; quali sono le responsabilità accertate, quali i provvedimenti presi per garantire la città di Mantova da simili pericoli.

Perché la Camera deve sapere che, due giorni or sono, forse la stessa mano sacrilega, forse lo stesso delinquente appiccò il fuoco ad altro deposito a poche centinaia di metri da Mantova, fuoco fortunatamente domato in breve ora.

Conclude che egli lo chiede non solo in nome della città di Mantova, ma a nome del paese, che desidera essere tutelato e salvato dalle insidie dei nemici, rivolte ad indebolire il suo vigore militare e frustrare lo sforzo mirabile che ne appresta lo strumento bellico, sforzo che il ministro Dallolio ha saputo energicamente suscitare e sapientemente dirigere.

DALLOLIO, ministro delle Armi e munizioni.

Desidera rispondere subito al deputato Scalori per dare alcune informazioni, tanto più che è di recente successo un altro fatto analogo, per il quale può dare assicurazioni uguali a quelle che darà per lo scoppio di Mantova.

Precisamente assicura la Camera che, dall’inchiesta che egli ha potuto fare come inviato sul posto dal Governo, dai danni che ha potuto accertare, risulta che la potenzialità della nostra difesa militare non è stata diminuita in modo da poter legittimare preoccupazione alcuna circa il quantitativo di munizioni necessarie per la prosecuzione della guerra.

TREVES.

Accenna alle ragioni per le quali i socialisti sono stati in massima contrari al Comitato segreto.

Però, in seguito alla decisione della maggioranza che l’ha reso possibile, egli dichiara che conferma quanto disse l’onorevole Turati sulla collaborazione che i socialisti intendono dare a questo esperimento, senza mettersi in contraddizione coi loro principii.

Egli si limita quindi a porre le seguenti domande:

Al ministro dell’Interno:

1) esiste, accanto alla polizia civile, una polizia militare, la quale non limita le sue investigazioni contro lo spionaggio militare, ma le estende alle opinioni politiche ed alla condotta politica dei cittadini, costruisce le sue fiches agendo in piena indipendenza da ogni potere governativo:

2) È alle informazioni di questa polizia militare che devesi attribuire certa circolare dell’ex ministro della Guerra onorevole Morrone circa una triplice organizzazione segreta di complotto istituita fra gli adulti, le donne e fra i giovani del partito socialista negli ultimi convegni dei suoi rappresentanti:

3) Quale fu la persona che, nel fatto di recente discusso alla Camera e relativo all’arresto dell’Archita Valente, si introdusse presso la donna arrestata per darle il consiglio fraudolento:

4) Come poté questa persona introdursi in carcere presso l’arrestata, in una istruttoria di natura sua così segreta:

Al ministro degli Esteri:

1) quale è la portata del Patto di Londra per la pace separata:

Si ha da riguardare tale patto nel senso che esso implichi, per la validità delle decisioni, un voto di unanimità delle potenze partecipi, al modo del giurì inglese, o un voto di maggioranza, al modo latino:

2) Se gli Stati Uniti d’America non hanno aderito al Patto di Londra, come risulta la loro affiliazione all’alleanza:

3) Esiste un qualche accordo particolare tra gli Stati Uniti e l’Inghilterra:

4) In che modo, nella coerenza sostanziale dell’atteggiamento degli Stati Uniti, fallito l’intervento per mediazione e prevalso l’intervento per alleanza nella politica europea della guerra, vanno ora interpretati i principii, non espressamente ritrattati dagli Stati Uniti, espressi nel messaggio del Presidente, nel dicembre 1916, secondo i quali:

a) le strade del mare debbono essere libere in diritto ed in fatto;

la libertà dei mari è una condizione sine qua non di eguaglianza e di cooperazione;

b) la guerra attuale è essa una lotta per una pace giusta ed assicurata o soltanto per un nuovo equilibrio delle potenze:

Se non fosse che una lotta per un nuovo equilibrio delle potenze, chi può garantire la stabilità del nuovo accordo:

c) ciascuno dei grandi popoli deve avere assicurato uno sbocco diretto verso le grandi vie del mare;

d) ci deve essere una pace senza vittoria.

Una Vittoria significherebbe una pace imposta a colui che perde e le condizioni del vincitore imposte al vinto.

5) Quale sia il reale stato d’animo nei paesi dell’alleanza e nei paesi nemici.

Come reagiscono i popoli alle ripercussioni economiche e sentimentali di tre anni di guerra:

Che significano, per esempio, gli ultimi scioperi in Francia:

6) Se ora agli alleati e se dopo, al futuro congresso generale della pace, sempre saranno sottratti ad ogni esame gli accordi della recente conferenza imperiale britannica, la quale, trasformando radicalmente il sistema doganale dell’impero e di tutte le sue parti, stringendo un quarto del mondo, uomini e mezzi, in un sistema chiuso colossale, compromette evidentemente con l’immenso contraccolpo della sua influenza sulla vita economica universale i futuri rapporti economici degli Stati da stabilirsi come corollario della guerra.

Al ministro della Guerra:

1) quale è stata la reale portata delle ultime offensive in Europa:

Quali le speranze di cacciare militarmente il nemico, che occupa l’Europa centrale, e risolvere la guerra con la guerra:

In subordine gli chiede quali speranze vi siano di ridurre il nemico alla resa a discrezione per ragione dell’esaurimento economico e in che limiti di tempo l’evento augurato sia da attendersi.

A queste domande il Governo ha il dovere di rispondere con lealtà e chiarezza.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, ministro dell’Interno.

Dichiara che può rispondere subito alle domande rivoltegli dal deputato Treves.

Circa l’esistenza di una polizia militare che eserciterebbe una azione concatenata con quella della polizia civile, osserva che un esercito in guerra è una vera società e quindi vi si trova tutto ciò che c’è nel campo civile.

Esso ha quindi, come tutti gli altri eserciti della guerra attuale, una vera polizia.

Una divisione netta e precisa tra le azioni delle due polizie non è possibile:

come la polizia civile trasmette agli altri dicasteri le notizie che a questi interessano, per esempio quelle diplomatiche al ministero degli Esteri, così fra le due polizie, quella civile e quella militare, vi è un continuo scambio di informazioni.

Quanto alle fiches accennate dal deputato Treves, egli crede facciano parte di leggende diffuse.

Egli poi non sa se quella circolare dell’ex ministro Morrone si fonda sulle informazioni raccolte dalla polizia militare.

Quanto alle altre domande rivoltegli, relative alla difesa da lui fatta dell’opera del commendatore Vigliani, egli già accennò alla riservatezza con cui deve parlare di quell’argomento:

egli ha già dato quelle informazioni che, come ministro, poteva dare in via obbiettiva e non può ora dare particolari sui sospetti che a quel fatto si riferiscono.

COLONNA DI CESARÒ.

Nota che due sono i più importanti problemi che ci occupano in questo momento; quello generale della guerra e l’altro della capacità dell’attuale Governo a superare le difficoltà dell’ora presente.

Relativamente al primo osserva che se unico è il programma degli alleati, pure possono sorgere differenze di apprezzamento sull’azione da svolgere.

Quanto all’attuale Governo, ammette che ebbe dei successi all’estero e raggiunse la pace all’interno.

Ma, come avvenne del Ministero Salandra, che cadde per le sue indecisioni, nonostante il merito di aver scelto la via dell’onore e di avere abbandonato quella della viltà, così la posizione del Ministero nazionale è ora scossa, per la debolezza che ha dimostrato in diverse occasioni e per i periodi di assopimento che attraversa dopo innegabili atti di energia.

Poco esso ha saputo fare per valorizzare all’estero la nostra entrata in guerra e l’opera del nostro esercito.

È un grave inconveniente che l’onorevole Sonnino abbia soprattutto cercato di moralizzare la guerra dell’Italia;

ma pur troppo si può dire che abbiamo fatto la politica delle mani nette coi guanti sporchi, perché abbiamo dovuto precisare a poco a poco le nostre aspirazioni, ciò che sarebbe stato meglio fare in una volta sola all’epoca del nostro intervento.

Parlando del problema polacco e del problema czeco, si domanda se il nostro Governo ha fatto l’analisi di tutti i problemi nazionali che concorrono nel caos questa guerra e che hanno grandissima importanza per la decisione delle sorti della guerra stessa.

L’Italia non può disinteressarsi neppure del problema armeno, del quale l’onorevole Sonnino ha parlato solo di recente, né del problema arabo.

Si dovrebbero studiare tutti i problemi più importanti relativi alle diverse nazionalità e proporne le soluzioni d’accordo con gli alleati.

Passando alla situazione in Macedonia, nota che essa è difficile:

il contingente italiano è il migliore, ma il comando è in mano dei francesi, che purtroppo fanno della politica personale.

È necessario che quell’esercito che è a Salonicco sia sotto un comando che lo curi:

là purtroppo c’è un regime di ripicchi fra gli alleati.

Nota che l’Italia non ha mire imperialistiche di conquista, ciò che non avviene per gli altri alleati, almeno secondo le indiscrezioni di alcune sedute segrete di altri Parlamenti.

Lamenta il trattamento che abbiamo fatto verso i nostri irredenti, sia nei riguardi delle persone che si trovano in Italia, sia per gli affidamenti che dovremmo dare a quelle regioni sotto il punto di vista economico, per quando saranno unite all’Italia.

Accenna a diverse manchevolezze dell’azione governativa, sia per ciò che si riferisce alla repressione dello spionaggio che viene esercitato da sudditi stranieri, sia per i ritardi nelle concessioni delle pensioni, sia per altri riguardi.

Afferma che l’attuale Ministero non ha una mentalità di guerra e critica la posizione di diversi ministri e il modo come si è svolta l’ultima crisi.

Crede che a dirigere la guerra sia necessario avere ora uomini più giovani e che abbiano sentito fin dall’inizio la necessità del nostro intervento.

Il Ministero ha perduto l’autorità che aveva, e nel suo complesso non funziona:

Vi manca l’energia direttiva ed è pletorico, sicché non risponde alle esigenze del Parlamento e del paese.

PRESIDENTE.

Comunica che il Governo ha presentato un progetto di legge per l’esercizio provvisorio di un mese:

venne passato alla Giunta del bilancio.

La seduta termina alle ore 19.

IL PRESIDENTE MORELLI-GUALTIEROTTI

IL SEGRETARIO PAOLO BIGNAMI

COMITATO SEGRETO del 26 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MORELLI-GUALTIEROTTI

La seduta incomincia alle ore 14.

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente, che è approvato.

PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto congedo, per motivi di salute, gli onorevoli:

Morelli Enrico di giorni 8, Saraceni di giorni 4.

(Sono conceduti).

DE FELICE-GIUFFRIDA.

Non intende muovere biasimi ed attacchi al Governo, dovendo parlare di politica interna e spionaggio e politica militare, argomenti che riguardano il ministro Orlando, che dopo il suo successo è fuori di questione, ed il ministro della Guerra, che è fuori di combattimento essendo di nuova nomina.

Si intratterrà di fatti e di argomenti che interessano la politica del paese, sorvolando sulle persone.

Non reputa degni di biasimo i tedeschi che si trovano in Italia anche se intrigano e spargono false notizie, perché lavorano nell’interesse del loro paese.

Non divide l’opinione del ministro Orlando circa l’allontanamento dei tedeschi dal nostro paese, perché ritiene che la presenza loro in Italia ne avveleni la coscienza influendo sui deboli e sui degenerati.

Non vorrebbe dubitare di nessuno dei 4.000 tedeschi che si trovano in Italia, ma le prove fatte in America, i pericoli che corrono le navi, i travestimenti di monsignor Gerlach insegnano che da loro dovremmo guardarci.

La storia della guerra del 1870 insegna che furono le più belle signore tedesche che compromisero l’esistenza della Francia.

I tedeschi che qui si trovano non sono così poco temibili come l’onorevole Orlando ritiene.

Cita l’esempio tipico della istitutrice dell’onorevole Guicciardini:

accenna all’altro esempio della cognata del generale Conrad che abita in Arezzo ed è moglie dell’ispettore forestale Dall' Agata, della quale l’onorevole La Pegna potrà dire qualche cosa.

Del resto non deve far meraviglia se un prefetto od un sottoprefetto tollerino che una signora austriaca si trovi a continuo contatto con ufficiali reduci dal fronte, quando il direttore generale delle foreste, il commendatore Sansoni, nel giugno 1916 sotto un telegramma annunciante la visita a Vallombrosa del comandante il corpo d’armata di Firenze scriveva:

«Attendere le disposizioni di S. E. il generale Conrad».

Ciò avveniva all’indomani dell’offensiva austriaca e dimostra lo scarso senso di italianità di quel funzionario.

Bisogna che l’onorevole Orlando si persuada della necessità di sorvegliare questi tedeschi.

Molti rappresentanti dell’Italia all’estero hanno mogli tedesche ed ungheresi.

Cita vari casi;

è necessario che il ministro degli Esteri vigili maggiormente.

Gli chiede se il conte Aldrovandi, suo capogabinetto, sia figlio di una austriaca, la quale a Bologna non nasconda i suoi sentimenti austriacanti, e come mai egli lo mantenga a quel posto.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Ho altissima stima di lui e non ho che da lodarmene.

CHIESA EUGENIO.

Bisogna vietare i matrimoni dei diplomatici e degli ufficiali con delle straniere.

DE FELICE-GIUFFRIDA.

Ammette che non tutti i tedeschi esercitino lo spionaggio, ma bisogna essere in questo momento molto guardinghi e molto sospettosi.

Cita vari casi, tra i quali quello della vedova del generale conte Pollio, che aveva un fratello ufficiale austriaco che frequentava l’archivio dello stato maggiore italiano e che da altra signora tedesca, da poco mancata ai vivi, ebbe un lauto assegno vitalizio.

CAPPELLI.

Protesta contro le parole dell’onorevole De Felice dicendo che egli indegnamente calunnia due signore, delle quali una è morta e l’altra è senza nessuno che la difenda.

Assicura che la signora morta non ebbe a lasciare a questa neppure uno spillo.

DE FELICE - Giuffrida.

Prende atto della rettifica, che gli fa immenso piacere.

PRESIDENTE.

Prega l’oratore di volere attenersi ai fatti di cui ha la prova provata, senza sollevare disgustosi incidenti.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Dichiara che parlando di signore e professori aveva il solo scopo di dimostrare come tutto in Italia tende alla penetrazione tedesca.

Cita i nomi di molti professori sparsi in Italia per diffondere le idee germaniche.

Nell’ambiente militare succede lo stesso.

Dice che vi sono direttori ed impiegati tedeschi od austriaci alla fabbrica di celluloide di Serra San Bruno, alla fabbrica di munizioni di Cairo Montenotte, alla società delle filovie per il trasporto del carbone a Genova, in una fabbrica di lana a Prato, nella fabbrica di glicerina di Catania, in quella Franco Tosi a Legnano, nella società di mercurio di Monte Amiata, ove si dice che sia interessato lo stesso Kaiser e dove per ben due mesi prima della dichiarazione della guerra dimorò il principe Eitel.

Da quest’ultimo nei mesi di giugno, luglio e agosto 1915 furono esportati per ben 60.000.000 di lire di metallo.

DALLOLIO, ministro delle Armi e munizioni.

Dichiara che risponderà in una sola volta a tutte le osservazioni che riguardano il suo dicastero.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Accenna ad esportazioni di seta in Svizzera che poi passava in Germania per costruzioni belliche.

Accenna all’ex deputato Marghieri ed al senatore Pirelli.

Dice che la Germania e la sua alleata difettano di viveri, tanto è vero che una ditta tedesca ne propose lo scambio con medicinali e, per riuscire nell’intento, cambiò il nome tedesco in uno italiano, e cosi l’affare fu combinato.

Parla di questi fatti, perché non si ripetano più;

non intende di colpire l’onorevole Salandra, che ha il merito di aver voluto la guerra e del quale ha piena stima.

In seguito ad alcune interruzioni dei socialisti dice:

io sono socialista e rivoluzionario quanto e più di voi, ma sovratutto io mi sento italiano.

Accenna allo zolfo italiano andato liberamente in Austria e in Germania, dove serve alla confezione dei gas asfissianti.

Nota che, mentre i nostri figli ed i nostri fratelli si battono alla fronte, si tenta di assoggettare alla Germania tutte le nostre migliori industrie ed i nostri commerci.

Denuncia la formazione di un trust per lo zolfo sotto l’alto patronato della Banca commerciale.

Così abbiamo corso e continuiamo a correre gravi pericoli.

Dice dell’attentato alla polveriera di Monte Pellegrino ed alla fabbrica di munizioni di Catania;

accenna a siluramenti di navi dipendenti da non dubbie corrispondenze tra i sottomarini e gli osservatori in terra ferma.

A convalidare le sue affermazioni porta varii esempi.

Dice che in Sicilia non vi sono idrovolanti per la difesa contro i sommergibili in collaborazione con le torpediniere e specialmente nel triangolo Messina-Catania-Malta.

Asserisce che vi è il sospetto che vi siano molti punti sulla costa per il rifornimento dei sommergibili, tra questi un torrione di proprietà del Kaiser nei pressi di Palermo.

Dice che a Catania vi è un ingiustificato traffico di benzina, che il ministro dell’Interno dovrebbe far controllare.

Accenna ad esportazioni di anilina per conto di certo conte Bonacossa di Vigevano.

La Camera non deve meravigliarsi di ciò che è avvenuto, data la nostra noncuranza.

Affida alla cura dell’onorevole Orlando la grave questione che egli ha con casi pratici indicato, pure osservando che simili fatti sono successi anche nei paesi nostri alleati.

Egli non biasima la politica liberale dell’onorevole Orlando, ma non comprende e non approva che una così squisita forma di libertà sia accompagnata da una censura che impedisce di far conoscere al paese queste insidie di nemici interni.

Dice che si è troppo transigenti con la parte clericale;

ammira i religiosi che alla fronte e nel paese hanno compiuto il loro dovere verso la patria;

deplora coloro che invece sotto la stessa veste la combattono.

Parla di nuovo del caso Gerlach ed Archita Valente, ed a proposito di questi accenna al memoriale presentato dall’onorevole Bruno di Belmonte.

Dice che ufficiali tedeschi travestiti da preti giravano per Roma;

parla della propaganda del generale dei gesuiti;

accenna a Luca Cortese, che con tanta facilità ritirò ingenti somme da una Banca cattolica di Roma, e raccomanda all’onorevole Orlando di verificare se monsignor Gerlach depositasse somme rilevanti in questa istessa banca.

Sono questi fatti che deplora e che bisogna avere il coraggio di colpire:

qualunque sia l’abito rivestito, tutti devono essere uguali davanti alla legge.

Conclude questa parte del suo discorso chiedendo una politica liberale e democratica, tutta rivolta alla integrità, grandezza ed avvenire della patria.

LA PEGNA.

Per fatto personale, conferma quanto ha detto l’onorevole De Felice riguardo alla cognata del generale Conrad, che abita al ristorante Savoia di Arezzo.

Alcuni ufficiali lo sollecitarono ad avvertire del fatto il Governo.

Egli ne parlò al prefetto, che lo assicurò che si sorvegliava vigilmente detta signora, la cui condotta però non aveva dato luogo ad alcun rimarco.

BONACOSSA.

Per fatto personale, dice che né direttamente né indirettamente ha preso parte all’affare denunciato dall’onorevole De Felice, ed aggiunge che di famiglie conti Bonacossa non esiste che la sua.

BRUNO.

Per fatto personale, dice che nell’ottobre 1914 sorse tra persone rispettabili un comitato per contrapporre un’opera attiva a quella spiegata da chi voleva sostituire al Governo la piazza.

Vi fu una riunione in Roma, lui assente, alla quale parteciparono i senatori Grassi, Fabrizi, Blaserna ed altri, dove fu decisa la necessità di guidare queste forze.

Questo comitato trovò aderenti anche a Milano ed altrove, e fra gli altri i senatori Ponti, Canzi, Cofirari, Albertoni, Della Noce, Corsini, Eugenio ed Ippolito Nicolini, Barzellotti, Serristori ed i deputati Padulli, Degli Occhi, Sioli-Legnani, Taverna, Giordano, Vinaj, Pennisi, Di Mirafiori ed altri cospicui cittadini.

Solo più tardi si infiltrò un Archita Valente, che nessuno pensava potesse essere una spia.

Ritiene che l’opera sua sia stata ispirata ad un alto senso di patriottismo e crede di aver dato esaurienti spiegazioni.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, ministro dell’Interno.

Rileva che nulla può esservi di comune tra direttive di politica interna e indulgenza per il malfattore o per il traditore.

E i doverosi riguardi verso il Vaticano non hanno avuto alcuna influenza verso chi fu processato e condannato sebbene nel Vaticano avesse avuta la sua residenza.

Circa le molteplici denuncie fatte dall’onorevole De Felice, egli non può rispondere nulla di preciso.

Quando l’onorevole De Felice in un colloquio privato ebbe a denunciargli molti fatti, egli, eseguite le indagini del caso, accertò la verità e la consistenza di alcuni di essi e provvide di conseguenza.

Ugualmente si comporterà di fronte alle nuove denuncie.

Quanto alla signora che è cognata del generale Conrad, rileva che essa è nativa di Trieste, che sposò una prima volta un italiano, e che per ottenere in confronto di questi il divorzio, ottenne la cittadinanza ungherese, pur rimanendo in Italia.

Si unì poi in seconde nozze nuovamente con un italiano, che è un ottimo e distinto funzionario del Ministero di agricoltura.

È la sorella di questa signora, triestina anch’essa, che è sposa del Conrad.

Pare a lui che la stessa questione sollevata nella nostra Assemblea, potrebbe essere sollevata nella Camera austriaca nei riguardi della signora Conrad:

Ma egli può assicurare nel modo più sicuro e reciso la Camera che la predetta signora è così rigorosamente sorvegliata che non le è assolutamente possibile corrispondere con sua sorella o con qualunque altra persona sospetta.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Riprendendo il suo discorso si occuperà di questioni militari e dirà qualche dolorosa verità che è utile la Camera conosca.

L’onorevole Chiesa, accennando ad un episodio dell’ultima offensiva, disse che erano accaduti fatti spiacevoli dovuti alle condizioni particolari in cui l’azione si svolse;

e il ministro con nobili parole, ricordando lo sperimentato valore dei siciliani, dichiarò non facili le indagini sulle responsabilità di quel doloroso episodio.

Tali parole hanno lenito il dolore delle anime nostre di siciliani e di italiani.

Ma è giusta la condanna all’infamia di un reggimento che ha meritato la medaglia d’oro al valore, per un incidente doloroso che non può essere stato effetto di volontà ma di circostanze e di errori:

Non si infligge l’onta del disonore sopra una regione, quando poi si deve confessare che le indagini sulla responsabilità di quel fatto non sono facili e non sono compiute, secondo le dichiarazioni stesse del ministro.

È possibile che un ordine del giorno, come quello lanciato dal comandante della 3a armata, sia mantenuto; che persino i figliuoli dei disgraziati soldati componenti i reparti caduti nelle mani del nemico debbano soffrire crudelmente per una colpa dei padri non ancora documentata e provata:

Il 149° reggimento fu posto tra due fuochi:

ebbe ordine di occupare una posizione, il che fortemente fece;

senonché dopo ciò le artigliere nostre, credendo che gli occupanti fossero nemici, vi tirarono sopra;

e così, posti fra i due tiri di artiglieria, i soldati nostri parte soccombettero, parte cedettero al soverchiante nemico.

Illustra i meriti eroici del 149° fanteria, e deplora che negli ultimi mesi i meriti stessi non fossero più riconosciuti.

Ora perché non credere che quei soldati si siano sentiti diminuiti di fronte all’immeritato trattamento;

di fronte all’ingiustizia di quella circolare già ricordata, che sospendeva la concessione delle licenze soltanto per i soldati dell’isola:

Le parole di quella circolare non sono ispirate a criteri di equità e di giustizia.

Nella Sicilia non vi sono più disertori di altre regioni d’Italia;

e male è ripagata la medaglia d’oro al valore conquistata con tanti sacrifici, rivolgendo agli isolani tali parole, escogitando tali metodi di espressione ai danni di soldati di una nobilissima regione, non seconda ad alcuna negli sforzi e nei sacrifici per la guerra.

In Sicilia i disertori sono specialmente in quattro provincie: Palermo, Trapani, Girgenti, Caltanissetta.

E i disertori complessivamente non sono che i conosciuti e accertati 1.319.

(Commenti in vario senso.

Rumori).

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, Ministro dell’Interno.

È fuori di questione che la media dei disertori nelle provincie siciliane non è superiore alla media delle altre provincie d’Italia.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Non è neppure soddisfatto delle nobili dichiarazioni del ministro dell’Interno, perché occorre ricordare che tra i disertori della Sicilia vanno annoverati tutti gli isolani emigranti per le imperiose necessità della vita.

Ecco perché appare assolutamente ingiusta la circolare del Comando supremo, che può aver contribuito a creare quello stato d’animo che spiega molte cose del doloroso episodio.

Ricorda che i reggimenti siciliani e sardi sono con gli alpini fin dal principio della guerra sulla linea del fuoco, sì che la necessità di dare a tali reggimenti un turno di riposo appare ormai evidente e tale da imporsi all’attenzione e alle risoluzioni del Comando supremo.

GIARDINO, Ministro della Guerra.

Deve respingere l’invito a ritirare la punizione inflitta al 149° reggimento e al battaglione del 71°, punizione che non colpisce una regione ma reparti di truppa che non hanno compiuto tutto il loro dovere di fronte al nemico.

Per la negata concessione delle licenze ai soldati siciliani, occorre tener presente il momento speciale in cui quel provvedimento fu emanato.

In quei giorni la Sicilia dava una media di disertori superiore del doppio a quella delle altre provincie d’Italia.

Era un momento eccezionale e ciò non smentisce le affermazioni del ministro dell’Interno, perché si riferisce solo ad un episodio dell’ora.

È assolutamente arbitrario voler dedurre dalla momentanea negazione delle licenze per la Sicilia quanto avvenne in una tragica ora della nostra guerra, perché quel giorno si videro cadere nelle mani del nemico soldati provenienti da molti distretti d’Italia.

Conclude che solo una eccessiva suscettibilità ed un male inteso regionalismo possono avere suscitato un sentimento di offesa, che non esiste, che è fuori discussione, che non avrebbe ragione di essere.

PRESIDENTE.

Dichiara che il seguito di questa discussione è rinviato a domani alle ore 14.

Avverte inoltre la Camera che domattina alle 10 avrà luogo la seduta pubblica per l’approvazione dei due disegni di legge sull’esercizio provvisorio per il mese di luglio.

La seduta è tolta alle ore 19.

IL PRESIDENTE GIULIO ALESSIO

IL SEGRETARIO VALENZANI

COMITATO SEGRETO del 27 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE ALESSIO

La seduta incomincia alle ore 14,30.

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

DANEO.

Avendo saputo che il deputato De Felice si occupò ieri anche di esportazioni, quale ministro responsabile delle finanze dell’epoca accennata dall’oratore deve rettificare diverse cifre da lui riportate;

e ciò specie in difesa dell’opera svolta dal comitato delle esportazioni presieduto dall’onorevole Baslini, allora sottosegretario alle finanze.

Sulla esportazione del mercurio, che fu supposta di 60 milioni verso l’Austria e la Germania, spiega che dopo la dichiarazione di guerra non un quintale di mercurio andò nel 1915 verso quei paesi e che tutta l’esportazione fu diretta verso paesi amici ed ora alleati, in grandissima parte, ed in tenue misura verso paesi neutrali e quindi verso la Svizzera.

Dà particolari sui divieti emanati circa diverse esportazioni:

non si autorizzarono che esportazioni di limitate quantità, ad esempio, di zolfo, verso la Svizzera, e ciò in accordo con gli alleati e per avere in cambio delle altre merci che ci interessavano.

Nega che siasi autorizzato uno scambio di merci alimentari contro medicinali tedeschi.

La nostra politica delle esportazioni si ispirava anche allora alla necessità di far entrare dell’oro in Italia ed all’opportunità di non provvedere ad alcun rifornimento del nemico.

BORROMEO.

Dice che, per quanto il suo nome non figuri nel processo verbale della seduta di ieri, pure da alcuni colleghi ed amici gli fu riferito che il suo nome venne fatto quale aderente all’iniziativa dell’onorevole Bruno di Belmonte:

tiene quindi a dichiarare che non diede mai la sua adesione a tale iniziativa né intervenne mai a riunioni ed a conferenze provocate e tenute dall’onorevole Bruno di Belmonte.

SIOLI-LEGNANI.

Ricorda che l’onorevole Bruno gli rivolse insistente invito ad intervenire a qualche adunanza:

può darsi che egli, per dovere di cortesia, abbia risposto in termini evasivi;

esclude di avere aderito alle sue iniziative.

DEGLI OCCHI.

Dice che, se l’onorevole Bruno fosse presente, una sua parola lo dispenserebbe dal fare una dichiarazione che, lui assente, deve fare sul verbale testé letto.

Egli ha avuto l’onore di presentare, ad una adunanza di cittadini, l’onorevole Bruno ed ha riassunto il suo dire ed il suo augurio col voto che «il Governo fosse ai terrori immobile ed alle lusinghe infido», voto che nella sua schietta italianità mantiene e rinnova.

PRESIDENTE.

Non essendovi altre osservazioni, dichiara approvato il processo verbale della seduta precedente.

BUONINI.

Dice che l’onorevole Sonnino accennò giustamente all’importanza di questi due nuovi fatti: la rivoluzione russa e l’intervento degli Stati Uniti d’America.

Quanto alla prima, nota che non c’è ancora in Russia un governo forte e rispettato e che è paralizzata l’azione dell’esercito, sicché non si sa se e quando possa incominciare la sua offensiva.

L’attuale inerzia di quell’esercito è stata di grande vantaggio agli Imperi centrali, perché ha permesso a questi di portare i loro eserciti sul fronte occidentale e sui nostri confini.

Data la nuova situazione, l’Intesa avrebbe dovuto adottare il piano di attendere risparmiando le sue forze.

Invece si venne ad una offensiva, neppure combinata in modo che si svolgesse contemporaneamente su tutti i fronti;

tanto è vero che l’azione nostra, per quanto gloriosa, venne combinata circa un mese dopo quella franco-inglese.

Nessun obbiettivo importante venne raggiunto, nonostante le perdite considerevoli subite.

Di più questa offensiva gli dimostra che l’Intesa persevera in un metodo che non dà buoni effettivi risultati.

Il sistema difensivo attuale è resistentissimo:

difficile è distruggere le artiglierie e le mitragliatrici che accerchiano con un potentissimo fuoco la fanteria attaccante.

Posizioni forti e ben difese si possono dire imprendibili.

Diversi esempi suffragano le sue affermazioni:

così dopo la battaglia della Marna i francesi non riuscirono a sfondare la linea difensiva tedesca;

Verdun è pure una prova della sua tesi, che trova anche conferma in quanto è avvenuto da noi sul Carso.

Solo quando manca o la forza delle posizioni naturali o la forza delle difese, o il nemico difetta di mezzi sufficienti, si possono tentare quegli attacchi di viva forza coi quali sino ad ora abbiamo cercato di sfondare le linee nemiche.

Egli crede sia meglio ricorrere all’attacco sistematico, così come si faceva una volta, quando, non riuscendo la presa di qualche piazza forte per impeto, la si assediava e la si attaccava in modo sistematico.

Ed infatti la pratica ed il buon senso dimostrano che, se si impiega maggior tempo a raggiungere l’intento, tuttavia di fronte alle perdite di uomini e munizioni detto attacco è preferibile, tanto più che l’attacco di viva forza genera sfiducia quando non riesce.

Occorrono per l’attacco sistematico capacità tecnica e mezzi sufficienti, l’uno e gli altri ora realizzabili nel nostro esercito.

La sua tesi è tanto più vera per noi in quanto ora alle difficoltà naturali grandissime del nostro fronte si sono aggiunte quelle inerenti al rinforzo notevole che le truppe nemiche hanno avuto per parte dell’esercito che prima stava al confine russo.

L’attacco sistematico permetterebbe anche di ridurre i nostri effettivi, in modo da poter meglio provvedere agli approvvigionamenti.

Esorta il Ministero dell’onorevole Boselli a tener conto delle sue osservazioni, tanto più perché occorre stare preparati per evenienze che è utile prevedere, e pertanto occorre risparmiare materiali ed uomini.

Loda l’onorevole Boselli per avere consentito a riunire la Camera in Comitato segreto:

il Parlamento desidera cooperare un po’di più nell’opera che si sta svolgendo:

esso deve essere informato di ciò che succede.

Propone che si costituiscano delle commissioni di informazioni, per raccogliere notizie, affinché ogni deputato possa dare il voto con maggiore coscienza.

Venendo alla politica estera, egli non ha potuto ancora comprendere quali siano gli scopi della guerra.

I nostri scopi sarebbero, si dice, la liberazione degli italiani, slavi, ecc. dalla dominazione straniera.

Ma come è possibile raggiungere questo risultato, se le zone di confine sono popolate da abitanti di razza diversa:

A quale delle due nazioni vicine si debbono annettere tali zone:

Ammette che è necessaria la sicurezza del confine, e quindi si deve aspirare ai nostri confini naturali, che sono le Alpi Retiche e lo sperone che va al Quarnero.

Chiede al ministro degli Esteri di precisare meglio le nostre finalità.

Rivolgendosi all’onorevole Bissolati gli domanda se, quando parlò in una assemblea di riformisti e vi portò la concordia fra diverse tendenze, parlò per conto proprio o per quanto conosceva come ministro.

Per ciò che concerne il ministro degli Interni, dice che la propaganda fatta per la guerra è stata utilissima, ma ha conchiuso poco, perché ha esagerato l’importanza di molti fatti ed ha voluto porre una data fissa per il termine della guerra.

La stampa poi ha esagerato sempre le condizioni degli Imperi centrali, che ha dipinto come se fossero agli estremi.

La censura dovrebbe anche essere applicata contro tali esagerazioni ed affermazioni.

ORLANDO VITTORIO EMANUELE, ministro dell’Interno.

Ella ha ragione, ma praticamente tanto varrebbe sopprimere tutti i giornali.

BUONINI.

Da ultimo osserva che bisogna che le popolazioni dimentichino l’affermazione che loro è stata fatta, che la guerra sia per finire;

e ciò deve essere un compito dell’apposita commissione di propaganda.

Occorre far capire a tutti che questa non è solo una guerra di rivendicazioni, ma anche di indipendenza.

Desiderare ora la pace vuol dire la pace separata e cioè la rovina del paese, della libertà e del nostro avvenire.

Conchiude con l’augurio che la popolazione riacquisti quell’entusiasmo e quella forza che ha dimostrato all’inizio della guerra.

GIARDINO, ministro della Guerra.

Intende dire poche parole per correggere l’impressione che la Camera può avere avuto sulla guerra dal discorso dell’onorevole Buonini, che vorrebbe si dessero dei consigli agli stati maggiori degli alleati.

Egli non può ora precisare la sua opinione, nel senso che possa essere favorevole o contraria alla tesi sostenuta dall’onorevole Buonini, perché non è bene parlare di ciò che si intende fare.

Egli rileva che la speciale tattica adottata proviene dal fatto che gli eserciti alleati circondano il nemico, il quale agisce per linee interne, e che noi dobbiamo pure camminare verso quegli obbiettivi che costituiscono le nostre rivendicazioni nazionali.

PALA.

Non si meraviglia che 90 deputati si siano inscritti a parlare in questa discussione;

egli anzi vorrebbe che tutti i 508 deputati dicessero la loro opinione qui, trattandosi dell’avvenire del nostro paese.

Approva le dichiarazioni dell’onorevole Sonnino sulla proclamazione dell’indipendenza dell’Albania:

toccava a noi, sorti in forza del principio di nazionalità, proclamarla per una regione della quale non possiamo scordare che abbiamo entro i confini 200.000 abitanti della sua razza.

Quanto alla Grecia, sebbene essa come nazione sia di data recente, dobbiamo ricordare che ad ogni modo è, nell’opinione di tutti i popoli, l’erede di un nome grande, perché è stata la madre della civiltà nel Mediterraneo.

Non crede che i nostri nazionalisti abbiano ragione di allarmarsi se essa alza la sua bandiera.

Noi d’altra parte siamo pure eredi di alte idealità che ci provengono da quelle conquiste politiche ed economiche che seppero fare le nostre città marinare, nel Medioevo, nel Mediterraneo;

sicché è necessaria una politica avveduta per conciliare le tendenze della Grecia con le tendenze dell’Italia.

L’oculatezza non sarà mai troppa, e l’incidente di Prevesa può insegnare qualche cosa.

Passando alla Russia, nota che quello è un popolo in formazione:

vorrebbe solo conoscere la risposta circolare che essa ha dato alle Note degli altri alleati ed alla nostra.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Non vi è ancora alcuna circolare.

PALA.

Continuando richiede al ministro degli Esteri qualche chiarimento sull’incidente Grimm-Hofmann...

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

È ormai risoluto.

PALA.

Replica che non tutti i paesi lo considerano come risoluto.

Nella Svizzera tedesca non abbiamo amici:

tutti i fatti che si svolgono colà sono manifestazioni di stati d’animo a noi contrari:

specie la parte militare ci è ostile.

Egli non desidera che sia dichiarata la guerra alla Svizzera.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Ci mancherebbe altro:

Guardiamo di non farne dei nemici.

PALA.

Continuando chiede qualche chiarimento anche sulla condotta della Spagna.

Non possiamo occuparci delle beghe interne di quella nazione, ma fino ad un certo punto, e cioè fino a quando non siano compromessi i nostri interessi.

Cita i danni alle navi degli alleati in vicinanza delle coste spagnole, arrecati da sottomarini tedeschi favoriti in tutti i modi da quelle popolazioni.

Accenna a spacci di benzina aperti a Barcellona per i sottomarini e ad altri atti che non dinotano certo neutralità nella guerra presente.

Domanda se, per la dignità nazionale, ci siamo uniti alle altre potenze nella nota che hanno inviato alla Spagna.

Chiede al ministro della Guerra se è vero che gli siano pervenute doglianze da parte di provincie i cui militari sarebbero stati troppo tormentati dalla guerra al nostro fronte.

Vorrebbe maggiori schiarimenti su certe deficienze che si sono manifestate, specie per i renitenti e i disertori e quali provvedimenti si intendano prendere.

GIARDINO, ministro della Guerra.

Ho già detto ieri quanto potevo dire.

PALA.

Chiede inoltre che si tolgano i ritardi troppo lunghi che spesso si verificano nelle risposte a domande di esoneri e di licenze.

In Sardegna per le coscrizioni sono avvenuti fatti deplorevoli:

la settima commissione ne ha fatte di tutti i colori, non salvando neppure la forma, perché invece di farla presiedere, come era prescritto, da un generale o da un colonnello, vi si è messo alla testa un maggiore.

Tre o quattrocento militari venivano esaminati assai superficialmente, mettendoli in fila e pronunciando un giudizio sommario rapidissimo.

Se i soldati sardi, come quelli delle altre regioni, si battono bene, non è giusto considerarli come soldati coloniali.

Venendo alla politica di guerra, osserva che noi eravamo affatto impreparati, perché alla guerra nessuno pensava, assorti come eravamo nel miglioramento economico del popolo.

Dopo la dichiarazione di guerra si sono fatte cose miracolose, costituendo un esercito di circa 4.000.000 di soldati con una spesa di circa venti miliardi.

Approva le dichiarazioni del ministro della Guerra circa la responsabilità, dinanzi al Governo, del capo dell’esercito.

Però nota che è diffusa l’impressione nel paese che mentre le masse si battono eroicamente, invece la condotta della guerra presenti delle indecisioni.

Il fatto Douhet, le dolorose giornate del maggio 1916, le stesse gloriose giornate di Gorizia rivelano delle divergenze di apprezzamento negli alti comandi.

Abbiamo proceduto a rilento.

Venne detta una strana frase:

«di qui non si passa».

Conteneva un programma o un equivoco:

Noi abbiamo, infatti, fatto la guerra non per difenderci, ma per rivendicare i nostri confini naturali.

Noi siamo vincitori, perché su terreno che prima era nemico;

ma potremo sempre considerarci come vincitori, e cioè potrà il paese resistere in una guerra a lunga scadenza:

La guerra durerà poco o molto a seconda del contenuto del trattato di Londra ed a seconda della resistenza nostra e degli alleati.

O noi riusciamo a schiacciare le potenze nemiche, ed allora la Germania pagherà caro i suoi misfatti;

ma se dovremo mercanteggiare la pace, i nostri ideali non saranno raggiunti.

In questa situazione gli si chiederà quali proposte può fare.

Egli risponde che queste sono di competenza del Governo responsabile.

Solo egli desidera che abbia maggiore impulso la guerra e che non venga usato alcun riguardo alle persone, perché si deve avere di mira soltanto l’avvenire d’Italia.

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Il Governo ha fiducia nelle persone che ci debbono condurre alla vittoria.

PALA.

Chiude dichiarandosi favorevole all’attuale Ministero, dal quale invoca solo una maggiore energia.

GRASSI.

L’opera del Parlamento deve essere integratrice dell’opera del Governo, ed il meccanismo di guerra si deve esaminare per suggerire i miglioramenti opportuni per condurre il paese alla vittoria.

Ed è bene che questo si sia fatto in Comitato segreto, come in Francia, dal quale uscì la ferma concordia di fronte agli eventi.

Bisogna esaminare se devonsi cambiare gli ordinamenti preparatori della guerra, senza riguardo alle persone.

Chiede di sapere quali avvenimenti si sono svolti nel seno del Governo, di cui nulla si conosce, specialmente nei riguardi dell’ultima crisi.

Esamina come fu composto questo Ministero nazionale, cui furono dati tutti i poteri ed i voti di fiducia.

Si lagna del dispregio che si è voluto spargere sull’istituto parlamentare e che tuttora continua.

Ritiene che la concordia nazionale non possa nascere solo dal concorso materiale dei partiti nel Governo, ma risieda nella sincerità reciproca e nell’unico pensiero del bene del paese:

bisogna che tutti concorrano a questo grande unico scopo, che tutti si diano la mano e cooperino al fine.

Esamina i rapporti tra i diversi poteri che guidano la guerra ed innanzitutto quelli tra il Governo ed il Comando supremo.

La politica tedesca di guerra emana dal Sovrano, mentre quella democratica francese si impernia nel Gabinetto.

In Italia si è data al Comando supremo una completa autonomia, mentre il Governo non ha che la parte amministrativa ed economica della guerra.

Trova che questo sistema poteva essere giovevole per una guerra breve, ma non lo è più ormai che tutto il nostro territorio può considerarsi in piena guerra, anche nelle nostre retrovie.

In questi rapporti tra Governo e Comando supremo non si vuole che questo assuma forma dittatoriale, ma vogliamo che sussista una forma coordinata col Governo ed il Parlamento.

Ricorda che presso il Comando supremo si è costituito un altro ministero della Guerra, creando una specie di dualismo, ed esistono perfino due polizie di guerra, come disse l’onorevole Treves, una all’interno e l’altra dipendente dal Comando;

queste suddivisioni non giovano al fine della buona condotta della guerra, ed inoltre manca il controllo.

Non sappiamo così se la preparazione fu adeguata, se c’erano i mezzi per questa guerra d’assedio, se le operazioni furono ben condotte o non si causarono delle perdite inutili e sanguinose.

Questo controllo e questa collaborazione sono necessari;

ed invoca perciò, da parte del Governo, maggiore fiducia nel Parlamento, che deve collaborare, come in Francia, per rinsaldare la difesa nazionale.

Accenna alle condizioni economiche interne, alla necessità di intensificare la produzione, specie in vista della guerra sottomarina, dei risultati della quale presenta alla Camera il quadro attuale, invocando dal Governo le necessarie difese.

Approva la politica estera nei riguardi dell’Albania.

Vorrebbe però una politica con gli alleati più chiara, e specialmente nei rapporti con la Grecia, oggi che la rivoluzione russa aggrava non solo la situazione militare, ma anche quella diplomatica;

poiché l’Italia è rimasta sola più direttamente interessata contro l’Austria, contro la quale non gli pare che gli alleati si mostrino altrettanto efficaci come contro la Germania.

Invoca la concordia degli animi, compresi tutti i partiti, in questa guerra di liberazione delle nazioni, condizione indispensabile per corrispondere allo sforzo del nostro popolo che combatte col sacrifizio di tanto sangue sulla terra e sul mare.

BUSSI.

Sarà breve e schematico.

Formula una domanda al presidente del Consiglio, cioè per quali ragioni sono usciti dal Governo il ministro della guerra e quello della marina.

Viene poi a parlare dei servizi sanitari in zona territoriale e documenta con citazioni l’ostruzionismo della vecchia burocrazia sanitaria militare alle correnti di pensiero e di modernità scientifica che il reclutamento dei medici aveva portato rinnovando ed innovando.

Deplora la ridda infernale di circolari contraddittorie in materia di licenze di convalescenza.

Critica la formazione ed il modo di funzionamento delle commissioni centrali sanitarie, spesso presiedute da generali dei carabinieri e del genio incompetenti che si permettono di controllare le proposte dei medici, dei clinici e scienziati.

Deplora ancora che per ordine superiore si imponga ai capi reparti e direttori di ospedali di convertire le dichiarazioni di malattie contratte a causa di servizio, rilasciate dagli ospedali da campo, in quelle di malattie non contratte in servizio.

Si costringono così gli ufficiali dipendenti a commettere una viltà o a dire una menzogna, e si danneggiano moralmente e materialmente i poveri feriti ed ammalati.

Vuole pertanto su questo precisi affidamenti, dal ministro Bianchi e da quello della Guerra, che ciò sarà evitato in avvenire.

Critica il modo di sgombro ed il metodo di far viaggiare da uno ospedale all’altro territoriale i poveri ammalati, che cambiano così cinque o sei ospedali e cinque o sei metodi di cura.

Critica e denunzia come si applicano le disposizioni ministeriali in confronto dei militari tubercolotici;

i gros bonnets militari sanitari ignorano le circolari e conoscono solo il regolamento, monumento archeologico, secondo il quale i procedimenti di accertamento clinico della tubercolosi sono i più anti-scientifici che si conoscano.

Parla infine della polizia militare, cui altri oratori hanno accennato, che non si ferma neanche alle porte degli ospedali, imponendo che sia negata la licenza ai sovversivi od a quelli ritenuti tali.

Ciò deve assolutamente cessare.

Bisogna ricondurre la funzione sanitaria alla sua nobile ed alta missione, perché non devono esistere disparità di trattamento e ingiustizie di fronte al dovere da tutti egualmente compiuto ed in nome di quella solidarietà sociale per coloro che pagano col sangue ed assolvono ai doveri più alti.

BIANCHI LEONARDO, ministro senza portafoglio.

Conferma in parte le osservazioni fatte dall’onorevole Bussi, ma richiama la Camera sulle funzioni del ministro senza portafogli, il quale è una espressione plastica di un simbolo politico e, mancando di potere esecutivo, non ha potuto che dare consigli al ministero della Guerra.

Tuttavia molti miglioramenti sono stati introdotti nel servizio sanitario, il quale, se non ha raggiunto gli ideali della perfezione desiderabile, molti e fondamentali miglioramenti ha presentato.

Ed è molto, quando si considera che è un organismo complesso che si è andato ricostituendo da un modestissimo nucleo di servizio sanitario, quale era quello che esisteva quando noi siamo entrati in guerra.

Ricorda specialmente le modificazioni introdotte nella alimentazione del soldato; secondo, la maggiore sveltezza nei giudizi sulla idoneità dei soldati guariti o dei coscritti che dichiaransi infermi o non idonei.

Alcune decine di migliaia di uomini sono rimasti sotto giudizio per molti mesi peregrinando per gli ospedali e nei depositi reggimentali.

I malati ricoverati negli ospedali di riserva erano assistiti da un numero grande, sproporzionato, di soldati nella proporzione di un soldato di assistenza su due od al massimo tre malati ricoverati.

Trattasi di alcune decine di migliaia di uomini utilizzati per l’esercito e per il lavoro.

Conviene negli inconvenienti lamentati dall’onorevole Bussi a riguardo dei tubercolotici.

Molti sono i tubercolotici:

in molte parti è stato possibile organizzare reparti speciali, separati, per l’assistenza e la cura dei tubercolotici.

Sono già sorti alcuni sanatori tubercolotici, altri sono già stati apprestati, e si stanno stipulando convenzioni cogli enti;

ma la lentezza è dovuta alle complicazioni burocratiche, che non sono eliminate.

Non può rispondere delle altre accuse rivolte al ministero, che sono più strettamente connesse ai servizi più direttamente dipendenti dall’amministrazione militare.

ORLANDO SALVATORE.

Prospetta le due preoccupazioni esistenti nei rapporti del nostro naviglio mercantile, cioè poca resistenza alla guerra dei sottomarini e condizioni nelle quali si potrà trovare al cessar della guerra.

In quanto alla prima constata la progressiva diminuita efficacia dell’opera nefasta dei sommergibili.

Ed in quanto alla seconda comincia con l’esaminare le perdite subite sinora dalle diverse marine del mondo: fino al 1° gennaio 1917 tonnellate lorde 4.558.500, delle quali: navi appartenenti alle nazioni alleate tonnellate lorde 4.021.500, navi neutrali tonnellate lorde 537.000.

L’Inghilterra per suo solo conto aveva perduto a quell’epoca tonnellate lorde 3.169.000;

l’Italia aveva perduto tonnellate lorde 240.000.

E dal primo gennaio al primo giugno corrente tonnellate lorde 141.000, in totale tonnellate 381.000.

A queste si devono aggiungere le navi estere da noi noleggiate, che si ritengono di circa tonnellate lorde 170.000, e perciò totale complessivo delle perdite italiane tonnellate lorde 551.000.

Perdita totale che avrà sofferto il mondo alla fine della guerra, purché cessi fra cinque o sei mesi, circa nove milioni di tonnellate.

E d’altra parte le navi che saranno state costruite da tutte le nazioni, dal principio alla fine della guerra, saranno circa da 4 a 5 milioni di tonnellate.

Quindi una deficienza di circa 5 milioni di tonnellate.

Di fronte a questo danno ritiene urgente provvedere alla difesa, cominciando dall’armare tutti i nostri piroscafi, compresi quelli che viaggiano in convoglio.

Intanto occorre provvederci di altre navi, requisendo anche quelle dei nemici.

Conosce che l’Austria ormai consente alla vendita delle sue navi internate nei porti neutrali a delle pretese società di navigazione svizzere costituitesi in questi ultimi mesi.

Bisognerebbe impedire questo fatto.

Degli armatori italiani stan facendo costruire delle navi in America, ma dubita che queste potranno essere requisite da quel Governo per le sue necessità di trasporto (truppa, armi, ecc.).

Se ne costruiscono anche in Italia e per conto degli italiani anche nel Giappone, ma bisognerebbe impedire che i nostri vendessero a quei Governi queste navi per il guadagno dei prezzi sempre crescenti.

È necessario che la nostra marina mercantile si trovi forte e numerosa pel dopo guerra, anche per potere con facilità trasportare tutto quanto sarà prodotto dai moltissimi opifici e stabilimenti industriali che oggi lavorano per la guerra e dopo dovranno necessariamente trasformare la loro produzione, non essendo possibile disimpegnarsi ad un tratto da tutta quella popolazione operaia, composta anche di donne, creatasi per i bisogni della guerra ed abituata a paghe elevate.

Ritiene sarebbe utile la sorveglianza e l’aiuto dello Stato ai cantieri privati per incoraggiare la costruzione del nuovo naviglio.

Chiude augurandosi una elevazione nella funzione parlamentare, che deve cooperare col Governo e col paese alla soluzione dei grandi problemi impostici dalla guerra.

ARCÀ.

Crede necessaria la regolarizzazione dei rapporti tra Governo e Comando supremo, cui si è accennato spesso nella presente discussione.

Accenna ai nuovi problemi creati dall’intervento americano e dalla rivoluzione russa, che ha fatto mancare l’efficienza di questo alleato sul fronte orientale, aggravando le condizioni del nostro fronte.

Tornando a parlare dei rapporti fra Governo e Comando supremo, dice che anche in conseguenza di queste nuove condizioni urge meglio precisarli, non potendo sussistere l’attuale dipendenza e molto meno divergenza tra i due poteri civile e militare.

Per ora questi rapporti tra i due poteri sono regolati dal regolamento dei servizi in guerra, che dà una somma enorme di poteri su tutto e su tutti, tanto da rendere possibile la coesistenza di due Governi, uno a Roma e l’altro a Udine, forniti ciascuno della sua particolare polizia, la quale, fra parentesi, funziona molto male.

Ed un altro decreto luogotenenziale del 23 maggio 1915 si è aggiunto ad ampliare i poteri del Comando supremo.

Ora egli crede che, in conseguenza dei nuovi eventi ed a causa del prolungarsi della guerra al di là del previsto, è necessario assolutamente che questi rapporti tra Governo e Comando supremo siano regolati da nuove norme, perché questa non è tanto una fondamentale questione giuridica, quanto una attuale ed ingente questione politica, che deve essere assolutamente risoluta.

Non trattandosi più di una breve parentesi nella vita ordinaria del nostro paese, temporaneamente turbata dal fatto bellico, parentesi che si prolunga da due anni e si prolungherà ancora per tempo non breve, ed essendo ormai tutta la nazione in armi, e mentre tutto il paese prende parte alla guerra, con tutta l’esplicazione dell’appresto dei mezzi necessari a tutti i bisogni della guerra;

questo fatto non può più dipendere esclusivamente dal solo Comando supremo, perché ciò importa l’organizzazione della resistenza di tutto un popolo.

Anche la funzione propriamente specifica, tecnica, militare, che si attiene alle operazioni vere e proprie, diventa ogni giorno più un grosso problema politico, di consumo di uomini in relazione alle riserve disponibili, d’impiego di materiali in relazione alla potenza di organizzazione industriale.

In forza del decreto citato 15 maggio 1915 si previde soltanto la necessità di comunicare al Comando supremo, da parte dei ministri competenti, tutti i provvedimenti del Governo che possono avere influenza sull’andamento delle operazioni militari.

Ora qual’è il provvedimento, fra le centinaia che il Governo va continuamente emanando, che non abbia diretto o indiretto rapporto con la guerra:

Ma è certo che con quella enorme somma di poteri spettante al Comando supremo era impossibile che questo non si considerasse come indipendente ed anzi come superiore al Governo stesso.

Del resto la misura della invadenza e della sopraffazione di poteri da parte del Comando supremo si ha osservando quello che questo ha fatto in materia di gestione dei servizi civili.

Non si è contentato dei diritti e delle facoltà accordate ai comandi delle truppe operanti dal servizio in guerra e dall’articolo 251 del Codice penale per l’esercito, per i casi di indifferibile necessità e di flagranza di occupazioni:

tale gestione militare non fu abolita, qualche volta fu anche prolungata come a Gorizia ed anche in quei paesi che non son tuttora sotto la minaccia del cannone, come a Caporetto.

Ed il Comando supremo ha preso per sé il potere di mantenere il diritto preesistente, pur riservandosi la facoltà di modificare le leggi, di escluderne l’applicazione, di prescrivere norme nuove e di estendere ai territori occupati le leggi del Regno;

si è investito di poteri giurisdizionali, e perfino di esame delle domande di grazia e del riconoscimento dei ministri del culto.

Che pensa il Governo di questa invadenza di poteri di ogni specie:

E non è questa una prova che la questione posta deve essere risoluta d’urgenza:

L’esperimento del Governo nazionale non è riuscito, perché non si fece la revisione dei poteri e delle attribuzioni reciproche.

Ed il ministro Bissolati venne al fronte più come combattente che come rappresentante del Governo.

Ciò deve assolutamente cambiare, se si vuole un vero Comitato di guerra, che abbia autorità anche presso il Comando supremo.

Quando questo avverrà e quando il Governo centrale avrà la coscienza della propria responsabilità di fronte al Parlamento ed al paese, allora si potranno avere le spiegazioni di tanti avvenimenti della guerra che per ora sono rimasti inspiegabili (mancata avanzata nel principio della guerra, offensiva nemica nel Trentino, occupazione di Gorizia, ecc.).

È essenziale anche per fissare le responsabilità della condotta della guerra.

Secondo il servizio in guerra, la responsabilità spetta interamente ed esclusivamente al comandante supremo.

Ma questa è evidentemente responsabilità puramente storica.

Politicamente della condotta della guerra è sempre responsabile il Gabinetto, non solo perché nomina il capo di stato maggiore dell’esercito, che diventa poi il comandante supremo, ma perché, specie richiedendo la guerra l’impiego di tutti i poteri d’imperio, la responsabilità ricade al Gabinetto nella sua totalità.

Occorre dire una sincera parola sullo spirito delle nostre truppe, sul loro morale.

Dopo due anni di guerra i nostri soldati sono degni più che mai di tutta l’ammirazione del paese.

Non vi è, in guerra, non vi deve essere quell’entusiasmo che è preteso solo da chi non sa che cosa sia la guerra attuale;

ma al fronte è vivo, oggi più che mai, il sentimento del dovere, che è sentimento più puro, più profondo, più fattivo dell’entusiasmo, che spesso è solo una parola.

Ma se pur qualche reparto avesse mancato al suo dovere, di chi la colpa:

Si guardi ai capi:

dopo due anni di guerra si dovrebbero conoscere gli uomini della guerra, prima delle azioni.

Sopratutto non si manchi di parola ai soldati.

Quando si promette il riposo, sia dia, e sia riposo vero.

Troppo poco si fa l’avvicendamento di fronte tra le varie brigate.

E si curino di più i bisogni morali e fisici dei soldati.

Occorre migliorare l’alimentazione ed aumentare il pane.

Soprattutto i combattenti hanno bisogno insopprimibile di giustizia, hanno bisogno di sapere che tutti quelli che hanno il dovere di combattere siano al fronte:

Abbiamo un complesso meraviglioso di ufficiali di complemento e della territoriale, che fanno veramente onore alle classi intellettuali d’onde provengono.

Abbiamo ora, e ne occorrono di più, artiglierie e munizioni.

Possiamo raggiungere gli obbiettivi delle nostre aspirazioni nazionali, ma non vi è margine per nuovi errori.

Ci pensi il Governo:

PRESIDENTE.

Il seguito di questa discussione è rinviata a domani alle ore 14.

La seduta termina alle ore 19.

IL PRESIDENTE RAVA

IL SEGRETARIO GESUALDO LIBERTINI

COMITATO SEGRETO del 28 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE RAVA

La seduta incomincia alle ore 14.

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Chiede la parola sul processo verbale, essendo ieri assente quando l’onorevole Daneo rilevò alcune circostanze da lui esposte.

Conferma che sono state esportate le 200.000 tonnellate di zolfo e può provarlo con documenti.

Conferma ancora che furono esportate 60.000 tonnellate di minerale di mercurio in Germania, tanto vero che questa spedizione fu gravata da un assegno da parte del Governo italiano.

BRUNO.

In seguito alle dichiarazioni fatte sul processo verbale nella seduta di ieri da alcuni deputati, dà ulteriori spiegazioni sul comitato sorto per gli interessi nazionali.

DANEO.

Dichiara che prenderà visione dei documenti annunciati dall’onorevole De Felice, e frattanto fa presente alla Camera che l’esportazione di minerale di mercurio in tutto il 1915 fu di 8.500 quintali.

DE NAVA, ministro dell’Industria e commercio.

Desidera far presente alla Camera che quanto disse l’onorevole De Felice in riguardo all’esportazione dello zolfo si riferisce al periodo antecedente alla guerra.

In quel periodo non vi era divieto di esportazione, che fu emanato nel maggio 1915.

Dichiara che questa esportazione non venne fatta nella cifra di 200.000 tonnellate ma solamente dalle 10 alle 12.000 tonnellate.

I documenti ai quali ha alluso l’onorevole De Felice si riferiscono ad una domanda di esportazione fatta a mezzo del delegato commerciale di Londra, che non ebbe poi seguito.

DE FELICE - GIUFFRIDA.

Per fatto personale, insiste leggendo una lettera diretta al capitano dei carabinieri in Girgenti.

PRESIDENTE.

Dichiara approvato il processo verbale.

MARCELLO.

Ricorda alla Camera che oggi ricorre l’anniversario della morte del compianto collega Brandolini, caduto gloriosamente sul campo di battaglia, e verso la sua memoria pronuncia affettuose e commosse ed applaudite parole.

PRESIDENTE.

Si associa a nome della Camera.

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Si associa a nome del Governo.

PRESIDENTE.

Annuncia che hanno chiesto un congedo:

l’onorevole Brezzi, di giorni 4, per motivi di famiglia;

l’onorevole Cavagnari, di giorni 15, per motivi di salute.

(Sono conceduti).

SALOMONE.

Esamina le ragioni che provocano il grave malcontento che serpeggia nel paese.

Accenna alla grave questione degli esoneri, a proposito dei quali dice che in certe regioni si è costituito un vero mercato.

In provincia di Bari pubblici funzionarii, ufficiali dell’esercito e medici militari favoriscono le esenzioni.

Fa presente che in certe regioni d’Italia la guerra è diventata una speculazione elettorale.

Dice che nel collegio di Corleto Perticara l’ex deputato Guidone, maggiore medico, faceva propaganda elettorale favorendo gli esoneri.

Nota che il mancato avvicendamento delle truppe al fronte, prescritto da circolare del Comando supremo, è causa sopratutto di malumore.

Accenna al 29° reggimento fanteria che troppo replicatamente fu impegnato in battaglia, tanto da averne perdite enormi.

Richiama l’attenzione del ministro della Guerra sulle necessità di provvedere per evitare disordini e disagio.

Rileva la disparità di trattamento fra operai ed agricoltori.

Accenna al malcontento per le limitate licenze agricole, che dovrebbero essere più estese nel Mezzogiorno, specie in Basilicata, dove vi è una grande emigrazione.

Accenna pure a parzialità e soprusi che hanno creato malcontento e fermento, favorendo nel Mezzogiorno anche la diserzione.

Circa la politica dei consumi, dice che l’autorità militare sperpera il pubblico danaro.

In relazione alla politica finanziaria dice che non bisogna farsi illusioni, perché l’avvenire riserva molte incognite, e quindi bisogna in tempo provvedere.

Ritiene che era meglio non favorire le offerte d’oro che possono dare molto poco, ed infondere invece nel popolo la necessità dei più grandi sacrifizi.

Dice che la politica agricola lascia molto a desiderare e che il nostro avvenire più che industriale sarà agricolo.

Parla della opportunità della propaganda all’estero e specialmente in Spagna, dove ancora abbiamo molte simpatie.

Lamenta la propaganda fatta contro il Parlamento e contro gli uomini che furono e che sono al Governo, ed elogia la politica del ministro dell’Interno, unica atta a togliere i dissidi.

Dice che tutti debbono riunirsi intorno al nome di Paolo Boselli, che ha dato le prove del maggior patriottismo.

NUNZIANTE.

Deve solamente rivolgere al Governo alcune domande che dovranno tranquillizzare la sua coscienza.

Il 1917 doveva essere l’anno della vittoria, ma uno dei maggiori fattori è venuto meno:

per l’inazione della Russia, Germania ed Austria possono ancora resistere e dai territorii occupati traggono il loro sostentamento.

Chiede se per ottenere la pace vittoriosa possiamo prescindere da ogni preoccupazione di tempo e di mezzi.

La defezione della Russia ha cambiato le condizioni, e ciò non può sfuggire all’onorevole Sonnino.

Bisogna quindi precisare i fini della nostra guerra.

Se la guerra dovrà continuare, necessita mantenere salda la compagine del nostro paese, facendo propaganda con parole che vadano al cuore dei nostri contadini e dei nostri operai sulla necessità di ogni maggiore sacrifizio.

Il Governo deve mettersi in condizione di assicurare che esso lavora per una pace vittoriosa, e a quali patti giusti e possibili.

Dice che troppo spesso si pronuncia nei vari settori della Camera la parola imboscati.

Non vuol credere che fra questi vi siano figli di deputati.

Se vi sono, bisogna pronunciarne il nome, perché non è lecito gettare su tutti il discredito.

TORRE.

Tratterà brevemente della politica estera.

Dice che se tutti dobbiamo essere concordi nei fini, è lecito dissentire nei mezzi; e ciò senza indebolire il prestigio del ministro presso gli alleati e di fronte al nemico.

L’altro giorno l’onorevole Sonnino ha dichiarato di non aver mai detto che l’Austria debba essere distrutta;

e da ciò sorge il dubbio che egli abbia mutato pensiero sui fini della guerra.

L’Italia entrò in guerra col patto di diventare dominatrice assoluta dell’Adriatico.

Da questo fatto e dalla risposta collettiva degli alleati data a Wilson il 10 gennaio 1917 risulta la necessità del disfacimento dell’Austria, perché essa rimarrebbe composta del solo Arciducato dell’Austria e del Regno di Ungheria, e con soli 20 milioni di abitanti fra tedeschi e magiari.

Vi è quindi contraddizione fra questa concezione e le parole pronunciate dall’onorevole Sonnino.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

L’altro giorno replicò all’onorevole Chiesa, perché non vuole che gli si faccia dire quello che non ha detto.

TORRE.

Insiste per sapere se vi è un mutamento nella visione delle cose.

È un diritto del Parlamento di sapere dove andiamo e che cosa vogliamo.

Desidera inoltre di sapere se quando entrammo in guerra il Governo stabilì i patti con gli alleati per il Mediterraneo e per le colonie.

Qui non si tratta di imperialismo, ma della grandezza e dell’avvenire d’Italia.

Nel Mediterraneo è necessario un equilibrio di forze, non nel vecchio senso, ma fondato sulla giustizia e sull’equità.

Chiede pure se furono allora stabiliti i patti per l’Oriente, per l’Asia turca e per le nostre colonie d’Africa.

Egli ritiene di no.

Infatti siamo alleati della Francia, dell’Inghilterra e della Russia, ma per una serie di circostanze non ci troviamo in perfetto accordo.

Ciò che succede in Grecia dimostra che egli ha ragione.

Circa l’Albania vi è pure disaccordo, specialmente per quanto riguarda i confini.

Avevamo il diritto di proclamarne l’indipendenza, perché ciò era nei patti di guerra;

ma il Governo inglese non ha approvato il momento, ciò che dimostra una volta di più il non perfetto accordo di azione.

Accenna all’Asia Minore, per la quale chiede al ministro degli Esteri se è riuscito ad ottenere ciò che giustamente domandava.

Egli ne dubita.

Quanto abbiamo ottenuto al convegno di San Giovanni di Moriana, secondo venne riferito dai giornali, non è che una piccola parte del programma italiano.

Tutto quanto egli ha esposto dimostra che l’accordo con i nostri alleati non esiste, perché le nostre giuste richieste non ci furono concesse.

Egli si domanda a chi spetta la responsabilità di tutto ciò.

Ritiene che questa responsabilità si debba attribuire all’onorevole Sonnino, perché fin da principio non ha tutto pattuito, sia per le colonie come per le altre questioni dell’Asia Minore e dell’Oriente.

Tutti lamentiamo questa politica di dispetti e di ripicchi dopo che abbiamo salvato l’Europa.

Dice che fino da principio si doveva comprendere che la nostra guerra non era una guerra italo-austriaca, solamente, ma anche contro la Germania.

Ciò ha creato sospetti presso i nostri alleati;

e dalla mancata dichiarazione di guerra la Germania ha saputo trarre vantaggi.

Insiste dicendo che il ministro Sonnino ha avuto soltanto la concezione di una guerra italo-austriaca.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

No:

no:

Tanto è vero che avevo combinato patti con la Germania in previsione di una guerra con essa.

TORRE

Ritiene che bisogna trovare il modo di intendersi con gli alleati.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Quando si entra in una alleanza, non si può imporre la propria volontà e bisogna transigere sulle cose minori.

Il modo di intendersi si trova ogni giorno, tanto che ora siamo in perfetto accordo.

TORRE.

Rivolgendosi al ministro dell’Interno passa a criticare gli errori della censura.

Necessita permettere alla stampa di discutere le questioni più importanti di interesse vitale per il paese.

Cita l’esempio che non è possibile dire una parola su ciò che avveniva in Grecia, ed altrettanto sulla questione jugoslava, che doveva essere a lungo discussa.

La censura deve vietare le pubblicazioni militari e politiche che possono recare danno, ma non discussioni sugli interessi vitali dell’Italia, che vengono invece liberamente fatte sulla stampa degli altri paesi.

L’oratore invita il Governo a rivolgersi alla stampa, che, secondo la tradizione italiana, può essere sua valida collaboratrice;

e conclude dicendo:

date libertà alla stampa e farete opera buona.

GORTANI.

Esprime opinioni in armonia con lo stato d’animo delle truppe con le quali ha vissuto.

L’esercito è naturalmente stanco dopo due anni;

ma alle cause naturali se ne aggiungono altre che sarebbe possibile attenuare o eliminare.

Le truppe combattenti non hanno compreso ancora perché non si siano attuati turni di passaggio fra le armi imboscate e i reparti di prima linea.

Parla in modo particolare dei carabinieri, della sussistenza, degli automobilisti.

Lamenta l’imboscamento di troppi ufficiali effettivi e le ingiustizie nella distribuzione delle medaglie al valore.

I combattenti hanno bisogno di sentire intorno a sé la riconoscenza del paese.

I convogli delle tradotte, la strapotenza dei carabinieri, la diminuzione delle razioni, le circolari disgraziate ed inopportune, gli insulti lanciati ad intere regioni dimostrano l’insufficienza psicologica e politica delle autorità militari e la necessità di una unione intima fra Governo e Comando supremo.

E le truppe debbono avere la sensazione di essere bene comandate:

quando gli ufficiali superiori non visitano il fronte e danno ordini erronei, e inesattezze e reticenze dei bollettini sono controllate dai combattenti, la fiducia dei soldati viene scossa.

Esprime la convinzione che è necessaria una più intima coesione fra Governo e Comando supremo, i quali si integrino a vicenda ed assumano solidalmente la loro responsabilità verso Parlamento e paese.

Ma condizione indispensabile per tale stretta e necessaria unione è un Governo di guerra forte e fortemente guidato.

L’oratore conclude invocando questo per il bene del paese, per assicurarci la vittoria.

MONTI-GUARNIERI.

Dà ragione del seguente ordine del giorno:

«La Camera, ritenuta l’urgenza di dare all’aviazione militare il maggiore impulso possibile, passa all’ordine del giorno».

Rilevata la delusione in lui destata dalle discussioni sin qui svolte in Comitato segreto e la contraddizione tra le critiche rivolte al Governo in genere e al ministro dell’Interno in ispecie, prima di questa discussione, con il plauso e l’approvazione anticipatamente conferita all’onorevole Orlando, dichiara che voterà per il Governo per non aprire una crisi che sarebbe veramente grave per il paese.

La politica militare, di cui forse soltanto si sarebbe dovuto discutere, e la cui discussione in ogni modo il paese pretendeva e pretende, per sapere se andiamo verso la vittoria o verso il baratro, è completamente mancata.

E così anche per la politica militare non si può oggi fare altro che un atto di fede, sperare, credere nella vittoria.

Venendo più propriamente al suo ordine del giorno, richiama l’attenzione del ministro Dallolio sull’importante problema.

Occorre costituire l’arma dell’aviazione, senza di che tutte le disposizioni a favore di essa non sortiranno gli effetti da tutti desiderati.

COTUGNO.

Dà ragione del seguente ordine del giorno:

«La Camera, udite le dichiarazione del Governo, le approva».

È giustificato il desiderio di sostituire gli uomini che sono al Governo con altri uomini per assicurare al paese quella vittoria che tutti vogliamo, alla quale tutti dobbiamo tendere:

Chi sono questi uomini nuovi, ai quali dovremmo affidare nelle condizioni così gravi del paese le redini dello Stato:

Le critiche rivolte alla condotta della guerra, i programmi esposti da alcuni oratori precedenti non affidano l’oratore, che approva completamente la politica estera dell’onorevole Sonnino.

La politica dell’onorevole Orlando merita anch’essa il suo appoggio, perché essa non merita la critica, che le è da alcuni rivolta, di favorire coloro che la guerra nostra intendono sabotare.

Il partito socialista non merita questa accusa, perché, pur rimanendo fedele ai suoi ideali, non sabota la guerra, non ostacola lo sforzo mirabile del paese nella guerra e per la guerra.

E neppure i cattolici, che hanno compiuto il loro dovere, debbono essere combattuti.

La politica dell’onorevole Orlando è politica di libertà ed è la sola che può essere seguita ed approvata.

CIRIANI.

Dà ragione del seguente ordine del giorno:

«La Camera rileva i pericoli derivanti e derivabili ai danni di una pace vittoriosa dalla politica dell’attuale Ministero nazionale e ne afferma superata la necessità».

Premette che dovrà parlare della politica di guerra, estera e interna con qualche dettaglio, perché la discussione attuale e le dichiarazioni di taluni dei ministri lo hanno determinato a non seguire oltre il Ministero nazionale, e quindi darà voto contrario.

La politica di guerra offrirebbe largo campo di rilievi e critiche.

Fra i maggiori tributi di guerra sta quello della vita, e i ricchi e i protetti vanno a gara per sottrarvisi.

Lo scandalo dello imboscamento, che demoralizza e deprime, tuttora dura.

Occorre fare una completa revisione degli esoneri, dei riformati, degli inabili.

E per coloro che sono addetti a stabilimenti si impone la militarizzazione degli esonerati.

L’aviazione fu male curata:

al fronte stanno circa 80 squadriglie, delle quali 8 da caccia e 15 da bombardamento.

Il resto è un vero bazar, dove spiccano i famosi S.P.2 dell’industria nazionale.

Si è fatto del nazionalismo a vantaggio della ditta Pomilio, alla quale pare si ordinino quattro o cinquecento apparecchi a lire 60 mila l’uno:

Ed anche l’aviazione offre asilo a coloro che si sottraggono alle fatiche del fronte, mentre essa manca di personale tecnico.

Per i sussidi alle famiglie dei soldati reclama che non si oppongano difficoltà dovendo considerarli come delle vere necessità di guerra.

Venendo alla politica estera, si domanda: quale la politica, quale l’azione esercitata dall’Italia nel periodo della preparazione alla detronizzazione di Re Costantino:

Pare che i francesi appena giunti a Salonicco abbiano fatto presente la necessità di sopprimere la dinastia non tedescofila ma tedesca.

Ma Sarrail si trovò contro i russi, che facevano politica dinastica, e contro pure gli inglesi.

Quali informazioni dié all’onorevole Sonnino il nostro ministro Bosdari:

Perché l’Italia non apparì fra le potenze che imposero l’abdicazione:

Afferma che dopo la rivoluzione russa rimasero a contrastare l’abdicazione inglesi e italiani.

Si afferma però che le due politiche in contrasto continuino anche ora;

e noi dobbiamo sapere le direttive della Consulta al riguardo.

È vera la riunione di una prossima conferenza diplomatica:

E il desiderio degli inglesi di richiamare l’esercito d’oriente:

Quale è in proposito il punto di vista italiano:

Il ritiro di quell’esercito aumenterebbe le forze nemiche contro di noi, avvantaggerebbe i bulgari, desta lo sgomento tra i serbi, peggiorerebbe la situazione della Romania.

È vero che questo proposito inglese sarebbe dovuto alla progettata spedizione in Palestina:

Occorrono spiegazioni e dichiarazioni che valgano a tranquillarci.

Quanto alla politica interna, deve rilevare che all’intero Gabinetto deve attribuirsi quanto è oggetto delle critiche e delle ansie di coloro che vogliono la resistenza interna, oltre che l’attività al fronte, senza debolezze, senza pentimenti, senza reazioni e senza transazioni.

All’onorevole Orlando si debbono riconoscere le enormi difficoltà nelle quali egli si deve dibattere.

Ma la sua politica non può essere che un mezzo e non una finalità:

la finalità è la vittoria, è la pace Vittoriosa, la pace equa.

Il Ministero ha una concezione errata del proprio compito e un metodo egualmente errato.

Fra la concordia e la vittoria non può essere dubbio nella scelta.

Si è dovuto fare una politica di accomodamenti, di adattamenti, mentre la guerra abbisogna di energie forti, e non può essere alimentata alle finalità della vittoria se non da un Ministero inspirato e concorde a queste finalità.

L’Italia chiama oggi alla realtà:

abbiamo votato la guerra e dobbiamo essere coerenti a questo voto.

Vogliamo una guerra per vincere e non per dimostrare che si poteva restar neutrali.

Ora pensare e propagandare una pace che non sarebbe che separata, la libertà divenuta licenza, tutto questo fango che sale, non può non allentare e sminuire la resistenza del paese, mentre il fronte ha bisogno di essere da questo sorretto.

Ad un Ministero che informa l’opera sua soltanto a sottigliezze e debolezze non si può dare ancora il voto di fiducia.

PRESIDENTE.

Dichiara che il seguito di questa discussione è rinviato a domani.

La seduta è tolta alle 19.

IL PRESIDENTE MORELLI-GUALTIEROTTI

IL SEGRETARIO VALENZANI

COMITATO SEGRETO del 29 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL VICE PRESIDENTE MORELLI-GUALTIEROTTI

La seduta comincia alle ore 14.

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente, che è approvato.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo.

Chiede la parola il ministro della Marina.

TRIANGI, ministro della Marina.

Fa la storia dei provvedimenti presi per la difesa e di quelli in corso di attuazione.

Rispondendo all’onorevole Federzoni espone quali siano i mezzi di difesa contro i sommergibili e dà affidamento che essi si vanno sempre più intensificando.

Circa la Leonardo Da Vinci risponde all’onorevole Libertini Gesualdo che la commissione d’inchiesta ha presentato la sua relazione, che egli sta esaminando.

Finito tale esame, prenderà risolutamente quei provvedimenti che risultino necessari.

Spiega pure quali siano stati i risultati dell’inchiesta per il disastro della Regina Margherita, affermando non essere esatto che il Comando superiore navale avesse dato ordine al comandante della nave di partire con qualunque tempo, invece sarebbe risultato che gli si era lasciata facoltà di fare all’ordine di partenza quelle varianti che le condizioni del tempo avrebbero suggerito.

CHIESA EUGENIO.

Desidera sapere se l’inchiesta fu disciplinare, tecnica o giudiziaria.

TRIANGI, ministro della Marina.

Disciplinare.

CHIESA EUGENIO ed altri.

È troppo poco:

TRIANGI, ministro della Marina.

Aggiunge che furono fatte due inchieste e che il suo predecessore non trovò elementi per l’intervento dell’autorità giudiziaria.

(Tumulto).

Aggiunge che non vuole sottrarre nessuno alla punizione che ha potuto meritarsi:

riesaminerà se è il caso di promuovere una altra inchiesta.

Voci.

Vogliamo l’inchiesta parlamentare.

BOSELLI, presidente del Consiglio.

Ammonisce di non addivenire a deliberazioni precipitose.

Per quanto in Comitato segreto, tutto, fuori dell’Aula, ha un eco:

Pensiamo che la marina è in combattimento ed i suoi capi non debbono essere sospettati.

Poiché il ministro assicurò che riesaminerà l’inchiesta, occorre, in questo grave momento, fidarsi del Governo.

TRIANGI, ministro della Marina.

Continua esponendo all’onorevole De Felice le condizioni in cui avvennero i siluramenti da lui segnalati, dicendogli come siasi fatto quanto più attivamente si poteva coi mezzi di terra e di mare disponibili.

Conchiude domandando alla Camera ed al paese di aver fiducia nella regia marina, che dà tutte le proprie forze alla preparazione della Vittoria.

Voci.

E la Benedetto Brin:

E la Garibaldi:

GIARDINO, ministro della Guerra.

Nota che la discussione intorno alle cose della guerra gli ha fornito molti elementi dei quali terrà il dovuto conto;

ma non può astenersi dal rilevare alcune circostanze di fatto.

Richiama l’attenzione sullo enorme improvviso sviluppo che l’esercito, al fronte ed all’interno, ha dovuto prendere dall’inizio della guerra.

Per conseguenza abbiamo avuto una vera specializzazione dei diversi personali, e si sono anche costituite branche nuove per i ruoli degli ufficiali.

Dall’improvviso sviluppo sono provenuti degli inconvenienti per le disposizioni affrettate che si sono dovute prendere.

Spera di poter provvedere in molte cose.

Circa l’impiego degli ufficiali effettivi e di complemento, noi siamo entrati in guerra con una proporzione di un effettivo a tre di complemento:

ora la proporzione è di uno a dodici, e in ciò ha contribuito il fatto che le perdite dei primi salgono a un terzo, quelle dei secondi da un sesto a un settimo.

Tanto gli uni quanto gli altri compiono il loro dovere.

Circa le promozioni di ufficiali trattenuti nei comandi, senza fare il tirocinio, nota che a ciò si è rimediato, tanto che lo stesso intendente generale è andato a comandare una divisione sotto un comandante di corpo d’armata meno anziano di lui.

Per i turni afferma che si fa quanto si può:

se si volesse fare di più, si dovrebbero richiamare altre classi.

Circa l’avvicendamento dei medici, che ora sono 14 mila sotto le armi, dice che è oggetto delle massime cure.

All’onorevole Libertini Gesualdo fa osservare che deve essere stato male informato circa il rifiuto di assistenza di sanitari a feriti di una divisione alla quale non appartenevano:

ciò è impossibile, perché i nostri sanitari curano amorosamente anche i feriti nemici.

Circa lo sgombro dei feriti dal fronte, si fa quanto si può nelle difficili condizioni del nostro paese e della nostra rete ferroviaria.

Ad ogni modo si cerca di migliorare anche questo servizio, che diventa pletorico quando v’è qualche azione bellica in corso.

I nostri ospedali territoriali sono ora in via di diminuzione per il numero:

la direzione di sanità sarà divisa in due branche, una tecnica e l’altra medico-legale.

Si sono apportate modificazioni anche alle commissioni, che prima erano presiedute da ufficiali non medici.

Il nostro servizio sanitario procede in modo lodevole, tanto da destare l’ammirazione di ufficiali esteri.

Passando alla necessità della sistemazione degli ufficiali esonerati dai comandi al fronte, egli se ne occuperà diligentemente in modo da utilizzarli singolarmente il meglio possibile.

Sugli imboscati si rimette alle dichiarazioni già fatte:

è una campagna sacrosanta, ma non deve diventare una persecuzione.

Quanto alle licenze ammette che possa essere difettoso l’attuale sistema per ciò che riguarda le licenze agricole:

i ritardi dipendono dalle alte cifre delle domande in proporzione del numero di licenze che si possono accordare.

Circa le domande fattegli dall’onorevole Treves risponde che, oltre all’azione bellica e all’esaurimento, un complesso di altri fattori può determinare la fine della guerra: ad esempio l’influenza delle idee liberali sul popolo tedesco, la conquista dei mercati esteri da parte degli alleati, ecc.

È questione di resistenza e di disciplina:

restiamo uniti in un sol fascio, aiutiamoci a vicenda e vinceremo.

DALLOLIO, ministro delle Armi e munizioni.

Risponde innanzitutto all’onorevole Scalori circa lo scoppio del forte di Pietole, vicino a Mantova.

Si disse che era occasionale:

egli, recatosi sul posto, si convinse che doveva essere doloso, perché non ci sono state vittime, ciò che avviene per lo scrupolo, che hanno all’ultimo momento gli autori di simili attentati, di salvare le vite umane che mettono in pericolo.

Pende ora un’inchiesta giudiziaria da parte del tribunale militare:

quando sarà terminata, saranno presi i provvedimenti del caso.

Dà lettura delle disposizioni impartite per prevenire altri disastri:

quello verificatosi è grave, ma ripete che non ne risulta diminuita la nostra efficienza bellica.

Altri disastri sono stati evitati per le cure e lo zelo degli ufficiali e dei soldati, ed egli manda loro un caldo saluto di lode.

Mantova può essere tranquilla circa il deposito di gas asfissianti per la località in cui vennero posti.

Venendo agli elementi tecnici afferma che è una leggenda che se ne sia fatto poco uso per i bisogni della guerra:

1.300 ingegneri, 96 chimici e molti professori prestano servizio ottimo per preparare armi e munizioni alla patria.

Tributa lode al ministro ingegnere Bianchi che fu alla testa del servizio di approvvigionamento dei minerali e metalli necessari.

Dà esaurienti spiegazioni circa la produzione di mercurio alla miniera di Monte Amiata, ormai quasi tutta in possesso di azionisti italiani.

Accenna ai grandi progressi fatti dalle nostre industrie per l’armamento e il munizionamento del nostro paese;

tanto che ora nostri industriali ed operai provvedono a tutte le esigenze della guerra fabbricando cannoni, mitragliatrici, bombarde e munizioni in quantità notevolmente superiori a quelle dell’inizio della guerra.

Noi produciamo ora in un giorno tante bocche a fuoco quanto prima in un mese:

di camions militari facciamo anche un’esportazione per i nostri alleati.

Per l’aviazione ammette che si siano fatti degli errori:

ma chi credeva all’aviazione:

Pochissimi.

Ora siamo sulla buona via e camminiamo avanti.

Dà lettura di una particolareggiata relazione del servizio aereonautico a prova dei risultati raggiunti dalle fabbriche italiane e che si possono dire superiori ad ogni aspettativa:

basti dire che in 2 anni siamo passati da 12 squadriglie con 80 apparecchi a 80 squadriglie con 751 apparecchi, e ci proponiamo di portare presto le squadriglie a 150, munite di ottimi apparecchi, tanto che Francia ed Inghilterra ci hanno richiesto i nostri tipi.

Circa i dirigibili nota che noi in essi abbiamo sempre avuto fede:

altre nazioni ne troncarono la fabbricazione, ma ora la stanno riprendendo.

Quanto alla mobilitazione industriale osserva che la militarizzazione degli operai è già stata fatta:

siamo passati da 125.000 operai a 648.000:

di questi solo 89.000 sono militari esonerati.

Dà chiarimenti circa le paghe, che non crede eccessive:

si sta studiando di dare sussidi alle famiglie di quegli operai che non hanno paghe sufficienti.

Difende lo stato attuale dell’organizzazione industriale ed operaia, che si può dire perfetta e che ci ha emancipati dall’estero.

Già si sta pensando al dopo guerra, nella concordia del capitale col lavoro:

oggi si lavora per la morte, domani si lavorerà per la vita.

(La seduta è sospesa per 10 minuti).

Riprendendo il suo discorso accenna alla grande importanza della mano d’opera femminile per la produzione bellica:

169.000 donne e 42.000 ragazzi lavorano nei nostri stabilimenti al posto di operai inviati al fronte.

L’Italia riuscì perfino ad aiutare la Russia, sebbene abbia avuto anche il mancato rifornimento di materiale dall’America, che venne meno a contratti stipulati con noi.

Termina con un appello alla concordia e chiedendo armi e munizioni.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Dice che gli vennero rivolte numerosissime domande, alle quali cercherà di rispondere reggruppandole per materia.

Per l’Albania ricorda che nel dicembre 1915 disse alla Camera quale importanza avesse per noi l’indipendenza di quella nazione.

I punti fermi per noi sono l’indipendenza dell’Albania ed una certa protezione, che è necessaria contro le insidie dei vicini:

ciò è ammesso dagli stessi albanesi.

È però difficile determinare i confini di quel paese, sia per le sue condizioni geografiche, sia per le larghe zone di popolazione mista che contiene.

Ciò che a noi preme è che ci deve essere una Albania indipendente:

di quale estensione abbia ad essere verrà determinato alla conferenza della pace.

Come è stato detto in altri Parlamenti, noi abbiamo proceduto alla proclamazione dell’indipendenza dell’Albania, sotto l’egida della protezione italiana, per ragioni militari.

Ed infatti l’Austria fino dal febbraio scorso aveva proclamato l’autonomia albanese:

ciò commosse quelle popolazioni;

si formarono delle bande pagate dall’Austria;

poi era venuta la proclamazione della repubblichetta di Coriza e le complicazioni della Grecia.

Inoltre truppe inglesi e francesi erano state ritirate dal fronte macedone;

ciò che aveva reso per noi più difficile di difendere la nostra linea da Vallona a Salonicco.

Da tutto questo emerge che qualche cosa bisognava fare per quelle popolazioni, per attrarle a noi;

e noi, per ragioni militari, ne abbiamo proclamato l’indipendenza.

Né vale il dire che poco vi possediamo:

non abbiamo forse tutti noi alleati proclamato l’indipendenza della Polonia e dell’Armenia senza nulla possedervi:

Passando alle Note russe, osserva che due sono le questioni ad esse relative:

la prima si riferisce alla publicazione della nostra Nota che si afferma fatta troppo in ritardo.

Effettivamente noi la comunicammo al Governo russo prima degli altri, ma lo lasciammo arbitro di pubblicarla quando meglio credeva:

nei partiti russi si sollevarono delle eccezioni sulle Note della Francia e dell’Inghilterra e non sulla nostra.

Quando si vide che il ritardo della pubblicazione della nostra Nota dava luogo a commenti, noi insistemmo ed ottenemmo che venisse pubblicata.

Quanto alla seconda questione, osserva che nulla di ufficiale fino ad ora gli è pervenuto:

si sa solo che al ministro Thomas venne consegnato un promemoria nel quale si suggerisce di riconvocare una conferenza per la revisione dei patti tra gli alleati.

Rispondendo all’onorevole Treves, dice che il Patto di Londra è poggiato sulla buona fede dei contraenti, che si sono obbligati di non trattare e di non conchiudere una pace separata, e che non gli risulta che esista qualche accordo tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti.

Quanto ai principii del Presidente Wilson, essi verranno interpretati secondo il buon senso da parte di tutti gli alleati.

E quanto allo stato d’animo presso i nemici e gli alleati, certo si può dire che i nemici non stanno bene, quantunque si debba fare una grande tara sulle affermazioni dei giornali.

Nei paesi alleati gli risulta che è alto lo spirito pubblico e la fede nel successo.

Dalla Russia provengono ora notizie più confortanti, sicché si può sperare in una forte offensiva contro i tedeschi.

All’onorevole Torre risponde che certe divergenze nascono tra i dieci alleati contro le potenze neutrali, sia per lo zelo eccessivo dei rappresentanti locali, sia per i diversi apprezzamenti dell’opinione pubblica di ogni nazione.

Mira dei governi è di ristabilire ogni volta il pieno accordo.

Quanto alla Spagna, noi ci siamo associati ai passi fatti dai nostri alleati per la repressione della guerra sottomarina.

Non sa poi nulla dell’andata degli inglesi ad Alessandretta;

anzi non gli consta che essi vi si trovino.

Ai molti che l’hanno interrogato sugli scopi della guerra, egli risponde che, prescindendo da quelli di carattere generale — quale, ad esempio, la ricostituzione del Belgio — e venendo agli scopi essenzialmente nostri, egli dice che sono di due ordini, e cioè quelli di carattere nazionale, senza dei quali ogni pace non sarebbe che una tregua, e che sono di libertà e di indipendenza e relativi alla nostra difesa e alla nostra sicurezza.

A tutto ciò va data un’interpretazione inspirata a criteri di equità e di umanità;

cioè noi aspiriamo a quella sicurezza che è base dell’indipendenza e che la guerra attuale ha dimostrato cosi necessaria:

questa sicurezza si fonda sui nostri confini naturali e sul predominio dell’Italia nell’Adriatico.

Quanto agli altri scopi, nulla vi è di assoluto, poiché essi dipendono dall’assetto definitivo dell’Europa.

Essi si riferiscono specie alle nostre aspirazioni nel Mediterraneo, che potremo realizzare in quella misura che ci sarà consentita dall’esito della guerra.

Abbiamo ragione di credere che nell’uno e nell’altro ordine di finalità andremo d’accordo cogli alleati.

Circa alla abolizione del segreto in materia di convenzioni internazionali, egli non crede che per ora vi si possa addivenire, perché chi la volesse attuare si metterebbe in condizione di inferiorità per rapporto agli altri popoli.

Inoltre per pubblicare patti esistenti occorre il consenso delle altre parti contraenti, ciò che manca nel caso attuale.

D’altra parte in una seduta numerosa non si può pretendere che nessuno poi riferisca ciò che vien detto:

in questi tempi i veri segreti sono pochissimi, e quindi tanto più si deve essere gelosi di ciò che preme tener nascosto.

Gli venne rimproverato, specie dagli onorevoli Torre e Di Cesarò, di non aver tutto preveduto prima di entrare in guerra e di non avere fissato bene tutte le condizioni, sicché si dovettero apportare numerose modificazioni graduali ai patti prima stabiliti.

Ciò è fatale perché le situazioni mutano tutti i giorni.

Tutto non si poteva prevedere:

chi poteva ad esempio immaginare che in Russia sarebbe scoppiata la rivoluzione:

Occorre di continuo riparare a ciò che succede:

ciò che importa è che le linee direttive fondamentali siano mantenute.

L’unità dell’obbiettivo richiede mutamento di piani per arrivarvi:

spesso paiono errori le naturali conseguenze degli avvenimenti accaduti in precedenza.

L’onorevole Chiesa gli rimproverò di aver fatto ricorso ad adattamenti:

veramente egli è accusato di solito del contrario;

ad ogni modo osserva che la politica internazionale è tutto un adattamento.

Molte informazioni chiese l’onorevole Di Cesarò per poter giudicare dell’azione del Governo, ma siccome concluse che, tanto, il Ministero non aveva una mentalità di guerra, così ogni chiarimento sarebbe inutile per fargli modificare il suo parere.

Ma che cosa si intende per mentalità di guerra:

Occorre bene precisare che cosa si voglia da un Governo, ed egli è a questo proposito convinto che la misura è elemento di forza.

La Russia sta a provare la verità del suo asserto, poiché l’azione di quel forte popolo venne paralizzata anche per colpa di chi credeva di intensificarla.

Occorre mettere da parte tutti i preconcetti ed ogni politica di gruppo:

tutto deve cedere dinanzi all’interesse della patria.

Egli respinge di mancare di fervore, ciò che nelle attuali contingenze sarebbe riprovevole:

per parte sua ha la convinzione di fare quanto può con atti positivi a vantaggio del paese.

Concludendo, egli non può sapere quando terminerà la guerra:

ai fattori morali accennati dal ministro della Guerra, e che sono la disciplina e l’affetto, egli crede se ne debba aggiungere un terzo, ed è la fede.

Noi dobbiamo camminare per fede più che per visione;

la vittoria non potrà mancare alla grande anima del popolo italiano.

PRESIDENTE.

Essendo stata chiesta la chiusura della discussione, la pone a partito.

(È approvata).

Si passa allo svolgimento degli ordini del giorno.

TOSCANELLI.

Rinunzia al suo ordine del giorno.

MODIGLIANI.

Svolge il seguente ordine del giorno:

«La Camera, udita la discussione, constata che la guerra si è rivelata incapace di conseguire i risultati di libertà e di giustizia che erroneamente ed illusoriamente le furono prestati, e passa all’ordine del giorno».

Nota che non si può essere scontenti dei risultati del Comitato segreto, avendo la Camera trovato una nota di sincerità che ha giovato.

Quelli che vorrebbero maggior fervore nella politica interna del Governo e nella guerra, dovrebbero almeno indicare quello che vogliono.

Accenna ad alcuni fatti di persecuzione politica commessi dalla polizia italiana, che non è poi stata tanto blanda come si vorrebbe far credere.

Si è chiesta, ed a ragione, la repressione dello spionaggio, ma non crede che si sia raggiunto lo scopo, quando risulta che i nostri segreti più delicati sono in mano alle potenze estere, anche alleate.

La polizia perseguita, in concorrenza con l’autorità militare, i pretesi pregiudicati, anche politicamente, ma non tocca i distributori dei 24 milioni francesi spesi per la propaganda della guerra in Italia.

L’onorevole Orlando non è un debole, ma un prudente:

egli sa che tutte le guerre producono dei contraccolpi che non si possono fronteggiare con le manette e con le persecuzioni poliziesche.

Egli ha avuto il merito di non farsi prendere la mano dalla fobia contro le innocue manifestazioni che non compromettono la guerra, come la pretesa rivoluzione preparata a Milano dai comitati dei ragazzi, inventata dal generale Morrone.

Il paese è in una condizione che ci viene rivelata da parecchi fatti avvenuti;

non si chieda quindi di inasprire i metodi della polizia con persecuzioni inconsulte, ma si dia aiuto a tutti i bisogni della sua popolazione.

Aumentate i sussidi alle madri, assistete chi soffre;

così potrete bilanciare i tristi effetti della guerra.

Il ministro della Guerra non ha risposto alla parte più essenziale delle osservazioni fatte sulla condotta della guerra, sulla parte più vitale ed importante prospettata dai colleghi Arcà, Libertini, Buonini, Gortani, Ciriani ed altri.

Costoro però non sono, d’altra parte, venuti alla conclusione necessaria di queste loro osservazioni.

Se tanti errori si sono commessi nella condotta della guerra, perché non se ne devono ricercare gli autori:

Perché non si deve avere il coraggio di far cessare questo stato di cose assolutamente esiziale:

Perché questa inamovibilità del generale Cadorna, il quale ha pure assunto una inqualificabile preminenza nella parte civile, pure essendo dimostrato che le operazioni militari condotte finora sono state una serie di errori:

Protesta contro l’invadenza del comandante supremo anche nei poteri civili, e ritiene riprovevole che all’infiacchimento del potere civile centrale debba corrispondere una crescente prevalenza di quello militare anche nelle retrovie della guerra.

Parla delle circolari contro i pretesi comitati segreti di Milano, di adulti, donne e giovani, con le relative persecuzioni.

Il generale Cadorna è in arretro di un secolo, anche nel modo come s’intende mantenere da lui la disciplina militare, cioè col terrorismo e con le fucilazioni per sorteggio e le decimazioni.

Legge una circolare dalla quale risultano confermati i fatti.

Quando ci si è vantati di avere portato in armi la nazione intera, si può ammettere che la vita dei nostri soldati vada spesa per le pure necessità della guerra, ma non si può consentire che venga troncata dalle stesse nostre armi senza regolari procedimenti.

Aspetta delle franche e chiare dichiarazioni dal ministro della Guerra, il quale anche qui deve rimanere soldato e deve chiaramente esprimere il suo pensiero sul riguardo.

Passa a parlare di un recente bando del generale Cadorna, col quale si è estesa la giurisdizione militare in zona di guerra anche fuori di questa contro persone non militari che si assume abbiano commessi dei reati contro la patria e la sicurezza dello Stato.

La Cassazione, per una stortura di interpretazione, ha convalidata una simile eresia.

Passando alla politica estera, dice che l’onorevole Sonnino è un ministro migliore della sua fama:

egli è prudente e circospetto e merita perciò considerazione.

Egli, cui si domandava maggior fervore e vigore nella sua azione, ha risposto che le proposte di pace non si debbono respingere mai a priori.

Ed egli, perciò, ci lasci sperare che nel 1917, nell’anno della guerra mondiale, non ci siano più segreti diplomatici, perché le sorti delle nazioni devono essere decise dalla volontà dei popoli, non dai trattati segreti.

Se egli si potrà presentare al congresso degli alleati come l’esponente della volontà della maggioranza di questa assemblea, la sua parola avrà tanto maggior valore.

L’onorevole Sonnino ha così precisato il suo pensiero nel suo ultimo discorso alla Camera cioè: «Unità ed indipendenza di nostra gente, secondo giustizia, con la libera volontà dei popoli, così come nel 1859».

Se farà valere questo principio con i nostri alleati, questo sarà la pace.

Ed in questo momento nulla deve essere trascurato che possa condurre ad un esito di miglior pace.

L’andamento del conflitto mondiale non può più ormai considerarsi con liete speranze.

Esiste una proposta, od un invito, che l’onorevole Sonnino dice di non avere ancora ricevuto, da parte del nuovo Governo russo, per la revisione degli scopi della guerra.

L’onorevole Sonnino deve intervenire, confortato dalla manifestazione della volontà dell’Assemblea nazionale, tenendo presente anche lo stato delle condizioni interne del paese.

Fa l’esame dello stato attuale della guerra, e constata che le operazioni militari si sono ormai arrestate su tutti i fronti:

lo ha indirettamente confessato anche il ministro della Guerra nel suo discorso di oggi.

Si conta sull’aiuto degli Stati Uniti;

ma egli chiede al ministro della Marina se, facendo dei calcoli precisi, con la sua competenza, può affidare che nelle attuali condizioni di guerra si possa fare attraversare l’Atlantico ad un grosso contingente di truppe.

TRIANGI, ministro della Marina.

Molto difficile:

(Commenti).

MODIGLIANI.

Ed allora passa all’altro argomento, cioè alla possibile ripresa militare russa, cosa che egli ritiene molto difficile.

Ed a proposito egli desidera sapere dall’onorevole Sonnino se sia vero:

1) che l’Inghilterra ha già occupato il porto di Arkangel;

2) che il Giappone ha preso possesso del porto di Vladiwostok.

SONNINO, ministro degli Affari esteri.

Lo ignoro completamente.

MODIGLIANI.

E passa ad altro argomento, cioè lo stato delle condizioni interne dei diversi paesi dell’Intesa.

Parla della stanchezza della Francia, rilevata dai giornali tedeschi e confermata dalla invocazione di Hervé sul giornale «La Victorie» perché si dia un riposo ai soldati francesi rinviandoli alle famiglie, ed invocando dagli alleati inglesi, che già occupano molto fronte in Francia, di allargare la loro difesa.

Accenna al fatto del cambiamento del Ministero serbo, che sarebbe avvenuto per la indebolita presenza di truppe inglesi e francesi sul fronte di Macedonia, ciò che ha messo in sospetto i serbi, e potrebbe indicare un rallentamento nell’efficacia dell’opera degli alleati sopra uno dei punti più sensibili del fronte dell’Intesa.

Accenna ai cambiamenti avvenuti nei Governi dell’Austria Ungheria, ciò che potrebbe preparare delle brutte sorprese per il nostro paese, e ricorda l’opera degli jugoslavi, mettendola in correlazione coi superiori fatti.

Ciò dimostra che l’Austria tende a rinnovarsi e ad accogliere e regolare tutto quanto può esserle di giovamento nei rapporti dei popoli ad essa sottomessi.

Conchiude raccomandando la rapida conclusione della pace, unico scampo rimasto per evitare un disastro al nostro paese.

PRESIDENTE.

Rinvia a domani alle ore 10 il seguito di questa discussione che continuerà, alle ore 14, salvo a proseguire in seduta pubblica per terminare, se ve ne sarà il tempo.

La seduta è tolta alle ore 20.

IL PRESIDENTE MARCORA

IL SEGRETARIO PAOLO BIGNAMI

COMITATO SEGRETO del 30 giugno 1917.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARCORA

La seduta incomincia alle ore 10 antimeridiane.

Si dà lettura del processo verbale della seduta precedente, che è approvato.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Governo.

PRESIDENTE.

Dà lettura del seguente ordine del giorno del deputato Alessio:

«La Camera, considerando che l’unione di tutti i partiti favorevoli alla guerra in un Gabinetto è la prima condizione per mantenere integra e perenne l’efficacia di quella concordia che unisce l’esercito e il paese nel momento storico attuale, approva le dichiarazioni del Governo e passa all’ordine del giorno».

ALESSIO.

Premesso che l’ora presente non consente lunghe discussioni, dice che fino dai primi momenti dell’attuale agitato dibattito gli era sembrato che la sola questione che si dovesse decidere fosse quella dell’opportunità, della legittimità di una crisi in questo periodo di vita nazionale ed internazionale.

Fino da prima pensava che una crisi fosse dannosa ed esiziale agli interessi del paese.

È lieto che questo pensiero, che era di pochi, sia andato man mano acquistando consistenza nel mondo politico.

Ed invero vi sono dei momenti nella vita dei popoli, nei quali il sentimento del dovere obbliga ad assicurare forza all’organismo del Governo ed a mantenere la concordia nazionale: maggiormente poi in un periodo di guerra, dove più che discutere occorre agire ed operare.

Confronta le guerre antiche con quelle moderne ed afferma che le prime, limitandosi a spedizioni, lasciavano tranquillo il paese e consentivano al Governo la preparazione di nuove leggi e l’andamento normale dell’amministrazione.

La guerra attuale, invece, impegna tutta la nazione, così che ogni sospensione dell’azione governativa può risolversi in una sosta fatale.

A conferma della sua asserzione, e prescindendo dall’esempio eloquente offerto dalle convulsioni della Russia, dimostra che nessuna critica, per quanto acerba e per quanto accesa di partito, è valsa in Germania a detronizzare il cancelliere Bethmann-Hollweg, mentre i numerosi cangiamenti di Ministeri avvenuti in Austria, e prima e dopo la morte dell’Imperatore Francesco Giuseppe, sono indiscutibile segno di decomposizione e di debolezza.

E la necessità di concordia nel Parlamento e nel Gabinetto trova la più evidente conferma nel paese, dove i partiti non esistono più;

così che in ogni città d’Italia i comitati di preparazione, per l’assistenza civile, pei mutilati, per distribuzione di sussidi, ecc., sono costituiti di persone di ogni partito.

Non tutti comprendono, tanto nel Parlamento come nel paese, l’eloquenza, il prestigio potente di questa grande concordia.

Né lo comprendono nel paese taluni circoli né altre forze agenti nello stesso Parlamento.

E in ciò si trovano le profonde ragioni di queste alterne e continue agitazioni contro il Governo.

E questo del resto si riscontra nella storia del nostro Risorgimento.

Vi sono partiti di azione e partiti di Governo.

I partiti di azione trovano che l’opera del Governo è troppo timida, troppo lenta, e vorrebbero sostituirsi ad esso;

ma essi dimenticano che altra è l’opera di propulsione ed altra l’opera di direzione e di esecuzione.

L’opera di propulsione non vede che dei fini da raggiungere, né cura gli ostacoli;

l’opera di direzione e di esecuzione tiene conto delle difficoltà, le scopre, le apprezza e deve superarle.

I partiti di azione agiscono mediante il lavoro di associazione e stanno fuori del Parlamento e sono irresponsabili.

Ma i veri e maggiori responsabili sono nel Parlamento e ad essi spetta la critica dei fatti, il riconoscere le difficoltà, di scegliere e di decidere.

Per quanto riguarda la concordia del Parlamento non può trascurare un rilievo che ritiene assai importante.

Fa presente che nell’inizio della nostra guerra vi fu una differenza tra la Francia e l’Italia.

La Francia fu invasa, e tutti i partiti si riunirono in un solo pensiero: difendere il paese.

In Italia invece si discusse a lungo sull’opportunità dell’intervento nel conflitto o regolarlo con patti speciali.

Da ciò la divergenza di vedute fra coloro che esitavano per ragioni di preoccupazioni patriottiche e coloro che facevano pressione per l’immediata azione.

E questa titubanza involse lo stesso Governo, che, conscio della propria responsabilità, tentò a lungo e tentò sinceramente di venire a patti con l’antico nemico.

E coloro i quali avevano delle esitanze a decidersi per la guerra, le avevano perché comprendevano tutte le difficoltà del conflitto e sapevano che gli Imperi centrali erano organizzati potentemente per la guerra e sorretti e rafforzati da una lunga preparazione civile per la guerra stessa.

Il paese ha risposto però nobilmente con la mobilitazione civile e con le ripetute sottoscrizioni al prestito di guerra.

Questa diffidenza, che permane nel Parlamento, nuoce allo scopo della guerra.

Ma, prescindendo da queste osservazioni preliminari, l’oratore ritiene che nei riguardi dell’attuale Gabinetto tutta la questione si riduce a questo:

crede la Camera che in tempo di guerra sia preferibile un Gabinetto di tendenza o un Gabinetto che rispecchia tutti i partiti:

Un Gabinetto di tendenza suppone che una parte della Camera sia contraria alla guerra e che vi sia bisogno di una forma speciale di politica interna per averla, o per amore o per forza, cooperatrice alla difesa del paese.

Ma una tale supposizione indebolisce lo Stato di fronte all’estero e il Governo di fronte al paese e ne tocca la resistenza.

Non vi è bisogno, come altri pretende, di esercitare una maggior pressione sul paese perché esso si induca a dare tutta la forza di resistenza di cui dispone.

Il paese ha concorso e concorre col maggiore slancio ed una politica di coercizione dividerebbe il paese ed allenterebbe quel mirabile spettacolo di concordia che esso porge allo straniero, al nemico, a se stesso.

Al contrario, un Gabinetto fondato sull’unione di tutti i partiti risponde egregiamente alla necessità del presente e mira all’esame dei supremi interessi del paese.

E questo concetto della concordia è principalmente necessario di fronte all’estero.

Venendo a trattare più specialmente della politica estera, plaude al discorso dell’onorevole Sonnino, nel quale l’eloquenza del pensiero supera quella della forma.

Rileva anche il valore dell’autorità personale, che ha una grande influenza, specie all’estero, e la difficoltà della sostituzione per le intricate e delicate questioni del momento che attraversiamo.

Cita in proposito i rapporti con la Russia, che si deve richiamare autorevolmente ai suoi impegni.

Ricorda che presentemente una speciale commissione governativa tratta agli Stati Uniti convenzioni importantissime e delicatissime.

L’oratore sostiene che un Ministero di concordia è necessario anche per il controllo dell’azione militare.

Sorge in proposito il problema:

quali sono i limiti dei poteri di controllo del Parlamento e quindi del Gabinetto, che rappresenta il Parlamento, sulla condotta della guerra da parte dei capi militari:

Conviene che è un problema difficilissimo e che è necessario appellarsi alla storia.

Ricorre ad esempi della rivoluzione francese, dal 1793 al 1795, e della guerra di secessione nord-americana e di quella franco-prussiana del 1870 per concludere che la storia insegna come il Parlamento e il Gabinetto, che lo rappresenta, abbiano il pieno diritto di controllare i risultati della condotta di guerra.

L’organo di controllo di questa azione è il ministro della Guerra, la cui scelta deve essere indipendente dalle preferenze del Comando supremo.

Ogni disposizione relativa ai piani di guerra, sia rispetto alla loro esecuzione, sia rispetto alle eventuali modificazioni, deve essere lasciata alle autorità militari.

L’esperienza storica è affatto contraria all’ingerenza del potere civile, anche se ispirata dal più puro patriottismo.

I risultati conseguiti, le eventuali mancanze e negligenze e i successi ottenuti sono i migliori criteri per apprezzare, durante il suo corso, la condotta della guerra.

Questo giudizio sui fatti è di tutta competenza dei poteri costituzionali dello Stato.

Dice che è necessaria la concordia nel Gabinetto per sindacare i risultati della guerra e per considerare se i risultati ottenuti corrispondano ai sacrifizi fatti e se è possibile una condotta di guerra più feconda, più rispondente alle aspettative del paese.

Ma l’oratore si preoccupa anzitutto della concordia della comune azione.

Da ogni parte della patria, egli dice, ci si osserva:

dal lontano tugurio alpino, dalle più aspre trincee della Valle di Gorizia, dagli Altipiani ci riguarda il soldato, come dalle sale, dalle case a noi rivolge il mesto ed addolorato sguardo la donna italiana, che ha trovato nell’assistenza santa ed affettuosa una nuova espressione di bellezza, un nuovo elemento di coltura;

dalle agitate adunanze di popolani e di agricoltori, ove fervono gli ultimi residui della vita economica, a noi è costantemente rivolta una parola di incitamento e di fede.

Non manchiamo a questi appelli:

il nostro voto sia di fede e di concordia, né il paese abbia a dolersi dell’opera del suo legittimo rappresentante, il Parlamento.

(Applausi).

TOSCANO.

Svolge ed illustra il seguente ordine del giorno:

«La Camera confida che il Governo di fronte all’intensificata campagna dei sommergibili nemici nel Mediterraneo saprà escogitare tutti i mezzi di difesa e di offesa per prevenire e reprimere la nefanda opera di distruzione».

Tratta della polizia del Mediterraneo, della necessità di attenuare la perfida opera di distruzione dei sommergibili.

Dice che la nostra crociera riesce insufficiente nell’azione saltuaria che compie.

Osserva che, per quanto siasi stabilita per decreto governativo la difesa di Messina, manca tuttora l’impianto di un semplice hangar.

Accenna a fatti particolari di siluramenti.

Ritiene che vi sia un servizio di spionaggio organizzato da mercenari di ditte tedesche.

Reclama l’allontanamento delle presunte spie dal recinto della difesa delle coste marinare della Sicilia;

e il Governo, se ciò farà, ne avrà il massimo plauso.

MARAZZI.

Dà ragione del seguente ordine del giorno:

«La Camera convinta della necessità di perfezionare tutti gli elementi che devono condurre l’Italia e i suoi alleati alla vittoria, passa all’ordine del giorno».

L’oratore comincia col rilevare che la situazione politica è interamente assorbita e dominata dalla situazione militare.

Egli si occuperà di questa, scevro da qualsiasi movente o risentimento personale, perché volontariamente assunse un comando di truppe in guerra, volontariamente chiese di esserne esonerato, dopo averlo tenuto con onore e con plauso.

La sua fiducia nella vittoria non è scossa, ma neppure si possono e si debbono chiudere gli occhi alla realtà.

Ora l’Italia si domanda:

come mai una guerra proclamata e creduta facile, sostenuta da un esercito magnifico, dopo avere potuto con piena libertà scegliere il momento opportuno e adatto all’offesa, dopo due anni si combatte ancora e più dura e aspra che mai:

Si parlò di impreparazione.

È bene dichiarare subito che questo non è esatto.

O meglio, era impreparazione di menti e di cuori.

Se avessimo avuta una visione esatta della realtà, più che ad apprestare la difesa delle Alpi, avremmo rivolto gli sforzi nostri a preparare forti mezzi di offesa, a rendere effettiva l’intesa tra esercito e marina, la quale avrebbe dovuto cooperare fin dal primo svolgersi dell’offensiva nelle operazioni militari verso Trieste;

e questa intesa è completamente mancata.

Ma dire che noi non avevamo un esercito è dire cosa non rispondente a verità, è un volersi procurare ad ogni costo un alibi per giustificare i presenti insuccessi.

Che l’esercito esistesse ve lo ha dimostrato nelle sue relazioni la Commissione parlamentare d’inchiesta, la quale non rilevò che manchevolezze e difetti facilmente ovviabili.

La verità è che l’Italia era preparata e pronta alla guerra;

ma naturalmente nell’inquadratura della triplice alleanza, e secondo la convenzione dall’alleanza stessa dipendente.

Quindi una grande preoccupazione di avere molti uomini di prima linea, 300 mila per inviarsi nel centro d’Europa e 200 mila per la difesa delle Alpi occidentali, e una grande trascuranza nella preparazione degli elementi di retrovia e di servizi che l’esercito nostro avrebbe integrato con l’aiuto degli eserciti alleati.

Dunque l’esercito c’era;

e non soltanto perché negli ultimi 15 anni nulla fu trascurato per renderne più grande e poderosa la efficienza, raddoppiando i bilanci militari e nulla negando ai bisogni dell’amministrazione militare, ma perché se l’Italia un forte esercito non avesse avuto, né Germania né Austria avrebbero così amaramente lamentato il nostro abbandono.

L’oratore fu costante avversario di tutti i Gabinetti susseguitisi al primo Ministero Sonnino;

ma dal pensare che alcune delle maggiori somme concesse al bilancio della guerra avrebbero potuto essere meglio impiegate, al sostenere che nulla c’era, che nulla esisteva, che l’esercito è stato creato dal niente, ci corre l’abisso:

Certo è deplorevole il dover confessare che vi è stata una serie di ministri militari soggetti ad una autorità che al ministro della Guerra, costituzionalmente, dovrebbe sempre essere subordinata.

Le grandi figure di Fanti, di Mezzacapo, di Ricotti, come anche il Pelloux, hanno costantemente considerato come un loro dipendente il capo di stato maggiore, che era semplicemente il loro consulente legale.

Che cosa domandò il Porro alla costituzione del Ministero Salandra:

Niente altro che un aumento della forza bilanciata e maggiori assegnazioni per opere di fortificazioni sulle Alpi.

Onde il Ministero poté non a torto rispondere che le proposte non avevano carattere di urgenza;

perché l’aumento della forza bilanciata richiedeva, per la sua attuazione, del tempo;

e per le fortificazioni potevano intanto essere spese le somme non indifferenti che per tal titolo erano ancora disponibili, salvo a stanziare nuovi fondi, quando l’erogazione dei già assegnati fosse stata in via di esaurimento.

Osservazione giusta, che deve richiamarci alla assoluta necessità della competenza e responsabilità del Governo di fronte al comando di stato maggiore.

Non vi può essere responsabilità senza competenza, e per essere competente il Governo deve avere un ministro che lo illumini, che riferisca e che dia le notizie e i dati necessari a tal fine.

Il capo dello stato maggiore non deve essere sorvegliato, d’accordo, ma controllato e chiamato a rispondere dei suoi atti sì:

Oggi che tutta la nazione è in armi, non è concepibile questa irresponsabilità del comando militare dal Governo, il quale deve essere sempre al corrente della situazione, deve sapere e controllare quello che avviene al fronte ed assumere effettivamente la responsabilità della condotta della guerra.

Noi dunque avevamo prima ancora della dichiarazione di neutralità un esercito magnifico, bene inquadrato, bene equipaggiato e pronto per la guerra.

Che cosa è stato fatto durante il lungo periodo della neutralità:

In quei 10 mesi noi avremmo potuto compiere molte riforme nei nostri ordinamenti, e, ammaestrati dalle nuove esperienze della guerra, preparare l’esercito alla nuova condotta, ai nuovi metodi di essa.

Invece non si fece che impinguare, ingrossare l’esercito, renderlo più numeroso, e niente altro.

In tutto quel periodo della neutralità non vi fu un reggimento solo dove si facesse la scuola della trincea, dei reticolati, dove si insegnasse l’uso delle bombarde, dei periscopi, ecc.

Se i nostri alleati entrarono in guerra impreparati e all’improvviso, noi quali vantaggi sapemmo assicurarci dalle dolorose esperienze altrui:

Nulla, nulla facemmo per prepararci veramente alla guerra in quei mesi che avrebbero dovuto essere preziosi per noi.

Niuno può disconoscere gli sforzi del generale Spingardi per dotare in misura adeguata l’esercito della nuova arma, l’areonautica.

Ma durante il periodo della neutralità si cercò efficacemente di migliorare questa arma, di portarla in quell’altezza, cui l’esempio degli altri additava necessario, indispensabile condurla:

Noi dunque dichiarammo la nostra guerra il 24 maggio 1915.

Ma il Governo conobbe il piano di guerra:

E se lo conobbe, lo approvò:

Credé il Governo suo elementare dovere rendersi conto di esso, portarlo a notizia dei supremi capi dell’esercito, fossero ancora o non fossero più in attività di servizio:

Non un Consiglio aulico era doveroso instaurare, ma un Consiglio di competenti, quali potevano essere Caneva, Pelloux, Pedotti, Spingardi, Mainoni, Viganò, considerati invece quali lumi spenti e messi completamente da parte.

Il piano di insieme, il disegno schematico di tutti i nostri capi militari, fu sempre uno: la difensiva-offensiva.

La difensiva su tutta la parte del fronte montuoso, la irruzione sulla parte più debole del fronte stesso.

Nessun guerriero pensò mai di attaccare le Alpi di viva forza;

e tanto meno avremmo dovuto farlo noi, che ben conoscevamo il piano austriaco.

Questo infatti era quello di invadere l’Italia da Palmanova; nel quale settore l’Austria non aveva preparato alcun sistema difensivo.

Quello e non altro era il terreno della battaglia.

E poiché all’entrata dell’Italia in guerra la situazione per il nemico si capovolse, e dall’offensiva egli si dové porre sulla difensiva, quale doveva essere il nostro piano:

Quello di concentrare tutto lo sforzo bellico nostro sul tratto di fronte verso Palmanova; irrompere su di esso con tutto l’esercito colà ammassato; forzare e strappare la vittoria.

L’Austria, sorpresa dalla nostra dichiarazione di guerra, non aveva lungo tutto il confine che 70.000 uomini;

noi avremmo dovuto averne ammassati contro l’Isonzo 400.000.

Avremmo subito potuto essere da cinque a sei contro uno.

Verso Palmanova era il nocciolo militare e politico della nostra guerra.

In quel punto era concentrata un’armata a capo della quale era un generale da tutti stimato:

un uomo di carattere angoloso, ma di grandissimo ingegno, i cui meriti erano davvero incontestabili, perché sul posto da circa due anni aveva esatta conoscenza del terreno, delle difese avversarie, di quanto occorreva per una brillante direzione della nostra azione.

Questo generale il 19 maggio 1915 era a Portogruaro e in quel giorno ricevette l’ordine di sconfinare all’alba del successivo giorno 20 maggio.

Ma di tutta l’armata egli non aveva che il sesto corpo d’armata, e di tutta la cavalleria non aveva che una sola divisione.

La cavalleria era assente.

Nella giornata sarebbero giunte altre frazioni sparse tra il Piave e il Tagliamento;

ma le altre 3 divisioni erano lontane: una parte ancora a Torino:

Tutti i servizi di intendenza di questa armata erano anch’essi in formazione:

al 18 di maggio non vi erano che i bovari e un drappello del treno artiglieria.

Le bocche da fuoco di medio calibro non avevano che 36 colpi per pezzo:

In alcune località i generali non avevano avuto approntati gli uffici e attendevano l’arrivo delle truppe.

Quale era il dovere di questo comandante di armata, se non quello di rappresentare questo stato di cose al Comando supremo:

Ebbene egli fu immediatamente dispensato dal servizio e non fu neanche immediatamente sostituito.

Sicché l’armata il 24 maggio, quando effettivamente sconfinò, non aveva il suo comandante:

E mentre ciò operavasi a danno di così distinto generale, strane voci paurose si spargevano nell’esercito d’operazione, che ne paralizzarono le mosse.

Pericolosi apprestamenti difensivi;

bocche da lupo, fili elettrici;

ponti minati e mille altri spaventi, che un buon servizio di informatori avrebbe dimostrato fallaci.

Le nostre divisioni di cavalleria avrebbero dovuto irrompere dal confine a Palmanova, e in tre ore soltanto avrebbero spazzato quel tratto di terreno, profondo 20 chilometri, fino all’Isonzo, che non era guarnito se non da pochi gendarmi austriaci e da più pochi doganieri.

I piccoli fiumi che attraversano quel tratto, erano tutti guadabili, e del resto non si deve dimenticare che le divisioni di cavalleria cosacche in Podolia in solo due notti guadarono ben quattro larghissimi fiumi.

Il progetto dunque di trasportare la terza armata al di là dell’Isonzo c’era;

ma la terza armata mancava:

Se tutta la cavalleria italiana fosse stata al suo posto il 24 maggio, quel giorno stesso le nostre brigate avrebbero varcato l’Isonzo.

E come mancò la cavalleria, mancò la marina, che dal mare avrebbe dovuto cooperare a rendere più facile e sicura l’irruzione nostra oltre il segnato confine.

E non su questa parte sola del fronte si verificò una stasi inspiegabile dopo l’apertura delle ostilità:

essa si verificò su tutto il nostro fronte.

Mancò un concetto armonico, e mancarono i rincalzi e le munizioni.

L’esercito non era ammassato alle frontiere;

e le artiglierie disponibili, anziché concentrate sull’Isonzo, vennero sparpagliate lungo tutto il confine.

Così nel Trentino come in Cadore, come in Carnia si ebbero, sì, grandi, accaniti combattimenti, nei quali il sangue italiano corse a fiotti, ma giammai fatti che modificassero in qualche guisa la nostra situazione militare.

Quale risultato portò la contrastata conquista del Col di Lana:

Siamo rimasti, dopo tante perdite, come eravamo prima:

Dovunque i combattimenti hanno avuto una identica fisionomia:

sacrificio sanguinoso, enorme, di uomini;

nessun risultato tattico apprezzabile.

Come può giustificarsi l’ordine inviato a generali di non abbandonare mai, per qualsiasi ragione, qualunque sia la forza e la preponderanza dell’impeto nemico, una posizione, se non dopo aver perduto non meno dei tre quarti degli effettivi:

Certi ordini si impartiscono, se mai, caso per caso, e di persona, e il comandante che si trova di fronte alla dura necessità di darli, si reca di persona a controllarne l’esecuzione.

A noi è mancata quella unicità di ordini, quella preparazione tecnica, quei mezzi logistici che gli Imperi centrali hanno avuto nella loro marcia di conquiste territoriali.

E si è stati eccessivamente severi:

Sono stati sacrificati circa duecento generali, oltre a molte centinaia di ufficiali superiori.

Con quali criteri:

Per quali ragioni:

In Francia ed altrove, dove la guerra si subì e dove la guerra si volle, avvennero i più larghi cambiamenti nel Comando supremo.

Da noi si cambiano generali e comandanti:

il comandante supremo rimane immutato.

Venendo all’offensiva austriaca nel Trentino, l’oratore dichiara che non è sua intenzione né suo compito difendere il generale che comandava la prima armata;

ma nota che l’accusa ad esso rivolta fu quella di non avere avvertito il Comando supremo di quello che stava per accadere.

Ora come si può menar buona al Comando supremo la giustificazione che esso ignorava ciò che si andava verificando nella zona di quell’armata che più d’ogni altra doveva essere vigilata e sorvegliata:

Il Comando supremo aveva l’alta responsabilità delle armate in sottordine:

esso doveva seguire l’andamento e il progressivo sviluppo dei lavori di difesa;

perché è noto che settimanalmente vengono rimessi a Udine gli specchi dimostrativi, i grafici dei lavori che si eseguono dai diversi settori.

La verità è che il comandante della prima armata non omise mai di rivolgere pressanti, insistenti richieste di materiali, di macchine, di istrumenti per aumentare l’efficienza difensiva del suo settore.

E poi, quando una situazione dura da undici mesi, come è possibile limitare, circoscrivere la responsabilità sua al comando subordinato e non farla risalire al Comando supremo:

Ad ogni modo l’oratore è in grado di assicurare la Camera che il comandante della prima armata non trascurò di rendere edotto il Comando supremo, giorno per giorno, di tutti i movimenti del campo nemico, del concentramento delle truppe, dell’aumentare dei servizi, dell’affluire dei rinforzi.

L’offensiva austriaca si pronunciò fulminea il 14 maggio 1916, e il comandante della nostra prima armata era stato rimosso dal comando pochi giorni prima.

Uguale, identica situazione a quella verificatasi nell’armata dell’Isonzo allo scoppiare delle ostilità:

Il cambiamento del comandante alla vigilia degli avvenimenti bellici nel settore a lui sottoposto:

Di fronte al pericolo fu finalmente costituita l’armata di riserva, la quinta armata, a tutte spese dell’armata dell’Isonzo, la quale fu così posta nell’impossibilità di eseguire nel maggio quell’avanzata su Gorizia, che avrebbe dovuto darci la vittoria, e che, ritardata invece di tre mesi circa, non segnò i risultati desiderati e sperati.

Le nostre perdite dicono purtroppo che non è lecito parlare di vittoria nel Trentino.

Più centinaia di cannoni, quarantamila prigionieri;

scompaginata la terza armata, molta parte di territorio nazionale perduto;

fortificazioni nostre espugnate e smantellate dal nemico, alcune delle quali non ancora da noi riconquistate, questo è il doloroso bilancio della azione nostra nel Trentino nella primavera del 1916.

Sì, l’offensiva austriaca fu arrestata;

ma lo fu dall’azione nostra esclusivamente, o non anche dalla travolgente offensiva russa:

Dobbiamo riconoscere che la ritirata austriaca non avvenne soltanto per la forza delle nostre armi, e che essa si compì in buon ordine, e secondo il piano del nemico.

Venendo a trattare della battaglia di Gorizia, l’oratore proclama che il merito principale ne va attribuito al Duca d’Aosta.

All’opera di questo mirabile condottiero deve associarsi quella del generale Capello, al valore del quale si deve la presa della città.

E l’impresa poté riuscire perché e nell’attacco, e nella preparazione, e nel combattimento furono adottati sistemi e metodi completamente diversi da quelli fino a quel momento eseguiti.

Ma, per colpa del Comando supremo, di così importate vittoria non si riuscì a trarre i vantaggi che si dovevano.

Mancarono alla terza armata le necessarie riserve;

mancò l’azione di una massa di cavalleria, mancarono gli adeguati reparti del genio per gettare ponti ed eseguire le opere indispensabili di approccio e di difesa;

non si seppero sfruttare quegli elementi, quei fattori morali che tanto avevano contribuito alla vittoria.

Il fatto di esserci noi arrestati, di non avere inseguito i vinti, di non avere insomma forzata la posizione in quel momento decisivo, vi spiega perché noi oggi ci troviamo ancora sulla Vertoiba, perché il nemico è ancora in forze e minaccioso contro di noi.

E l’oratore si domanda invano perché, anche sotto il punto di vista dell’interesse monarchico, dopo questa impresa non fu esaltata l’azione del Principe, perché fu scompaginata la sua armata, limitandogli il comando di zona con la esclusione di Gorizia, per la difesa della quale fu creata una nuova armata;

perché fu allontanato dal comando che aveva il generale Capello, il quale poi, dopo pochi mesi, fu dovuto richiamare a quello stesso comando:

E purtroppo gli ultimi successi su quel tratto di fronte furono ben meschini:

né poteva essere altrimenti.

La situazione è ora molto più difficile;

e a torto i giornali li esaltano, gridando aperta la porta per la via di Trieste.

Eppoi, se questi furono successi, perché allontanare tre generali comandanti di corpo d’armata, perché non dirci quanto costarono:

Noi errammo:

nella preparazione e nel credere la guerra facile e breve;

nel concetto dell’attacco generale simultaneo;

nel non ammassare l’esercito al confine;

nel non creare un’armata di riserva;

nella nessuna organizzazione dello spionaggio;

nel distrarre la cavalleria in servizio di pubblica sicurezza;

nel non stabilire una armonia tra esercito e marina;

nel non voler credere all’attacco austriaco nel Trentino;

nello scompaginare l’armata del Carso per fronteggiare la puntata austriaca;

nel non rincalzare le truppe d’assalto di Gorizia con la cavalleria;

nel togliere dal suo comando il generale Capello; errore riconosciuto dopo sei mesi e dopo conseguenze gravi, che sarebbero state gravissime senza l’eroismo dei nostri soldati.

Chi muove una guerra offensiva può prefiggersi i seguenti scopi:

1) colpire il nemico nei suoi centri vitali (Austerlitz-Jena);

2) privarlo di tanta forza umana da doversi arrendere per anemia (Sedan);

3) tenerlo legato in un punto onde agire liberamente altrove.

Il primo scopo non è stato certamente da noi raggiunto;

così pure il secondo, perché disgraziatamente le perdite si pareggiano;

e quanto al terzo dobbiamo convenire che appena mezzo milione di austriaci tengono immobilizzato quasi tutto l’esercito nostro.

E il risultato tecnico non è più brillante.

Con tutto ciò non deve venir meno la fiducia nell’esercito nostro, le cui masse sono quanto di più buono, di più eccellente si possa desiderare.

E non mancherebbero insigni condottieri, se ad essi si lasciasse il modo di manifestarsi, di affermarsi.

I due anni di guerra hanno contribuito alla formazione di ottimi ufficiali.

Che cosa occorre adunque per migliorare la situazione nostra, militare e politica:

Occorre un Governo audace che voglia e sappia assumersi ogni responsabilità: che l’intesa con gli alleati sia piena e sicura dal punto di vista militare come da quello politico: che si organizzi fortemente tutto il paese con un regime di guerra.

Non bisogna dissimularci la gravità del momento:

dobbiamo confessare che l’avvenire si presenta molto oscuro.

Non siamo riusciti a portare le nostre bandiere nel cuore dell’Impero austriaco:

il risultato da tutti ansiosamente sperato della nostra guerra è fallito, ed è fallito per colpa di chi della guerra ha avuto la direzione.

Questo risultato potrà ottenersi ora che tutte le forze dell’Impero possono, quando lo vogliano, essere rivolte contro di noi:

Le difese di Trieste sono ancora e sempre oltremodo formidabili:

la situazione avanti a quella piazza forte è più terribile di quella davanti a Verdun.

Come illuderci adunque di potere prendere di viva forza, conquistare Trieste, che sarà difesa fino all’ultimo uomo da tutte le forze dell’Austria:

Necessita quindi una tattica difensiva, che costituisca null' altro che un logoramento per il nemico, in attesa che la situazione in Russia si chiarisca, in attesa che i promessi aiuti dell’America giungano in Europa.

Necessita una politica di accordo e di intesa con gli alleati, un nuovo ordinamento militare, una cura maggiore del fronte interno, perché allo sforzo, ai sacrifici, all’eroismo delle trincee corrisponda l’austerità della popolazione che non combatte.

Tutta la nazione dovrebbe essere considerata come zona di guerra agli effetti di quella mobilitazione generale delle armi e dei cuori, che con le inesauribili virtù dei nostri soldati ci assicurerà la vittoria.

(La seduta è sospesa alle ore 14).

— (La seduta è ripresa alle ore 16).

PISTOIA.

Per fatto personale, dice che il deputato Marazzi ha affermato che egli non poteva dare un giudizio sulla avanzata nel Trentino, perché non c’era:

osserva che non c’era neppure lui.

Ciò ha però poca importanza per il giudizio che si può pronunciare.

Cita l’aforisma napoleonico secondo il quale vince chi fa meno errori, e quanto alle critiche afferma che occorre dire tutta la verità e non dare eccessiva importanza a qualche scacco non grave subìto, specialmente perché noi abbiamo raggiunto notevoli risultati.

Per il Trentino bisogna considerare le operazioni nel loro complesso:

se nella parte centrale dell’Astico qualche nostro reparto cedette di fronte al nemico, le ali invece tennero saldo in modo che al centro gli austriaci ebbero difficoltà logistiche che furono la causa principale del loro scacco.

In questa guerra colossale noi siamo riusciti a conquistare un prestigio che non avevamo da secoli.

Il nemico ci sprezzava, mentre ora la stampa austriaca stessa ha cambiato linguaggio.

Questa è una vittoria superiore alla presa stessa di Trento e Trieste.

Quanto all’inizio delle operazioni, la prudenza era necessaria, perché si affrontava un nemico forte e si dovevano evitare insuccessi che sarebbero stati dannosissimi.

Circa alle offensive, queste si presentavano necessarie per conseguire quel prestigio di cui ha parlato.

Abbiamo sconfinato da per tutto, e l’Austria non ci ha ricacciato da nessun posto.

Non crede alla possibilità dell’offensiva nemica.

La situazione è grave:

dietro di noi sta l’abisso, occorre combattere e resistere con tutte le nostre forze, e concordi otterremo quanto sta nei nostri cuori.

MARAZZI.

Aveva chiesto di parlare per fatto personale.

Vi rinuncia dicendo che non ha capito in che cosa consistesse il fatto personale dell’onorevole Pistoia.

GIARDINO, ministro della Guerra.

Esporrà alcuni dati di fatto perché la Camera possa meglio giudicare.

Il deputato Marazzi ha affermato che tre sono state le cause del nostro insuccesso al principio delle operazioni: deficienza di artiglieria, mancanza di riserve disponibili, mancanza di cavalleria sul nostro fronte verso Trieste.

Reale era la scarsità delle artiglierie, quantunque si siano fatti enormi progressi durante la neutralità.

Quanto alle riserve, nota che il nostro fronte lungo 1.000 chilometri doveva essere chiuso tutto alla invasione nemica, ciò che impediva di avere una notevole disponibilità di riserve.

La nostra avanzata non poté essere rapida, perché, se poche erano le truppe, dapertutto c’erano i reticolati.

Se anche avessimo avuta maggior copia di cavalleria, questa sarebbe stata fermata.

Quanto all’armata di riserva, costituita per far fronte all’offensiva dal Trentino, osserva che l’averla formata con truppe tolte dall’Isonzo non dette luogo ad alcun inconveniente;

il che significa evidentemente che le disposizioni date furono opportune.

L’ammassamento delle truppe venne eseguito con tanta puntualità che questa armata, destinata a dar battaglia in piano, era già pronta il 3 di giugno, mentre gli ordini dati prevedevano che dovesse essere pronta per il 5.

Siccome le nostre ali nel Trentino resistettero saldamente ed il nemico non poté avanzare, così venne a poco a poco il momento per la nostra offensiva, che naturalmente eseguimmo anche con truppe di questa armata.

Con quelle truppe e con quelle artiglierie il giorno 9 agosto entrammo in Gorizia, e questo prova quanto perfetta sia stata la nostra organizzazione.

L’onorevole Marazzi si è detto favorevole ad eseguire i bombardamenti in tempo breve;

risponde che è questione di mezzi disponibili.

Quanto alla rapida avanzata che si sarebbe dovuta fare subito dopo la presa di Gorizia, è bensì vero che era opinione diffusa che il nemico fosse in rotta, ma invece sta di fatto che esso si ritirò dalla prima linea ad un’altra ad est di San Marco, che era già pronta con i suoi reticolati, che fermò la cavalleria, e contro la quale dovemmo iniziare delle lunghe operazioni di attacco.

Questa linea era già pronta da 10 mesi, e qualunque numero di squadroni di cavalleria non sarebbe riuscito a superarla.

Noi non potemmo catturare un maggior numero di bocche da fuoco, perché gli austriaci, quando videro di non poter resistere sulla prima linea, le trasportarono al di là della loro nuova linea di difesa.

Circa il preteso scompaginamento dei comandi di armata, nota che questi non sono unità ben definite, ma unità strategiche più o meno forti a seconda del compito che loro viene affidato.

È quindi naturale che la loro forza dipenda dall’obbiettivo che di volta in volta viene loro affidato.

Sicché nessuno scompaginamento né nel pensiero né nell’azione.

Conchiude dicendo che l’Italia ha saputo in breve tempo formare un grande esercito, che in tanti mesi di guerra non ha mai subìto nessuno scacco sostanziale e che combatte al di là dei suoi antichi confini.

GASPAROTTO.

Dà ragione del seguente ordine del giorno:

«La Camera esorta il Governo ad imprimere un più preciso indirizzo di equità, di eguaglianza e di responsabilità alla giustizia militare».

Dice che il paese vuol vedere chiaro nei fatti che funestarono la marina e vuole che siano puniti i responsabili dei disastri della Regina Margherita, della Benedetto Brin e della Leonardo da Vinci.

Analogamente intende che siano ben stabilite le responsabilità della nostra ritirata nel Trentino.

Domanda se non si crede di assicurare maggiori garanzie nella valutazione della condotta dei comandi dei nostri reparti combattenti, e cita diversi fatti per dimostrarne l’opportunità.

A proposito delle decimazioni invoca il ritorno alle pure tradizioni italiane, punendo solo quando le responsabilità sono accertate.

Fa l’elogio della bontà, clemenza e serenità dei nostri ufficiali;

ufficiali e soldati sono legati da sentimenti di fratellanza.

È favorevole ad una larga preparazione morale delle truppe prima delle azioni belliche, come con tanto successo venne fatto per la presa di Gorizia.

Quanto alla questione costituzionale relativa alle resposabilità del Comando supremo, nota che l’esercito è comandato dal Re e ne risponde il Governo.

Richiama l’attenzione della Camera sulla intelligenza del soldato italiano, che nell’ultima controffensiva austriaca ben comprese i dannosi effetti per noi di una mancata azione da parte dei russi, che ne avrebbero avuto l’obbligo come alleati.

Le nostre truppe sentono che la meta comune è di arrivare ad una pace che non riconduca l’Europa alle condizioni anteriori alla guerra, perché nella guerra attuale dobbiamo volere e vedere la fine di tutte le guerre.

GAZELLI, MEDICI, DRAGO, VINAJ, BOVETTI, NAVA CESARE.

Rinunciano a svolgere i loro ordini del giorno.

CENTURIONE.

Svolge il seguente ordine del giorno:

«La Camera, non convinta dell’efficacia dello svolgimento della politica interna, di quella dei consumi di guerra, fa voti per una più energica condotta di Governo».

Parla degli errori commessi nell’azione di guerra nel Trentino.

Il Comando supremo non si era reso conto delle vere condizioni in cui si trovava quel settore alle dipendenze del generale Brusati.

Ritiene che la responsabilità del Comando supremo sia più grave di quella del generale comandante.

Il Comando supremo venne sviato da informazioni secondo le quali l’offensiva austriaca non si sarebbe sferrata nel Trentino.

Ha parlato per amor di patria e per dovere di deputato.

PANTANO e MARCIANO.

Rinunciano a svolgere i loro ordini del giorno.

PRESIDENTE.

Essendo terminato lo svolgimento degli ordini del giorno presentati, dichiara che la seduta del Comitato segreto è terminata ed ordina che siano aperte le tribune al pubblico.

(Sono le ore 17 e 40).

Prima che la seduta abbia termine chiede la autorizzazione di approvare e firmare il verbale di questa ultima seduta di Comitato segreto.

(La Camera approva).

IL PRESIDENTE MARCORA

IL SEGRETARIO ATTILIO LOERO