Voci della Grande Guerra

Diario 1916-1922 Frase: #273

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AutoreSonnino, Sidney
Professione AutorePolitico
EditoreLaterza
LuogoBari
Data1972
Genere TestualeDiario
BibliotecaBiblioteca di Area Umanistica dell'Università di Siena
N Pagine TotXI, 407
N Pagine Pref11
N Pagine Txt407
Parti Gold245-275 (31)
Digitalizzato OrigNo
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3 gennaio.

Barrère mi riferiva che Pichon si chiedeva se convenisse fare qualche dichiarazione collettiva degli alleati di fronte alla situazione creata dai negoziati ed accordi dei bolscevichi cogl' lmperi centrali, oppure limitarsi alle dichiarazioni fatte singolarmente dai singoli governi dinanzi ai rispettivi parlamenti.

Chiedeva la mia opinione.

Ho risposto che parevami consigliabile astenersi pel momento da ogni dichiarazione collettiva in proposito, per la difficoltà di trovare la nota giusta che convenisse alle varie opinioni pubbliche dei rispettivi paesi, come pure nei riguardi degli Stati minori.

Inoltre, se da un lato conveniva astenersi da qualsiasi provocazione di fronte ai bolscevichi, dall’altro occorreva badare a non deprimere in alcuna guisa tutto il movimento antimassimalista della Russia meridionale, delle probabilità di riuscita del quale non era ancora possibile di giudicare.

4 gennaio.

Ore 18.45.

Barrère comunicava che Pichon era d’avviso che, avendo i bolscevichi ammessa l’indipendenza della Finlandia, convenisse agli alleati di affrettarsi a riconoscerla formalmente, prevenendo con ciò il giuoco degl’Imperi centrali.

Chiedeva il mio avviso.

Ho risposto che non riconoscendo noi il governo dei bolscevichi non potevamo aderire formalmente ad uno smembramento qualsiasi dello Stato russo semplicemente perché da loro consentito.

L’alleanza russa non era stata da noi disdetta, e dovevamo lavorare a mantenerla con l’appoggio dato all’Ucraina e agli altri governi provvisori che ancora la sostenevano.

La nostra approvazione formale della piena indipendenza finlandese avrebbe da un lato scoraggiato tutti i patriotti russi, facendo loro perdere ogni speranza di vedere ricostituita una grande Russia magari sotto la forma federale, ed avrebbe invece spinto le province singole a reclamare ciascuna la completa separazione.

Con ciò avremmo fatto il giuoco della Germania.

Dovevamo, secondo me, mantenerci sul terreno in cui ci eravamo messi, cioè di mostrare ai finlandesi tutte le nostre simpatie, aiutandoli anche materialmente oltreché moralmente in tutto quanto era possibile, ma rinviando ogni riconoscimento formale di piena indipendenza a dopo la restaurazione di un governo legale in Russia.

6 gennaio.

Ore 11.

Barrère mi comunicava che il rappresentante francese a Helsingfors, visto l’avvenuto riconoscimento dell’indipendenza finlandese per parte della Svezia, aveva riconosciuto la stessa anche a nome del governo francese.

Pichon ci chiedeva di aderire.

Ho risposto che per ora non avrei fatto alcun passo nuovo in questo senso; e che mi rincresceva che si fosse consentito a Parigi a compromettere la questione.

Persistevo a credere che un simile riconoscimento affrettato indebolisse oggi la nostra azione in Russia presso gli amici antimassimalisti, e non ci giovava per nessun verso.

Non era nemmeno corretto, finché esisteva una sembianza di alleanza con la Russia, di consentire allo spezzettamento di quello Stato;

e i bolscevichi, per scusare una pace separata, avrebbero potuto obiettare agli alleati essere stati questi i primi a violare le basi fondamentali dell’alleanza stessa.

8 gennaio.

Ore 11.

Barrère mi riferiva che Pichon proponeva di mandare a Irkutsk, dove nei recenti disordini erano stati uccisi anche ufficiali francesi, qualche distaccamento di truppe, togliendolo al contingente attualmente esistente a Pechino.

Il ministro francese a Pechino approvava.

Già alla conferenza ultima di Parigi si era parlato tra gli alleati della convenienza di assicurarsi della ferrovia transiberiana per mantenere le comunicazioni con la Russia meridionale anti-massimalista.

Pichon chiedeva un appoggio in questo senso dagli alleati.

Già i cinesi tenevano militarmente Kharbin;

e avrebbero potuto aiutare ulteriormente.

Ho risposto che avrei consultato in proposito R. rappresentante a Pechino, e i miei colleghi militari.

Approvavo la tendenza e gli scopi della proposta, ma temevo che i mezzi su cui si faceva conto fossero insufficienti all’impresa.

A Parigi si era vagheggiato specialmente una azione giapponese e americana.

Barrère mi riferiva che il rappresentante bulgaro a Washington aveva detto a quel ministero degli Esteri che la Bulgaria non era in guerra che con la sola Serbia e non con gli altri alleati.

Il ministro francese aveva dimostrato la falsità dell’asserto, citando la data delle varie dichiarazioni di guerra, e sosteneva la tesi che non bastasse la semplice rottura delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Bulgaria.

Pichon chiedeva che noi appoggiassimo tale azione in favore della aperta dichiarazione di guerra.

Ho risposto che avrei mandato istruzioni in questo senso al nostro ambasciatore a Washington.

9 gennaio.

A Rodd ho detto ieri in via confidenziale che ero personalmente non molto soddisfatto del discorso di Lloyd George, il quale, senza alcun preventivo concerto con noi o avvertimento qualsiasi, buttava in mare tutti i nostri fini di guerra (come convenuti con gli alleati nella convenzione di Londra o posteriormente), con la sola eccezione dei puri territori abitati da popolazioni di razza e di lingua italiana.

Con ciò fa in certo modo riserva anche sull’Istria, non che sulla Dalmazia, ecc.

Della difesa dell’Adriatico e garanzia della nostra sicurezza non una parola.

Accenna a convenzioni particolari, ma dichiarandole rivedibili e riducibili.

D’altra parte afferma in forma assoluta il trapasso alla Francia dell’Alsazia-Lorena.

In Oriente mantiene le aspirazioni anglofrancesi per la Mesopotamia, la Siria, l’Armenia, ma fa getto di ogni compenso proporzionale in Asia Minore convenuto con noi.

Fa riserve per la restituzione delle colonie germaniche in Africa.

In sostanza mantiene intatte le aspirazioni anglo-francesi, e reseca soltanto sul programma nostro, che era convenuto, e che è programma di vita, di sicurezza e di equilibrio.

Se la guerra andasse male, tutti dovrebbero ridurre le proprie aspirazioni;

ma non noi soli, che siamo entrati in guerra volontariamente con condizioni chiaramente stabilite e convenute.

Tutto questo mi pare poco «fair», e molto «hasty».

Pel pubblico e presso la stampa avevo e avrei taciuto la mia impressione;

ma non potevo non dolermi confidenzialmente della cosa.

Ore 10.

Lahovary mi esponeva per conto di Bratianu in quale difficile situazione si trova la Rumenia, e come la famiglia reale e il governo potrebbero, stretti nella morsa tra i massimalisti e gl’Imperi centrali, dover esulare lasciando a un governo di fatto di concertarsi alla meglio col nemico per non rovinare completamente il paese, riducendolo alla condizione disgraziata attuale della Serbia.

Chiedeva agli alleati di riconoscere fin da ora tale necessità ove la dolorosa situazione prevista come possibile si dovesse avverare, il che è reso più probabile dalle trattative attualmente correnti tra gl’Imperi [ centrali ] e l’Ucraina.

Ho risposto che capivo tutte le difficoltà della situazione rumena, e riconoscevo che la sua condotta era stata fin qui leale e coraggiosa e non volevo né potevo dubitare dell’avvenire; ma che in nessun caso e in nessuna ipotesi gli alleati potevano ammettere e tanto meno riconoscere una qualsiasi pace separata col nemico; che a parer mio queste insistenti domande di Bratianu per ottenere un’approvazione di politiche eventuali da seguirsi in casi ipotetici pessimisti erano pregiudicevoli agl’interessi stessi del governo rumeno perché atti a destare la diffidenza degli alleati, che potevano scorgervi una artificiosa preparazione di future scappavie e giustificazioni.

10 gennaio.

Ore 11.30.

Page mi chiedeva le mie impressioni sul messaggio di Wilson, comparso stamane nei giornali.

Ho risposto che non avevo ancora potuto che dargli una rapida scorsa nella traduzione italiana e quindi si trattava appena di una prima impressione.

Riconoscevo l’elevatezza dei fini cui mirava il presidente e il proposito di gettare sugli Imperi [ centrali ] la responsabilità della continuazione delle ostilità.

Considerato però dal punto di vista italiano il messaggio meriterebbe di essere completato e chiarito, poiché non faceva accenno alcuno di quelle nostre aspirazioni che mirano non a scopi imperialistici, ma di semplice difesa, sicurezza e indipendenza, e ciò specialmente nell’Adriatico date le condizioni geografiche delle due sponde al punto di vista militare.

Trovavo pure alquanto eccessive le lodi ripetutamente prodigate ai massimalisti russi, di cui non era possibile approvare tutti i fini, e meno che mai i mezzi adoperati per assicurarsi il potere.

Tali lodi espresse da una personalità quale è Wilson possono nuocere, col deprimere lo spirito pubblico nei riguardi della continuazione energica della guerra.

Vedevo poi un qualche pericolo che la Germania, sapendo che passerà ancora parecchio tempo prima che l’America possa mettere fuori tutta la sua potenza di azione, si affretti, magari a traverso il Papa, a profittare della situazione per effettuare il suo piano di intavolare negoziati di pace, almeno in apparenza, senza essersi legata a nulla di preciso, fidandosi che in Italia e in Francia la sola notizia delle trattative iniziate infiacchirebbe moltissimo lo spirito bellicoso nel pubblico, dandole così modo di aumentare poi le sue pretese.

17 gennaio.

Ore 11.30.

Rodd mi comunicava il seguente promemoria:

L’ambasciata di S.M. britannica ha l’onore, secondo le istruzioni del sig. Balfour, di informare il ministero italiano per gli Affari Esteri che il generale de Candolle, che agisce come rappresentante presso i Cosacchi a Novočerkassk, è di opinione che i vari tentativi per stabilire nel sud della Russia governi autonomi e stabili, come le cose si stanno ora svolgendo, sono destinati all’insuccesso siccome tentativi isolati per resistere all’anarchia generale.

Egli pensa che il solo possibile espediente per tenere i Cosacchi ucraini dell’Unione sud-orientale e la Siberia in contatto gli uni con gli altri, sia che essi si servano di qualche opportunità per venire ad una composizione con il governo massimalista di Pietrogrado.

Una tale opportunità si presenterebbe se fallissero le trattative di questi ultimi con gli Imperi centrali.

La base di una tale composizione dovrebbe essere una confederazione di Stati autonomi le cui ragioni di unione sarebbero limitata resistenza alle potenze centrali, mutua assistenza per lo scambio di vettovaglie e combustibile dal sud con, per esempio, munizioni e prodotti manifatturati dal nord, e non intervento sui territori reciproci.

È chiaro che la resistenza passiva alle potenze centrali è quanto di meglio possa aspettarsi dai governi del sud.

L’esercito rumeno costituisce il primario elemento di tale resistenza.

I nostri nemici sono impediti dall’ottenere l’accesso alle materie alimentari dell’Ucraina e alle coste del Mar Nero finché quell’esercito è in Moldavia.

È pertanto vitale di trattenerlo colà e di nutrirlo dall’Ucraina e dalla Bessarabia.

Ciò può farsi soltanto ove le relazioni della Rada col resto della Russia siano sufficientemente assicurate in modo da rendere possibile che esso riceva a traverso quelle regioni i rifornimenti immediatamente necessari per la conservazione della propria esistenza.

Le vedute espresse dal generale de Candolle si raccomandano da se stesse al governo di Sua Maestà il quale suggerirebbe che istruzioni in questo senso fossero mandate ai rappresentanti alleati in tutta la Russia.

Nel portare quanto procede a conoscenza del ministero italiano per gli Affari Esteri l’ambasciata di Sua Maestà si rivolga al governo italiano per conoscere la sua opinione in riguardo a questo suggerimento.

Una simile richiesta viene indirizzata ai governi francese, americano e giapponese.

Ho risposto che non concordavo completamente con l’opinione del generale de Candolle.

L’interesse degli alleati così agli intenti della guerra come nei riguardi interni dei rispettivi paesi era di incoraggiare la resistenza degli ucraini, dei cosacchi e dei siberiani di fronte ai massimalisti di Pietrogrado, incitandoli a reclamare risolutamente per sé la vera rappresentanza della Russia nel suo complesso, e ad inalberare essi la bandiera di una Russia federale.

Il punto essenziale era di favorire i singoli governi di fatto perché potessero consolidarsi tanto da fronteggiare il governo di Pietrogrado, che essi potevano in brevissimo tempo ridurre alla fame con l’interruzione di qualsiasi fornitura alimentare.

Era per noi di supremo interesse contribuire a spazzare via il predominio dei bolscevichi, che non potevano oramai fare altro che l’interesse degl’Imperi centrali riguardo alla guerra e rappresentavano inoltre un pericoloso contagio disfattista e disorganizzatore per tutti i paesi alleati.

27 gennaio.

Ore 17.30.

Ciuffelli.

Ridotto il lavoro nelle industrie per effetto della magra d’acqua e della deficienza di carbone, si doverono ridurre le ore e le giornate di lavoro.

Quindi agitazione operaia.

La Commissione centrale di mobilitazione (presieduta da Bertolini e di cui fa parte Cabrini) notò addirittura che gli operai andavano indennizzati, la spesa gravando per piccola parte sugli industriali e su loro e per la maggior parte sullo Stato.

La questione esaminata da Nitti, Ciuffelli e Dallolio rimase poi sospesa e non definita, essendo lontano il presidente del Consiglio, ma con assicurazioni che si sarebbe fatto qualcosa.

Ora l’agitazione si è estesa alle industrie non ausiliarie.

Si parla di agitazione a Torino e Milano.

La questione è grave.

Ciuffelli dice di dare assicurazioni di massima, rinviando la decisione.

5 febbraio.

Ore 10.

Giers.

Trattative con la Bulgaria.

Fino al momento del colpo di mano massimalista contro il governo provvisorio a Pietrogrado, si era quasi conclusa una intesa tra questo e il generale Protogherov, capo degli approvvigionamenti delle truppe bulgare e centro principale delle opposizioni al ministro Radoslavov, per una eventuale pace separata della Bulgaria restando a questa assegnati i seguenti acquisti: la parte meridionale della Dobrugia, quale le competeva fino alla pace di Bucarest, e, dal lato occidentale in Macedonia, il tratto fino al Vardar comprendente Uskub (senza il tratto di Timor al Nord né un confine comune con l’Austria-Ungheria), e un tratto al Sud comprendente Seres e Cavalla.

Dal lato turco la linea approssimativa di Enos - Midia.

Arrivati al potere i bolscevichi tutto ciò era rimasto sospeso.

A Berna aveva sempre trattato per la Russia il già dragomanno Seravimov.

Gl’inglesi avevano mandato a Berna per intavolare trattative coi bulgari il sig. Hear.

Intanto i francesi avevano pure impegnate trattative analoghe per conto loro nel settembre 1917 a Thonon, negoziando con Zokov, bulgaro già ministro a Londra, e a traverso lui con Stephan, archimandrita del Santo Sinodo.

Dopo qualche negoziato, in cui i bulgari esigevano l’intera Macedonia ed altri territori, i francesi, saputo che anche gl’inglesi si erano pure messi a trattare, si tirarono indietro, passando ogni ulteriore trattativa agli inglesi.

Avendo quindi i russi (rappresentati da Seravimov) saputo dei pourparlers inglesi, ne parlarono a Hear, e da allora in poi sono rimasti d’accordo di procedere innanzi di comune intesa.

Ora avrebbero deciso di trasferire le trattative da Berna a Salonicco per poter essere più vicini ai bulgari, e per poter agire con una propaganda sulle truppe bulgare al confine, avendo essi ragione di credere di avere già fatto presa presso una delle divisioni.

Presso i bulgari i più inclini a trattare, disposti anche a moderare le loro esigenze, limitandole alla Dobrugia meridionale, alla parte della Macedonia a oriente del Vardar, e al territorio di Seres e Cavalla, di fronte ai serbi e ai greci, e a Enos e Midia di fronte ai turchi, sarebbero gli oppositori estremi più ostili a Radoslavov.

Anche Protogherov si mostrerebbe inclino a contentarsi di queste cessioni.

Ma occorrerebbe l’occasione che desse loro ardire di romperla con la Germania.

Questa ha soli 35 mila uomini in Bulgaria, ma ha in mano sua tutte le comunicazioni cioè le ferrovie, i telegrafi e i telefoni.

Protogherov ha come uomo suo per ogni trattativa il Bazanov, che va in su e giù tra Berna e Vienna.

Non essere esatto che l’Austria-Ungheria desideri un confine comune con la Bulgaria;

anzi essa vi è contraria.

È la Germania che tende a che tale confine vi sia.

Tra i serbi i neo-radicali, opposti a Pašic, sarebbero favorevoli a un accordo coi bulgari che ammettesse come confine il Vardar.

Quando Seravimov si trasportasse a Salonicco per trattare ivi coi bulgari, d’intesa con gl’inglesi, resterebbe a Berna il Victorev.

Ore 18.

Lahovary mi comunicava che Mackensen ha intimato alla Rumenia che, dietro la rottura tra essa e la Russia, egli doveva considerare come invalidato l’armistizio tra gli eserciti centrali e la Rumenia stessa, e invitava quindi quel governo a mandargli i suoi delegati a trattare sul da farsi.

Bratianu faceva risultare come, dato il voltafaccia dell’Ucraina verso gl’Imperi centrali e la ostilità dei massimalisti, egli veniva a trovarsi preso tra due fuochi senza possibile scampo;

agli alleati non doveva convenire la sparizione totale della Rumenia, e nemmeno della dinastia e di tutti gli elementi amici;

la Rumenia inoltre si trovava in queste condizioni per aver seguiti i consigli degli alleati verso i massimalisti.

Bratianu contava dunque che in ogni eventualità gli alleati dovessero mantenere intatti i loro impegni verso il suo paese.

Ho risposto che le notizie venute da Jassy parevano meno disperate, poiché quel Consiglio militare escludeva la probabilità di una offensiva tedesca; che Bratianu chiedeva addirittura una assoluzione prima del peccato; che gli alleati pur riconoscendo le difficoltà della situazione non potevano mai autorizzare sotto nessuna forma una pace separata; che, facendo altrimenti, si sarebbe data una forte spinta a tutti gli elementi disfattisti nei vari Stati a promuovere le paci separate.

6 febbraio.

Ore 10.30.

Rodd mi comunicava promemoria seguente:....

Ho risposto che opinavo doversi dichiarare che alleati avrebbero strenuamente combattuto qualunque annessione o protettorato germanico consentito o no dagli estoniani.

Che essi erano favorevoli ad ogni forma federativa dello Stato russo, che garantisse pienamente autonomia e libertà delle singole nazionalità; che ogni decisione finale e riconoscimento formale su indipendenze o autonomie locali doveva essere rinviata a futura conferenza della pace.

Aggiunsi parermi che alleati non dovessero oggi, con prematuri affidamenti di riconoscimento di indipendenze locali, danneggiare qualunque possibile ricostituzione dello Stato complessivo russo, tanto più che in questi ultimi giorni lo stesso Trockij, ammaestrato dalle esperienze di Brest-Litovsk, aveva ripresa a sostenere la tesi di una repubblica federativa russa.

16 febbraio.

Camera.

23 febbraio.

Dove parlo di Treves, ecc. accennare a consenso mio con Badaloni:

1. - su necessità di resistere (esempio: Russia);

e, 2. - [ su ] il dovere comune di salvare la integrità del territorio nazionale, senza rinunzie a opinioni o abdicazioni.

Dove si parla di Russia e della sua resa a discrezione accennare a sua vergognosa accettazione della sua pace (per telegrafo).

Rosenmaier, in un giornale liberale svizzero...

(contro politica Germania).

Quanto a Stoccolma, accennare (preparare accenno) a divieto di passaporti dei bolscevichi.

Vedi pure sottolineature a discorsi.

Smettere coi continui sospetti sugli alleati, con interrogazioni, dicerie, ecc. (vedi interrogazioni su Smuts, Mensdorff).

Abbiate fede in Governo, o mettete al governo persone in cui abbiate fede.

Ma poi lasciatelo fare, pure denunziando a chi ha responsabilità ogni dubbio che vi viene.

Mi ammetterete che segreto in tempo di guerra è indispensabile almeno di fronte al nemico;

ma non si è trovato modo di nascondere al nemico quello che vien discusso pubblicamente nelle assemblee.

Di fronte al nemico si discute oggi col cannone e con le baionette;

questi sono accordi eventuali tra alleati.

Nazionalità, autodecisione, intesi col largo concetto dell’on. Ruini.

Dopo Bonomi citare Ruini ed altri.

Guerra porta alla valorizzazione di principi morali.

24 febbraio.

Ore 11.15.

Barrère si mostrava stamane irritato contro la comunicazione fatta da Wilson riguardo alle risoluzioni politiche degli alleati nel Consiglio supremo di Versailles.

Egli avrebbe voluto si rispondesse con qualche vivacità al tuono troppo altezzoso del presidente.

Quanto all’appunto mosso da questi riguardo a supposte decisioni sulle relazioni coi massimalisti non riusciva a comprenderne il senso, non essendosi in proposito deliberato nulla di nuovo.

Ho risposto che concordavo in ciò, ma che consigliavo molta prudenza, parendomi convenisse non rilevare la singolarità della mossa di Wilson.

Formalmente questi poteva avere qualche ragione perché il Consiglio supremo come tale aveva un compito specificatamente militare.

Era però naturale che tre capi di governo riuniti dovessero anche esaminare questioni politiche.

Si sarebbe potuto distinguere le deliberazioni, riservando quelle del Consiglio al tema militare e facendo figurare quelle di carattere politico generale come prese unicamente dai tre presidenti del Consiglio fiancheggiati dai loro ministri civili.

Wilson si sentiva evidentemente non rappresentato abbastanza nel Consiglio supremo quando questo dovesse statuire sulla politica generale degli alleati.

Nella prossima riunione a Londra o altrove dei presidenti converrebbe pregare in precedenza Wilson di farsi rappresentare più particolarmente da persona di sua stretta fiducia come per esempio il colonnello House.

23 marzo.

Borsarelli mi comunica che Bignami, sottosegretario Armi e Munizioni, gli ha chiesto consiglio riguardo al modo di cambiare l’ufficiale di collegamento tra quel ministero e la Francia, avendo qualche dubbio riguardo alla persona.

Ho detto che l’unico consiglio che potevo dare era di cambiarlo immediatamente, e di far sapere tutto subito al presidente del Consiglio.

Riguardo alla forma del cambiamento non ne sapevo abbastanza né della persona né dei dubbi sorti, per poter dare consigli.

Potevasi farlo chiedere da qualche generale o servirsi di tanti altri mezzi;

e sul comunicare o no alla Francia i sospetti sorti, dovevano giudicare loro, che conoscevano i fatti ed i pericoli del caso.

Ma doveva esser messo subito nella impossibilità di nuocere ulteriormente.

Evidentemente dopo aver agito leggerissimamente nel nominarlo ora cercavano di versare sugli Esteri la responsabilità delle conseguenze.

26 marzo.

Ore 11.

Page mi comunicava la seguente nota verbale:

L’ambasciata americana in Roma ha l’onore di presentare al R. ministero per gli Affari Esteri, perché esso lo esamini, un esposto da parte del governo degli Stati Uniti, riguardante la sua attitudine nella questione di certe conferenze internazionali non ufficiali come quella che si è proposto di tenere, composta di rappresentanti dei socialisti e dei partiti del lavoro dei paesi belligeranti.

L’attitudine del governo degli Stati Uniti su questo punto è la seguente:

Che non vi è possibilità che derivi alcun bene da discussioni di questioni internazionali e politiche da parte di conferenze composte di rappresentanti di partiti ed organizzazioni politiche, ma che esse possono, d’altra parte, ostacolare i propri rappresentanti del popolo dei paesi interessati nel corso della loro azione su questioni internazionali.

Inoltre, che, dacché in una nazione democratica la volontà della maggioranza del popolo è espressa a traverso i suoi rappresentanti regolarmente eletti, la politica internazionale di questi pubblici ufficiali può ritenersi sia quella del popolo, ed a meno che essi e la loro politica siano ripudiati dal popolo, non dovrebbe essere permesso l’intervento di nessuna azione da parte di individui o di gruppi di individui fuorché a traverso gli agenti della politica interna.

Specialmente quando tali conferenze sono composte di rappresentanti di paesi nemici esse non possono fare altro che creare difficoltà e nuocere poiché esse non rappresentano in alcun modo le maggioranze popolari dei vari paesi.

Il governo degli Stati Uniti ritiene perciò fermamente che tutte queste conferenze dovrebbero essere ostacolate ed impedite specie sino alla fine della guerra.

Ho risposto che approvavo completamente la tesi sostenuta dal governo federale.

Chiedevo a Page se egli ritenesse che tale manifestazione del governo stesso potesse pubblicarsi, o eventualmente citarsi.

Page lo ignorava, ma me lo avrebbe fatto sapere.

2 aprile.

Da fonte seria vengo informato che tra i numerosi irredenti che si trovano a Firenze parecchi sarebbero ricorsi ai buoni uffici di quel console di Svizzera per ottenere sussidii dal governo imperiale e reale austriaco allegando gli ottimi servizi resi da loro alla causa nemica in Italia.

Essi anzi sarebbero stati messi alla porta da quel console, sdegnato del loro perfido e subdolo modo di agire di fronte all’ottimo trattamento che a loro fa il R. governo.

6 aprile.

Ore 11.

Steed.

Chiesto di vedermi per cosa urgente.

È di ritorno dal fronte, dove doveva dirigere la propaganda nel campo nemico, con spargimento di foglietti, ecc.

Mi mostrava i suoi telegrammi a lord Northcliffe.

Si farebbe lo spargimento di foglietti presso i polacchi, i cecoslovacchi, i rumeni e gli jugoslavi, dichiarando che, passando nelle file italiane, sarebbero ricevuti come amici; che si sosterrebbe l’indipendenza, dei loro popoli; che potrebbero battersi in corpi speciali per la difesa delle loro aspirazioni, sotto l’alta guida dei loro Comitati nazionali, e che tutto ciò è riconosciuto dai governi inglese, francese e italiano.

Da parte dei governi di Londra e Parigi si consente e si applaude.

Vorrebbe il consenso del governo italiano.

Gli ufficiali italiani..., riconoscono l’opportunità e la efficacia di tutto questo.

Ho risposto che non potevo andare fino al riconoscimento governativo di tutto questo, specialmente per quanto riguarda tutto il movimento delle aspirazioni dei jugoslavi e dei loro Comitati.

Era questione di misura.

Non si precludesse l’accordo per l’avvenire, ma accordo, non sottomissione da una parte sola.

Ammettevo i corpi speciali cecoslovacco, polacco o rumeno.

Quanto ai jugoslavi ne passavano già oggi molti all’esercito serbo.

Ammettevo il trattamento di favore.

Si promettesse pure tutto questo.

Si parlasse dei Comitati nazionali e si usassero espressioni di appoggio per le aspirazioni di indipendenza delle nazionalità.

Ma non si andasse fino al riconoscimento del governo italiano, facendo credere ad assicurazioni che non potevamo dare.

Per voler usare un’arma di più, si sarebbe anche creato un pericolo di più nel fomentare il disfattismo nel Regno, col disgustare molti elementi nazionalisti.

12 aprile.

Cecoslovacchi.

Art. 1°: «le concours de ses armées».

Alla sola Francia:

Vegliare che non si possano togliere dal fronte italiano i reparti formati coi prigionieri cecoslovacchi.

Il comando in Italia dev’essere sempre subordinato al R. comando supremo.

«... dont l’emploi sur les différents théàtres d’opérations est reglé... par entente entre gouvernement français et le Conseil national».

Per quanto concerne i reparti formati coi prigionieri deve dipendere dal solo accordo tra comando supremo oppure governo italiano.

Qui l’articolo parla addirittura di governo francese e non del comandante supremo Foch.

Deve restare sempre chiaro e indiscusso che negli scambi di prigionieri invalidi o validi tra l’Italia e l’Austria-Ungheria quei cecoslovacchi che entrano nelle categorie scambiabili o restituibili e che vogliono tornare a casa loro, e non siano esclusi per ragioni militari o speciali, debbono poter essere restituiti o scambiati.

A Orlando per telefono e a voce a Petrozziello:

— qui hanno efficacia far disertare cechi e non in Francia:

— perché non accettano divisioni nostre:

— Consiglio Versailles è sotto Foch;

— mettiamo a rischio prigionieri nostri in Austria-Ungheria senza compenso alcuno;

— insisterei testo nostro tanto in articoli 1° e 3° come 6°;

— deve dipendere da comandi locali;

— prigionieri combattono in Italia.

14 aprile.

Ore 10.30.

Rodd è tornato con qualche esitanza a parlarmi, per conto di Balfour, dell’art. 15 della Convenzione di Londra.

Sarebbero ancora vive le pressioni dei circoli cattolici in Inghilterra e in America perché si annulli o almeno si attenui la portata dell’articolo.

Si vorrebbe attribuire la maggiore responsabilità dell’articolo stesso all’Inghilterra.

Balfour suggeriva che si potrebbe, senza dire di ammettere in alcun modo fin da ora l’intervento del Papa alla conferenza [ della pace ], sopprimere l’articolo tornando allo statu quo ante.

Dice essere evidente che contro la volontà del governo italiano gli alleati, anche senza l’articolo 15, non potrebbero concedere l’intervento papale.

Ho risposto che oggi qualunque modificazione o attenuazione sarebbe pericolosissima per tutti;

perché si darebbe un nuovo incitamento ai partiti vaticaneschi in tutti i paesi di insistere per l’impegno fin da ora di futura ammissione del Papa alla conferenza.

Dal testo stesso dell’articolo risulta che la responsabilità sua pesa tutta sull’Italia, poiché ogni decisione resta subordinata alle proposte del R. governo, che gli alleati s’impegnano soltanto di eventualmente appoggiare.

Per parte mia non potevo consentire a qualsiasi modificazione o nuova dichiarazione in proposito.

Ore 11.15.

Barrère mi ha accennato al tema di una qualche dichiarazione di riconoscimento collettivo per parte dei governi alleati delle risultanze della Conferenza di Roma dei popoli oppressi dall’Austria-Ungheria, e delle aspirazioni e dei voti manifestati.

Ho risposto che era viva la simpatia con cui consideravo l’intero movimento di tali popoli oppressi dall’Impero austro-ungarico verso la libertà e l’indipendenza, e sincero il mio desiderio di trovare con i jugoslavi un punto di equo accordo che conciliasse ed assicurasse quanto più possibile i vari interessi essenziali nostri e loro nei campi in cui potessero eventualmente trovarsi a contrasto;

ma questa era una questione da dibattersi esclusivamente tra loro e noi, e che non poteva né doveva in alcun modo riflettere nemmeno in apparenza la perfetta validità e integrità degli accordi con la Francia e l’Inghilterra che erano la base della nostra alleanza e della nostra entrata in guerra.

Ogni dichiarazione collettiva di riconoscimento ufficiale per parte dei nostri governi delle aspirazioni e degli scopi del movimento in questione, avrebbe oggi creato un equivoco al riguardo nelle menti del pubblico, equivoco che da noi poteva avere anche i suoi pericoli col rallentare e raffreddare gli impulsi a favore della vigorosa prosecuzione della guerra di alcune importanti frazioni interventiste, oltreché fomentare altri movimenti all’estero in contrasto con le nostre stipulazioni di Londra.

Inoltre, ogni apparente allargamento degli scopi di guerra proclamati dagli alleati darebbe nuovo pretesto agli allarmisti e neutralisti ultrapacifisti a agitare e indisporre gli animi del grosso pubblico anelante ad una non lontana pace.

Per tali complesse ragioni non mi era possibile in questa occasione secondare gli intendimenti del sig. Pichon e del governo inglese, il quale del resto non mi ha finora manifestato alcun suo desiderio in proposito.

20 aprile.

Camera.

21 aprile.

Ore 15.30.

Barrère.

Seconda lettera dell’imperatore Carlo del maggio 1917 al principe Sisto di Parma.

Nella parte che riguarda l’Italia dice, dopo aver accennato a quanto gli chiedeva il governo francese relativamente all’Italia:

l’Italie vient de demander de conclure la paix avec la Monarchie en abandonnant toutes les prétentions inadmissibles de conquête qu’elle avait manifestées jusqu’ici sur les pays slaves de l’Adriatique et qu’elle réduit ses demandes à la partie du Tyrol de langue italienne.

J’ai ajourné l’examen de cette demande jusqu’à ce que je connaisse, par toi, la réponse de la France et de l’Angleterre à mes ouvertures de paix.

Barrère:

Un conte Bonacossa andava in Svizzera nel giugno 1916.

Era in stretto rapporto con una signora Grebner, nata italiana, maritata a un tedesco, molto sospetta (che aveva offerto alla Francia di fare da confidente).

Per mezzo di lei si era incontrato con Erzberger a Brunnen.

Aveva consigliato a che la Germania facesse pronte offerte di pace per evitare la rottura in guerra dell’Italia, che altrimenti sarebbe inevitabile.

Affermava di portare ciò dal comando supremo.

24 aprile.

Ore 11.45.

Barrère riferiva che Pichon vorrebbe che Italia Francia e Inghilterra insistessero vivamente presso il presidente Wilson perché ritirasse ogni sua opposizione ad un movimento giapponese in Siberia, con la partecipazione degli alleati.

Il Giappone consente oramai a che la spedizione abbia carattere interalleato, comprendendo reparti francesi, inglesi, italiani e americani;

ed inoltre a prendere formale impegno di non avere in ciò per parte sua alcuna mira di occupazione territoriale e di conquista.

D’altra parte urge l’arrestare la crescente attivissima invasione della Russia per parte dei tedeschi.

Il governo americano si addosserebbe una enorme responsabilità nell’essere cagione di un ritardo a rimediare a questo stato di cose, con l’insistere nel volere una domanda esplicita d’intervento per parte del governo dei bolscevichi.

Ho risposto che partecipavo a questo desiderio di Pichon, ma che occorreva agire in accordo completo cogli inglesi valendosi specialmente della loro azione presso Wilson.

Ero contrario a tutto ciò che sapesse di note collettive.

25 aprile.

Ore 10.15.

Il barone Monti, direttore generale del Fondo Culto, da me richiesto se fosse a sua cognizione qualche passo fatto dal Vaticano per mediazione di pace tra l’Italia e l’Austria-Ungheria, durante specialmente la primavera del 1917, e l’inverno '16 - '17 (ciò in relazione specialmente, nel pensiero mio, con le affermazioni dell’Imperatore Carlo I nella sua seconda lettera a Sisto di Parma riguardo a supposte condizioni moderatissime alle quali l’Italia si sarebbe mostrata disposta ad aderire), mi ha stamane esposto:

1. - che il Vaticano si era sempre dimostrato arci-convinto della sincerità dell’Austria in tutte le diverse occasioni in cui aveva parlato di pace e delle relative condizioni eventuali;

2. - che nel dicembre 1916, il cardinale Gasparri, dopo la morte di Francesco Giuseppe d’Austria, si era mostrato convinto delle disposizioni piuttosto miti e pacifiche del nuovo imperatore Carlo, ed aveva espresso al Monti il desiderio della Santa Sede di fare essa qualche tentativo di mediazione tra Austria-Ungheria e Italia, offrendosi di prendere esso Vaticano l’iniziativa, senza alcuna compromissione delle due parti, per saggiare le disposizioni di ciascuna.

Avrebbe desiderato il Gasparri conoscere se il governo italiano consentiva a ciò, e quale potesse essere il minimum di condizioni che potesse eventualmente accettare.

Il barone Monti avrebbe risposto non poter per parte sua dire nulla su ciò, ma che ne avrebbe parlato a qualcuno del governo.

Richiesto dal Gasparri della sua opinione personale su quel minimo di condizioni avrebbe risposto che riteneva, arguendo da quanto era scritto nell’ultimo Libro verde, che si sarebbe voluto almeno la cessione del Trentino fino a comprendere Bolzano, più qualcosa oltre l’Isonzo, tanto da arrivare oltre Nabresina, e si dovessero pure cedere all’Italia alcune isole.

Essere queste però impressioni sue personali, e non poter dire nulla per conto del R. governo.

Il ministro Orlando (allora già ministro dell’Interno) dal Monti informato avrebbe detto che non poteva dare nessuna risposta su quanto aveva accennato il cardinale, senza riferirne al ministro degli Esteri e al presidente del Consiglio.

Successivamente l’Orlando (nel gennaio o febbraio) aveva, dietro nuove sollecitazioni, informato il Monti che, consultato il ministro degli Esteri, il governo riteneva non fosse il caso di dare alcun seguito alla cosa, né fare alcuna affermazione in merito.

E così fu riferito dal Monti al Gasparri.

Gli avrebbe aggiunto che il R. governo non sembrava credere alla serietà delle disposizioni austriache, e temeva insidie.

3. - Ai primi di maggio il Gasparri sarebbe ritornato sullo stesso tema, alludendo alle trattative che si assicuravano essere in corso tra Inghilterra e Austria o Francia e Austria mediante inviati in Svizzera, e osservando che non vi era ragione che l’Italia restasse tagliata fuori.

Il Papa avrebbe allora scritto all’imperatrice Zita, facendo appello ai suoi sentimenti cristiani, perché anch’essa favorisse ogni azione tendente alla pace.

L’imperatrice rispose al Papa, dopo iniziata una nuova offensiva italiana nel Carso, che mentre «tuonava il cannone», non si poteva discorrere di trattative o offerte.

4. - Il 30 giugno il nunzio Pacelli a Monaco di Baviera s’incontrò con l’imperatore Carlo I.

Dal Pacelli fu ripreso a parlare di tutto ciò, e del desiderio della Santa Sede di fare qualche tentativo di riavvicinare le parti contendenti.

Pacelli avrebbe chiesto a Carlo se era disposto a cedere eventualmente il Trentino e qualcosa oltre l’Isonzo e per Trieste accettare che fosse almeno città libera, sia con piena indipendenza, sia sotto la sovranità imperiale, sia sotto quella dell’Italia.

Carlo I avrebbe detto di essere disposto a trattare su tutto ciò, purché, per contentare l’opinione pubblica dell’Impero austro-ungarico, l’Italia da parte sua fosse disposta a dare qualche compenso coloniale.

Il Pacelli avrebbe accennato anche alla possibile cessione di Pola.

5. - A fine settembre 1917 il cardinale Gasparri mandava al governo inglese, a traverso il suo rappresentante a Roma conte Salis, e perché fosse comunicato ai governi alleati, una nota spiegativa della nota papale del 1° agosto per la pace.

Ne parlò pure contemporaneamente al barone Monti, lasciandogli prendere copia di tale nota spiegativa, perché la comunicasse al R. governo.

Il barone Monti in tale occasione chiese al Gasparri su quali fatti fondasse la sua convinzione nelle buone disposizioni del governo austro-ungarico di fare concessioni all’Italia.

Il cardinale rispose che non aveva prove dirette, ma fondava il suo convincimento su quanto aveva detto l’imperatore Carlo al nunzio Pacelli il 30 giugno, e sulle assicurazioni date sulle favorevoli disposizioni del governo austro-ungarico e sul desiderio loro di pace, che gli venivano date dal cardinale Scapinelli già nunzio a Vienna e da altre persone ragguardevoli.

6. - Il 4 novembre 1917 pel giorno di San Carlo il Papa telegrafava all’imperatore per esprimergli gli augurii, e aggiungeva la domanda se si fosse sempre disposti a trattare sulle condizioni accennate nel maggio.

Il telegramma papale rimase per questa parte senza risposta.

7. - Il cardinale Gasparri garantisce che non vi è stata alcuna altra trattativa per mezzo di terzi.

Né mai fu fatta alcuna offerta o trattativa che implicasse in alcun modo una qualsiasi responsabilità del R. governo.

Nella conversazione con me il barone Monti sembrava cercare di avere un qualche mio consenso o apprezzamento riguardo alle condizioni da lui, per suo conto personale, accennate al Gasparri, come il minimo delle condizioni da parte del R. governo.

Io dapprima mi schernii da ogni apprezzamento, e successivamente dissi nettamente che non intendevo a questo proposito esprimere alcun pensiero o impressione mia.

Gli raccomandavo anche per l’avvenire di andare molto guardingo nel formulare analoghe impressioni nelle sfere vaticane.

A suo dire Gasparri gli aveva detto che si lusingava di ottenere eventualmente ove possibile qualcosa di più di qualunque minimo gli fosse indicato.

26 aprile.

Ore 11.

Conversando con Rodd intorno alle condizioni che potrebbero concordarsi col governo dei Soviet per ottenere la loro adesione ad un intervento interalleato in Siberia, egli mi formulava le modificazioni suggerite da Balfour al primo testo delle otto condizioni suggerite dai rappresentanti militari degli alleati a Mosca.

1. - Invece di «rinnovamento» dell’alleanza con la Russia parlare di «riaffermazione».

2. - Balfour accetterebbe la formula sul non ingerirsi nelle cose interne della Russia.

3. - Per evitare ogni possibile contraddizione col paragrafo due proporrebbe la formula:

«Leale cooperazione con le autorità russe contro il nemico comune».

4. - Lo considera accettabile nel senso che gli alleati rispetteranno l’integrità territoriale russa nel venire al suo soccorso.

5. - Proporrebbe la formula:

«Gli alleati dichiareranno che le forze operanti traverseranno la Siberia soltanto nell’intento di condurre (carry out) le operazioni militari contro il nemico».

6. - Accetta che le truppe debbano essere interalleate e non soltanto giapponesi.

7. - Accetta nel senso che l’aiuto a Murmansk e Arcangelo sia di navi e di marinai sbarcati.

Ogni impiego di truppe resta subordinato alle esigenze militari.

8. - Come pel paragrafo sette la cooperazione cogli armeni contro i turchi deve dipendere dalle generali esigenze militari.

Ho risposto che approvavo pienamente lo spirito degli emendamenti proposti da Balfour in quanto tendevano ad eliminare possibili equivoci.

A questo intento sarebbe forse utile chiarire meglio al paragrafo quinto che non può trattarsi soltanto di una rapida traversata della Siberia, ma di quel tanto di occupazione provvisoria indispensabile per condurre a buon fine le operazioni militari contro il nemico.

27 aprile.

Orlando, durante la seduta del Senato, mi comunicava aver cercato di informarsi, per una via speciale che menava ad un cardinale, se il Vaticano avesse espresso durante la primavera 1917 la convinzione o la certezza, di fronte all’Austria-Ungheria, di ottenere che l’Italia entrasse in negoziati di pace con accenno a particolari condizioni come minimo di concessioni richieste.

La risposta che ebbe era che si negava tutto ciò al Vaticano in modo assoluto.

28 aprile.

Ore 11.

Barrère mi leggeva il testo della risposta che Pichon proponeva agli alleati di far dare dai loro rappresentanti a Jassy al governo rumeno a proposito della comunicazione della annessione della Bessarabia.

Il testo riferito mi è parso ambiguo e tale da eccitare maggiore diffidenza e malvolere dalle due parti così dei rumeni come dei russi.

Ho risposto che ritenevo più savio e più decoroso il far semplicemente rispondere ai nostri rappresentanti che essi accusavano ricevuta della comunicazione loro fatta dal governo rumeno, e che l’avevano trasmessa ai loro rispettivi governi.

Per parte poi dei governi non vi era necessità alcuna di esternare fin da ora una opinione sulla questione né di dare altre risposte al Marghiloman.

5 maggio.

Ore 11.30.

Rodd mi comunicava che ai passi fatti dal console inglese a Mosca presso Trockij per ottenere il consenso alla spedizione interalleata in Siberia, non avevano preso parte alcuna i rappresentanti francese e italiano e chiedeva un qualche appoggio anche da questi.

Ho risposto che dato il dissenso sui rapporti da aversi coi massimalisti esistente tra Londra e Parigi e dati i tentativi di Trockij di valersi di ogni occasione per ottenere una forma di riconoscimento del suo governo per parte degli alleati, non intendendo io in nessun modo addivenire oggi a tale riconoscimento, preferivo non mescolarmi alle trattative in questione; ma che avrei certo veduto di buon occhio qualunque fatto che giovasse ad effettuare l’impresa interalleata in Siberia col puro scopo di ostacolare l’invasione tedesca.

6 maggio.

Ad Abbeville, nel convegno dei presidenti ai primi del mese, fu discusso del ritiro voluto dagl’inglesi di una parte dei loro effettivi inglesi da Salonicco.

Proponevano sostituire indiani e truppe greche.

Generale Guillaumat accettava per gl’indiani, salvo attenderne l’arrivo prima di diminuire gli effettivi inglesi;

ma rifiutava per le truppe greche, di cui «diceva di non fidarsi».

(E perché si fida dei greci per la regione albanese, dove si tratta di non lasciarla difendere a noi:

Vedi per Koritza, e per tenere separata dal contatto col corpo di Valona la 35a divisione.)

Quanto sopra mi è stato riferito come testuale dal presidente Orlando.

8 maggio.

Ore 10.45.

L’ambasciatore giapponese mi comunicava che il suo governo si dichiarava disposto ad ammettere, nel caso di un eventuale intervento militare giapponese in Siberia, la partecipazione di truppe alleate.

Eguale dichiarazione avrebbe fatto fin dal 1° maggio a Washington.

11 maggio.

Ore 11.

Barrère riferisce che monsignor Pacelli, nunzio a Monaco, prima di venire recentemente a Roma (sotto pretesto di visitare la sorella ammalata) ebbe un convegno con Hertling (cancelliere germanico).

Scopo della venuta sarebbe stato di far esercitare un’azione sul clero italiano, francese e irlandese perché fomentassero nelle popolazioni un movimento più vivo per la pace.

Il Papato non prenderebbe nuove iniziative di pace se non apparisce una spinta in questo senso per parte delle popolazioni dell’Intesa.

15 maggio.

Titoli russi.

Agenzia Stefani.

Roma, 14.

È noto come i recenti rivolgimenti di Russia abbiano gravemente compromessi gl’interessi dei portatori esteri dei titoli russi.

I possessori italiani si son venuti a trovare in condizioni anche più svantaggiose, perché, mentre non possono approfittare delle speciali concessioni accordate in Francia od in Inghilterra per il pagamento degli interessi essendo esse strettamente limitate ai portatori cittadini francesi e inglesi, non possono neppure più realizzare i loro titoli in Inghilterra o in Francia, per le disposizioni restrittive adottate al riguardo da quei governi.

In tale stato di cose, allo scopo di agevolarli, il ministro del Tesoro, ha, con decreto di oggi, autorizzati a comprendere i titoli russi nei versamenti che in occasione della stampigliatura dei titoli consolidati 5 % della precedente emissione possono farsi in pagamento di consolidato 5 % di nuova emissione.

Così i portatori italiani di titoli russi nel Regno potranno convertire i loro titoli in titoli consolidati nazionali.

I titoli russi verranno accettati fino a capienza al corso di:

L. 33,90 per il prestito russo 3 % oro 1891 - 1894

L. 33,40 per il prestito russo 3 % oro 1896

L. 38,90 per il prestito russo 4 % oro 1893

L. 43 per il prestito russo 4 % oro 1894

L. 41,30 per il prestito russo 4½ % oro 1909

L. 50 per il prestito russo 5 % oro 1906

Le eventuali differenze occorrenti per raggiungere il prezzo d’emissione del consolidato 5 % saranno corrisposte in contanti.