Voci della Grande Guerra

L’Italia dal 1914 al 1918: pagine sulla guerra Frase: #113

Torna alla pagina di ricerca

AutoreCroce, Benedetto
Professione AutoreIntellettuale, filosofo, storico
EditoreLaterza
LuogoBari
Data1950
Genere TestualeSaggio
BibliotecaBiblioteca di Area Giuridico Politologica "Circolo Giuridico" dell'Università di Siena
N Pagine Tot358
N Pagine Pref
N Pagine Txt358
Parti Gold207-226 (20)
Digitalizzato OrigNo
Rilevanza2/3
Copyright

Contenuto

Le mie tendenze triplicistiche diventarono, com’è naturale, antiquate con la dichiarazione di guerra del maggio 1915;

e, d’allora, le ho salutate come si salutano tante cose che entrano nell’ombra del passato, e che non si vedranno mai più.

Mi si condonino queste notizie personali, perché da una parte servono a prevenire rinfacci altrettanto volgari quanto ingiustificabili, e, dall’altra, avvalorano forse ciò che verrò dicendo.

Chi ha ricercato le storie d’Italia senza appagarsi della superficiale e convenzionale cognizione che se ne somministra nelle scuole, non ignora che una delle tacce più antiche e persistenti, anzi la principale e quasi unica taccia, data agli italiani dagli altri popoli d’Europa, e specie dai francesi e dai tedeschi, era quella d’«imbelli».

Questo giudizio si formò soprattutto sul cadere del secolo decimoquinto, per effetto della resistenza nulla o fiacca opposta agli stranieri, nelle loro calate nel nostro paese, che divenne il loro campo di battaglia;

ma se ne trovano i segni precursori nel medioevo, quando, tra l’altro, era divulgato in Europa l’apologo del «Lombardo e la lumaca», e i duri e ferrei feudatarî d’oltr’Alpe spregiavano gli italiani borghesi, «che cinsero pur ieri — Ai lor mal pingui ventri l’acciar de’cavalieri».

Né esso poteva essere cancellato dallo spettacolo che generalmente offrirono gli Italiani nella nuova calata francese, non piú regia ma repubblicana, sul finire del settecento e nelle vicende della restaurazione;